Ontano napoletano

Ontano napoletano

Alnus cordata
Ontano napoletano, Brugnello

Ontano napoletano

Alnus cordata

L’ontano napoletano si chiama anche ontano cordato, perchè ha grandi foglie a forma di cuore, che ricordano vagamente quelle del tiglio, ma sono più spesse e robuste. L’areale originale era l’Appennino meridionale, ma la pianta oggi è diffusa in quasi tutte le regioni italiane. E’ forse il più bello degli ontani, piante magiche, legate al culto dell’acqua (il loro nome Alnus deriverebbe dal celtico al lan, presso l’acqua) e a quello del dialogo con i morti.

Ho incontrato questa pianta  nei pressi della chiesa dei SS. Cosma e Damiano di Brugnello, un minuscolo borgo della val Trebbia, elevato e prospiciente le vertiginose anse del fiume.  La chiesa infatti fu edificata sui resti di un antico castello dei Brugnatelli situato su uno sperone roccioso in posizione dominante.  Il borgo è molto accuratamente preservato e la maggior parte delle porte lignee sono decorate e  scolpite come quella della prima fotografia.  La prima volta che l’ho visto era ottobre (2011), e l’ho riconosciuto facilmente con i suoi frutti a forma di piccola pigna (strobili).  L’ho ritrovato ancora in questi giorni di giugno, con nuove foglie, lucide e luminose, che ancora si stagliano sulla pietra antica della chiesa (seconda fotografia).

Taxodium, il cipresso calvo

Taxodium distichum

Taxodium distichum
parco di villa Schella

Taxodium disticum

Taxodium distichum


 
Nello splendido parco di villa Schella presso Ovada (Alessandria), gli alberi sono a loro agio come nei boschi e trovano spazio e aria per crescere in bellezza.

I tassodi(1), imponenti e nobilissimi, si spogliano d’inverno rimanendo simili ad altissimi pali nudi (vedi 14 gennaio 2009) e questo a differenza della maggior parte delle Cupressaceae, che sono sempreverdi.  Per questo il Taxodium distichum viene chiamato cipresso calvo. Le sue sottili foglie aghiformi sono piatte, un po’ come quelle del tasso, con cui potrebbe anche essere confuso. Ma il tasso è sempreverde, di portamento più rotondeggiante (anche se può sfiorare i 20 metri) e ha frutti carnosi di colore rosso brillante, detti arilli (vedi 14 dicembre 2009). Gli aghi del tassodo cambiano colore con le stagioni, dal verde pallido della primavera a quello scuro dell’estate, fino all’arancio bruono dell’autunno, poco prima di cadere.
Stesso comportamento del cipresso acquatico cinese, Glyptostrobus pensilis, che avevo mostrato in un blog precedente il 22 gennaio 2009.

Originario della paludi del Nord america, anche Taxodium distichum è specie acquatica e un altro dei suoi nomi comuni è cipresso di palude. Può crescere emergendo direttamente dall’acqua e in questo caso si serve di radici aeree, dette pneumatofori (letteralmente ‘portatori di polmoni’), che lo circondano come in un’aiuola (vedi 10 settembre 2008).  Queste radici crescono verso l’alto e possono raggiungere i 3 metri di altezza. Per la sua preferenza degli ambienti paludosi, quest’albero è protagonista di quei paesaggi cupi e oscuri che tanto stimolano la fantasia, atmosfere irreali e ricche di mistero, dove nella penombra frondosa scivolano sull’acqua gli alligatori e il silenzio è rotto soltanto da stridi di uccelli.

Quando il cipresso calvo cresce sulla terraferma non sviluppa pneumatofori perchè non ne ha bisogno. Ma ugualmente si eleva alte e solido verso il cielo, immensi fusti di straordinaria verticalità.

(1)Singolare tassodio, almeno secondo questo dizionario. Vedi anche una piccola discussione sul nome italiano di quest’albero nel post del vecchio blog, 10 settembre 2008.

Aceri

Gli aceri ornamentali sono una categoria di alberi molto originali. Da qualche tempo frequento un gruppo di facebook che si chiama Maples, cioè aceri, e ho modo di ammirare immagini di un’incredibile varietà di esemplari, con foglie ricamate e colorate e disamare splendenti.

Aceri Acer palmatum

Acer palmatum

Aceri Acer palmatum Thun.

Acer palmatum Thun.

Una gran parte di questi aceri appartengono alla specie Acer palmatum (vedi 9 dicembre 2008), uno degli aceri giapponesi più conosciuti; ma ibridi e cultivar sono veramente un bosco tutto loro.
Due ne mostro oggi per ricordare la bellezza degli aceri, quasi in ogni stagione. Le foglie non ancora compleatmente aperte, negli ultimi giorni di marzo, la cultivar della foto a sinistra campeggiava in grandi vasi sulla piazza del duomo di Asti.

Bello da togliere il fiato, foglie grigioverdi finemente laciniate, rossicce disamare splendenti, l’acero della foto di destra era in mostra ad Euroflora, ai parchi di Nervi, maggio 2018.

Ho amato moltissimo quest’esposizione, anche se ha avuto indubbiamente un impatto pesante sui giardini e non è stata molto apprezzata da alcuni visitatori.  Invece a me è piaciuto il tentativo di riportare una mostra floreale nell’unico posto in cui è giusto che stia, all’aperto, in un parco e non nel chiuso dei padiglioni di una fiera. Non ho avuto il tempo, l’anno scorso, di postare molte immagini su questo blog, ma non è detto che non lo farò in futuro e in ogni caso spero che l’esperienza sarà ripetuta.

Justicia adhatoda, un’altra straordinaria acantacea

Justicia adhatoda

Justicia adhatoda

 

Sempre all’esposizione di Euroflora del maggio 2018, incontro un’altra straordinaria Justicia,  Acanthacea di un genere che ho già avuto occcasione di mostrare qui e anche qui.

E’ un bell’albero sempreverde di medie dimensioni, con grandi fiori bianchi.  Può essere coltivata come ornamentale, ma principalmente è nota come pianta medicinale. Originaria dell’Asia, dove cresce in abbondanza in Nepal, India e certe regioni del Pakistan, oltre che nel Sud Est asiatico.  In sanscrito si chiama vasaka.  E’ impiegata nella medicina Ayurvedica, come calmante della tosse, protettore cardiovascolare,  antinfiammatorio e anche come abortivo.  Inoltre contiene alcaloidi affini a quelli del te, la vasicina simile alla teofillina, e altri  principi attivi con proprietà antibatteriche e antitumorali.  Proprietà riconosciute anche da diversi studi scientifici, insomma una pianta da tenere in considerazione.

 

 

 

Staphylea pinnata

Staphylea pinnata

Staphylea pinnata

Una pianta abbastanza misteriosa, che credevo esotica e scopro indigena. Come le piante degli ultimi giorni l’avevo incontrata diversi anni fa, verso la fine di aprile, già un po’ sfiorita, lungo il sentiero che costeggia il lago di Albano, scrigno di naturale bellezza e natura rigogliosa, al limitare del bosco di latifoglie. Ha nomi comuni bizzarri, come falso pistacchio e lacrime di Giobbe, quest’arbusto, quasi alberello che si veste di groppi di fiori bianchi. Dal greco  σταφυλη, grappolo, deriva proprio il suo nome, pinnata a causa delle foglie.

Staphylea pinnata

Staphylea pinnata

Unica rappresentante europea del suo genere, famiglia delle Staphyleaceae, vanta parenti in Asia e America, rinomate come essenze officinali. Anche S.pinnata ha le stesse proprietà antiossidanti, e potenzialmente antitumorali, a causa dei polifenoli di cui è ricca.  Ma è pianta rara e più frequentemente impiegata come essenza forestale e ornamentale.

 

La Zelkova di Maria Luigia

Zelkova carpinifolia

Zelkova carpinifolia
Reggia di Colorno

Il palazzo ducale, meglio conosciuto come reggia di Colorno, vicino a Parma, ha una storia travagliata e affascinante, durante la quale si sono intrecciati i destini di molte nobili famiglie, dai  Sanseverino e Sanvitale, ai Farnese, ai Borboni, fino a Maria Luigia d’Austria, moglie del deposto imperatore di Francia Napoleone.  Simili vicende travagliate ha vissuto il grande giardino, fra sfarzi, rifacimenti e abbandoni.  Nato come giardino all’italiana, poi modificato alla francese,  fu proprio Maria Luigia che volle trasformarlo in un giardino inglese, arricchendolo di essenze rare e ricercate, fra le quali spicca la Zelkova carpinifolia, importata dalle regioni del Caucaso in Europa all’inizio del 1800.  Questo grande albero, che ancora prospera in fondo al vasto parterre, deve il suo nome specifico alla forma delle foglie, che assomigliano a quelle del carpino.  Appartiene alla famiglia degli olmi, Ulmaceae, che ricorda per una leggerissima asimmetria nell’attaccatura della lamina fogliare.  Esemplare di notevoli dimensioni e in posizione dominante dinanzi all’imponente costruzione regale, è particolarmente affascinante perché appare  scavato all’interno e rinato dalle sue stesse viscere.  Il possente tronco spaccato alloggia e nutre  nuovi virgulti,  fusti slanciati e giovinetti, arricchiti di foglie fresche nell’incipiente primavera.
Zelkova carpinifolia
Dopo Maria Luigia, il destino della villa e del parco è ancora più disperato e contorto. Dal 1871, il palazzo fu sede di un ospedale psichiatrico, allora si chiamavano manicomi, che arrivò ad ospitare più di mille degenti dopo la seconda guerra mondiale ed fu dismesso negli anni ’70 del ‘900 dopo la legge Basaglia. Solo in tempi relativamente recenti il palazzo e il giardino sono stati ristrutturati e riportati agli antichi fasti per essere ammirati da visitatori e turisti. L’interno è alquanto spoglio perchè depredato dalla contorta storia di qualsiasi ricordo del suo passato. Ma l’albero antico sopravvive. Non so quando il tronco della centenaria Zelkova, testimone attento e silenzioso di tante miserie umane, si sia aperto e spaccato. D’altronde questo è il destino degli alberi antichi, narratori di infinite storie a chi è capace di ascoltarli.

Zelkova carpinifolia
Zelkova carpinifolia è uno delle tre specie di questo genere presenti nell’Eurasia occidentale.  Le altre due sono Z.sicula, endemica della Sicilia e Z.abelicea, endemica di Creta.  Quindi questa l’unica specie non mediterranea ed è anche più strettamente imparentata con le specie dell’estremo oriente (Z. serrata, Z. schneideriana e Z. sinica). Inoltre è una delle specie più antiche, considerata insieme a Z.serrata capostipite del genere(1).

(1)Naciri et al. Species delimitation in the East Asian species of the relict tree genus Zelkova (Ulmaceae): A complex history of diversification and admixture among species. Mol Phylogenet Evol. 2019 134:172-185.doi: 10.1016/j.ympev.2019.02.010.

Pero corvino

Amelanchier canadensis

Amelanchier canadensis

Ecco i fiori dell’Amelanchier, detto anche pero corvino, sbocciati sul piccolo arbusto che cresce nel mio giardino. Avevo già mostrato i frutti acerbi nel magico parco di Burcina a Biella. Questa specie è la stessa di allora,  Amelanchier canadensis, mentre la specie che è spontanea nel nostro paese,  Amelanchier ovalis,  è  più tomentosa e con petali più sottili. Tipica rosacea, ha appena cominciato a mettere le foglie.  Messa a dimora due anni fa, forse quest’anno assaggeremo i piccoli frutti.

L’inverno della bouganvillea

BouganvilleaDurante una passeggiata sulla strada di casa, scopro questo cespuglio, alto e robusto, con rami lunghi esili e spinosi, su cui spiccano avanzi di fiori, brattee di aspetto cartaceo. In mezzo alle brattee, sono incollati i frutti,  oblunghi, di forma poliedrica. La sorpresa iniziale lascia il posto a una sensazione di averla già incontrata, magari con tutt’altro, ben più sgargiante, vestito. E’ vero, l’inverno l’ha denudata, ma questo cespuglio spoglio non è altro che una bouganvillea, pianta eterea e sfarzosa che d’estate riempie di colore i muri più assolati. Poco importa che l’inverno sia, forse, già finito. Per la bouganvillea la stagione è ancora troppo indietro per cominciare a pensare alla rinascita. Non occorre neppure ricordare lo splendore della sua fioritura per riconoscere le brattee sfiorite (19 agosto 2008).  Per quanto riguarda la specie, non credo che si tratti di  B.spectabilis,  che il sito  Acta Plantarum riporta come naturalizzata. Questa pianta cresce in un giardino e mi sembra piuttostoquelle B.glabra, come classificata nei post precedenti.

Poco importa anche che le informazioni su questa, comunissima e conosciutissima, pianta esotica, anche se orai  naturalizzata, siano un po’  contradittorie.  ‘Si riproduce solo per talea e non fa semi’ …  ‘I semi della bouganville sono racchiusi in baccelli e a maturazione sono tondeggianti dal colore nero con superficie rugosa” … ‘Il frutto della bouganvillea è un piccolo achenio a cinque lobi’.  Forse il piccolo achenio contiene veramente semi neri e rugosi, simili a quelli di un’altra esotica invasiva della stessa famiglia, la bella di notte (18 settembre 2009). I semi della bella di notte germinano con estrema facilità, rendendola una specie particolarmente invasiva. Viceversa, è incerta la possibilità di propagare la bouganvillea partendo dal seme, anche se tentare non nuoce mai.

Quello che mi ha più sorpreso non sono stati i frutti, inusuali ma prevedibili, bensì  il  portamento arboreo, l’aspetto ramificato, ma diritto. Sempre l’avevo immaginata pianta avventizia, incapace di sostenersi con le proprie gambe. Invece non è così. Mai sottovalutare le capacità delle piante.

Cedro deodara o dell’Himalaya

Cedro deodara

Cedrus deodara
cedro dell’Himalaya

Cedro deodara

Cedrus deodara
cedro dell’Himalaya

Il cedro deodara è il più nobile dei cedri,  albero maestoso, longevo, il cui nome significa ‘dedicato a Dio’.  Infatti nella sua terra d’origine, l’Himalaya, è albero sacro, venerato religiosamente. Per questo mi pare sia degno di un post tutto suo, dopo un po’ di confusione del passato. Riassumendo, avevo attribuito a questa specie i cedri del parco della badia di Tiglieto (vedi 1 febbraio 2009), per poi ricredermi assegnandoli più correttamente alla specie atlantica.
Oggi incontro il cedro deodara, in un sabato di sole e vento selvaggio, lungo il bel sentiero botanico dell’eremo del deserto di Varazze.  Dell’attribuzione sono certa anche se non riesco inizialmente ad apprezzarne il portamento, in fila lungo il sentiero, con un giovane esemplare piegato, forse dal vento.  Bisogna alzare lo sguardo per aria per apprezzarne la maestosità e poi guardare le sottili foglie, aghiformi, ma non pungenti, riunite in ciuffetti da 10 a 20 aghi su corti rametti detti brachiplasti.
Simbolo di fertilità e durevolezza, si distingue dai suoi comuni, cioè non divini, parenti per i rami penduli, il fogliame più chiaro, gli aghi più lunghi e soffici.

Le araucariaceae, antichi giganti

Agathis robusta Araucariaceae

Agathis robusta
Araucariaceae

 

Di fronte alla palazzina degli uffici direzionali del’orto botanico di Roma, cresce un albero immenso. Si chiama Agathis robusta e viene dall’Oceania, dove è chiamato pino kauri, o semplicemente kauri.

Agathis robusta - foglie

Agathis robusta – foglie

Il più famoso dei kauri è Agathis australis, endemico della Nuova Zelanda, il cui legno è da sempre utilizzato dai maori per la costruzione delle loro imbarcazioni. Altro prodotto di questo genere di piante è la resina, detta gomma di kauri, un liquido lattignoso che solidifica all’aria e diventa dell’aspetto dell’ambra.
Alberi possenti e incredibilmente longevi, i kauri fanno parte di un’antica famiglia di conifere, le araucariaceae, che ebbe origine nel periodo Triassico, insomma 250 milioni di anni fa, anno più anno meno, anche prima dei dinosauri. Queste piante sono totalmente scomparse dall’emisfero boreale, allo stato spontaneo e fuori dai giardini botanici e parchi, ma ancora se ne incontrano nell’emisfero australe, in Oceania e Sud America.

Nel bellissimo giardino botanico di Prato Rondanino, ho fatto la conoscenza con alcune  meraviglie della famiglia. La più straordinaria è Wollemia nobilis (sotto a sinistra), la pianta più antica del pianeta. Fino al 1994, quest’albero era conosciuto soltanto attraverso alcuni reperti fossili di 90 milioni di anni e ritenuto estinto. Ma proprio in quell’anno, nel Wollemia National Park delle Blue Mountains in Australia, il guardia parco  David Noble rinvenne in un canyon profondo 200 metri 50 esemplari di Wollemia.  Il più grande esemplare oggi è alto 40 metri, con un tronco del diametro di 1,2 metri. Riprodotto per via meristematica (cioè mediante clonazione dalle cellule meristematiche o staminali), è stato distribuito negli orti botanici di tutto il mondo per assicurarne la salvaguardia. Quello di Prato Rondanino è un giardino botanico di montagna e le condizioni possono diventare proibitive per un albero di quel genere. Spero davvero che sia sopravvissuto e non vedo l’ora di andare ad assicurarmene.

Un’altra specie rappresentativa della famiglia è la Araucaria araucana, fra le araucarie più resistente al freddo, e quindi più adatta al clima del giardino, ed è anche la più simile alla Wollemia. L’Araucaria, o pino del Cile, divenne nota agli europei nel 17° secolo ai tempi della conquista spagnola del Sud America. Il nome deriva da quello degli Araucani, una popolazione indigena che abitava la zona dove fu rinvenuto. E’ un albero grande e bizzarro che forma immense foreste millenarie che abbracciano le pendici delle Ande.  Ha un aspetto  inconfondibile, un portamento geometrico e regolare e foglie, triangolari, parzialmente sovrapposte fra loro come le tegole di un tetto e disposte a spirale lungo i rami.  Le foglie dell’araucaria sono straordinariamente persistenti e posso rimanere attaccate ai rami per 10, addirittura 15 anni.

Wollemia nobilis, Araucariaceae

Wollemia nobilis

Araucaria araucana, Araucariaceae

Araucaria araucana

I semi di araucaria erano un nutrimento importante per gli indigeni che hanno dato il nome alla pianta. I frutti venivano raccolti lanciando una pietra legata a una corda, in modo che la fune si attorcigliasse tenacemente a un ramo e permettesse di arrampicarsi.

Purtroppo non l’ho mai incontrata nel suo ambiente originario, ma approfitto di una testimone oculare  molto attendibile.  Ecco che cosa racconta delle araucarie cilene Laura Bonetti nel suo blog di viaggio attraverso la Patagonia : “… La corteccia dell’araucaria è stranissima. Sembrano pezzetti di puzzle, un mosaico… Gli alberi di araucaria maschi fanno dei frutti simili alle pigne.  Mentre gli alberi femmina fanno delle “pigne” molto più grosse e rotonde, al cui interno ci sono i piñones. L’aspetto è quello di un pinolo gigantesco. Ma proprio gigantesco! Alla fine ne raccolgo mezzo chilo… La preparazione è lunga. Dopo avergli fatto un taglietto (come le castagne) li metto a bollire per circa 40 minuti.Poi vanno sbucciati… e finalmente possiamo assaggiarli!!! Il sapore ricorda un pochino quello delle castagne, ma molto più delicato, con retrogusto di pinolo. Buoni!”

Avevo conosciuto altre Araucarie nei parchi di Nervi (Genova) : Araucaria bidwillii  (27 dicembre 2009)  e Araucaria cookii  (29 dicembre 2009), il cui nome corretto è oggi  A. columnaris, e nei giardini di villa Hanbury presso Ventimiglia, Araucaria cunninghamii, tutte originarie dell’Oceania.