Benedetta Angelica

Angelica sylvestris

Angelica sylvestris

Angelica sylvestris

Angelica sylvestris

 

Stretta parente della leggendaria Angelica archangelica, non più presente allo stato spontaneo da nessuna parte, Angelica sylvestris è una nobildonna decaduta e si propaga con voluttà in ogni recesso del giardino. Quando cresce è una pianta imponente come la sua amica imperatoria.  Le infiorescenze racchiuse in ampie guaine verdaste, simili a quelle che proteggono la base delle foglie, si aprono in ombrelle fitte di microscopici fiori appena rosati. I fiori dell’Angelica archangelica, mi dicono, invece tendono al giallo, ma io non li ho mai visti.

Per non confonderla con le ombre verdi che ovunque la circondano, ho usato un cartoncino nero come sfondo. Il risultato mi ha lasciato incerta. Mi pare spaesata, e innaturale. E le lascio una rivincita inquadrandola senza artifici, ma visitata da imenotteri che classificherei fra le vespe. Spesso questi animali  ispirano un timore misto a ribrezzo e ciò non rende loro pienamente giustizia. Sono invece insetti utili perchè, essendo carnivori, si cibano di molti parassiti delle piante, come per esempio le orribili cimici che deturpano i raccolti da qualche anno a questa parte. Trovo le vespe molto belle, e ho imparato a non disturbare i loro nidi, come loro non disturbano me. E ho anche imparato che sì, anche le vespe possono impollinare (vedere qui).

Angelica sylvestris

Angelica sylvestris

Tornando alla nobile angelica, la tradizione la vuole pianta dalle proprietà miracolose. Secondo la leggenda, prende il nome dall’arcangelo Michele e si credeva che fiorisse ogni anno l’8 maggio, giorno in cui, nel XIV secolo, l’arcangelo sarebbe apparso a un eremita suggerendogli di usarla  per curare la peste.  Infatti Paracelso la utilizzò durante la grande peste di Milano nel 1510. Pianta magica del Rinascimento, la “radice dello Spirito Santo” era famosa per proteggere dagli incantesimi e dai malefici ed è stata per lungo tempo considerata una panacea in materia di prevenzione dalle infezioni e da tutti i tipi di malattie. Tuttavia, come si legge nella scheda a lei dedicata su actaplantarum, già Linneo aveva ridimensionato le sue supposte origini sacre.

Il genere, che comprende circa 60 specie in tutto il mondo, è citato dalla letteratura scientifica come antinfiammatorio, diuretico, espettorante e diaforetico, utile per raffreddori, influenza, epatiti, artrite, indigestione, tosse, bronchite cronica, pleurite, tifo, mal di testa, febbre, coliche, mal d’auto e di mare, reumatismi, infezioni batteriche e fungine e malattie dell’apparato urinario. Ma soprattutto la nostra angelica viene impiegata in fitoterapia perchè la sua grossa radice racchiude un olio essenziale benefico per tutto il sistema digestivo. Ha proprietà antispasmodiche, agisce sulle coliti calmando efficacemente gli spasmi intestinali e il dolore. E’ colagoga, cioè favorisce il flusso della bile, facilitando così la digestione, e cura aerofagia e meteorismo.

E’ anche una pianta alimentare, di cui si possono consumare fusti e foglie.

Cerfoglio inebriante

Cerfoglio inebriante

Cerfoglio inebriante
Chaerophyllum temulum

Mentre inseguo nel bosco le fioriture di stagione, mi imbatto sempre in alcuni personaggi misteriosi che per lungo tempo mi hanno nascosto la loro identità.  Le piante della famiglia delle Apiaceae, un tempo chiamate più pittorescamente Ombrellifere, sono molto ingannevoli. Fra di loro si annoverano interessanti piante alimentari, alcune preziose come la carota (Daucus carota), o intriganti come sedano (Apium graveolens, che è quello che dà il nome alla famiglia), prezzemolo e cerfoglio,  ma anche alcune fra le piante più velenose della storia, come la cicuta maggiore, Conium maculatum, e minore, Aethusa cynapium.

Cerfoglio inebriante

Chaerophyllum temulum

Così, mentre credevo che questa comunissima ombrellifera del sottobosco fosse un innocuo e insapore cerfoglio selvatico, scopro oggi che di simil-cerfoglio si tratta, ma che tanto innocua non è.  La cicutaria, o anacio, o cerfoglio peloso, viene detta anche cerfoglio inebriante perchè contiene un alcaloide tossico, la cherofillina, particolarmente dannosa agli erbivori, e che provoca negli umani che irresponsabilmente la ingerissero sintomi simili a una forte ubriacatura. L’aggettivo temulum con cui viene identificata la specie significa in latino  ‘che causa stordimento’.  La sostanza è misteriosa e sfuggente,  e alcuni studiosi pensano che forse non si trovi proprio nella pianta, ma in un fungo ad essa simbiotico.
I fusti sono pelosi e hanno macchie rossicce, le infiorescenze a ombrella sono composte di fiorellini bianchi o rosa con petali tutti uguali; i semi sono fusiformi, lisci e privi di costolature.
Se ne sta volentieri nella mezz’ombra dei alberi radi  e alberga ragni e insetti sulle ombrelle mature. Una delle sue caratteristiche morfologiche più evidenti dovrebbero essere i rigonfiamenti alla base del picciolo fogliare, ma ci farò caso la prossima volta.

Imperatoria cervaria

Imperatoria cervaria

Imperatoria cervaria
Cervaria rivini

Un’altra ombrellifera (più correttamente apiacea) abbastanza comune, ma sfuggente, come tutte le ombrellifere a fiori bianchi,  per la fatica che si fa  a riconoscerle.  Inserita fino a poco tempo nel genere Peucedanum  (si chiamava Peucedanum cervaria), ora si è conquistata un genere tutto suo, dall’etimologia un po’ inquietante.  Cervaria infatti deriva  dal latino “cervarium venenum”, erba velenosa citata da Plinio utilizzata per ungere le frecce.  Si tratta di un’erba velenosa? Non sembrerebbe davvero, o per lo meno non di più della maggior parte delle altre.  Le sue ex-parenti del genere Peucedanum sono piante di antica tradizione nella medicina popolare, usate nel trattamento del mal di gola, ma anche dell’epilessia (ho ancora da trovare una pianta non usata nel trattamento dell’epilessia), dei dolori alle articolazioni, e nei disturbi respiratori e gastrointestinali.  In breve, per quasi tutto.
Ma la Cervaria di Rivinus (nome latinizzato di August Bachmann, botanico tedesco del XVII secolo) ormai è un genere a sè, e sembra davvero un’erba un po’ particolare, ricca di ‘acidi grassi molto interessanti’ e ‘rari derivati di cumarine’.  Imperatoria cervaria Le cumarine sono composti aromatici di struttura benzopiranica e dall’odore caratteristico.  L’odore è quello dell’erba tagliata, del fieno, e questo la dice lunga sulla diffusione di queste sostanze, ovunque nei prati.  E’ possibile tuttavia che Cervaria contenga della cumarine tutte sue che ancora ci devono rivelare le loro caratteristiche.  Come tutti i preparati fitoterapici sarà inevitabile che i benefici si mescolino a potenziali pericoli, e che sostanze vitalmente attive debbano essere smascherate nella loro forma più efficace.  Un lungo lavoro, insomma, che la medicina tradizionale  poteva pemettersi di evitare, utilizzando ogni pianta con parsimonia, saggezza, e in combinazione con altre.

Diffusa quasi ovunque in campagna, per ora mi preoccupo di individuare qualche trucco per distinguere l’imperatoria cervaria dalle altre apiaceae. Osservo bene le foglie, pennatosette, ovali con margine seghettato, i piccoli fiori con cinque petali bianchi, e soprattutto i semi, schiacciati, con strette ali, di colore verde che vira leggermente al rossiccio.  La saprò riconoscere?

Panace comune

Si fa chiamare panace perchè dovrebbe essere la panacea di tutti i mali, ed effettivamente nei tempi passati quest’erba veniva utilizzata per curare le più svariate affezioni, e anche come pianta alimentare.

Panace comune

Heracleum sphondylium

Ma, come chi conosce le erbe fa spesso osservare, è molto difficile identificare in modo corretto le Apiaceae (ombrellifere) a fiori bianchi, molte delle quali sono assai velenose, come la cicuta maggiore e minore, e quindi la cautela è obbligatorio. Ad eccezione di alcune specie che conosco dall’infanzia, io sono sempre dubbiosa sul nome da dare a tutte queste piante, così simili e così leggermente diverse.  Sarà lei?  Non sarà lei? Come sempre, ci provo.
Il nome scientifico, Heracleum, si riferisce a Ercole, il greco Eracle,  forse per le dimensioni possenti che la pianta può assumere. In inglese si chiama hogweed, che significa letteralmente erba dei porci; non è un gran nome per una pianta alimentare, perchè i porci, si sa, mangiano di tutto.  Le foglie sono ampie, palmate e di forma molto variabile e hanno un glorioso passato nelle zuppe fermentate polacche.

Panace

Foglie di panace comune
(Heracleum sphondylium)
la foglia oblunga sotto i fiori è quella di un’ortica (Urtica dioica) che si è intrufolata nella foto

La lattofermentazione è  molto usata per la conservazione delle verdure nell’Europa dell’Est e se cavoli e cetrioli, ma anche carote e barbabietole, conservate con questo metodo non sorprendono più di tanto, in passato anche molte piante spontanee erano sottoposte a questo processo per consumarle.  Oggi, come ci informa questo interessante articolo, la lattofermentazione delle piante selvatiche, una volta molto diffusa fra le popolazioni slave, è completamente sparita dalle campagne.  Ma la panace, Heracleum sphondylium, menzionata per la prima volta come alimento e come medicina nel 1595,  è stata  anche l’ultima erba selvatica ad essere utilizzata in questo modo in Polonia e Lituania fino al XIX secolo in una zuppa detta barszcz. Lo stesso articolo riferisce di aver trovato almeno due esempi dell’utilizzo della panace in una zuppa affine al barszcz nei Carpazi fino al XX secolo.  Il sistema è semplice:  si mettono fusti e foglie in un’arbanella, coperti di acqua e si lasciano stare per qualche giorno prima di cuocerli nella zuppa. Il metodo però non è standardizzato e certamente richiede, anche per le verdure più usuali, pratica e consapevolezza.

Anche per la panace, toccasana per tutti i mali, c’è il rovescio della medaglia.  A causa della presenza di una sostanza della classe delle furanocumarine, questa pianta può causare reazioni di fototossicità, ovvero provocare irritazioni della pelle, anche severe,  su soggetti sensibili,  specie in caso di esposizione al sole.  Questa caratteristica è comune anche ad altre ombrellifere ed è particolamente significativa in un’altra panace, oggi oggetto di attenzione e preoccupazione, la panace di Mantegazzi, Heracleum mantegazzianum, considerata una specie tossica pericolosamente invasiva.

Imperatoria di Tommasini

Tommasinia altissima

Imperatoria di Tommasini
Tommasinia altissima

Imperatoria di Tommasini
Assomiglia, e molto, all’Angelica (8 agosto 2008), tanto che può confondere anche osservatori più esperti di me, ma è ancora più imponente, spavalda, e il suo portamento suggerisce la statura imperiale del suo nome comune, imperatoria. Il nome scientifico viene da Muzio de Tommasini (1794-1879), uno statista triestino appassionato studioso della flora.

Tommasinia ha ombrelle ampie, frutti pesanti e un robusto fusto rossastro,  cilindrico, può raggiungere i 3 metri di altezza. Con angelica, che però è più piccola di statura, condivide una certa prestanza, le foglie cauline provviste di guaine rigonfie che avviluppano i rametti laterali e l’aspetto delle infiorescenze ancora in boccio.  Diversi i fiori, di colore giallo deciso nella tommasinia e bianco rosata, formata di corolle piccolissime nell’angelica.  Non è una painta acquatica, ma spesso si incontra  negli alvei dei fiumi e non si fa intimidire dalla corrente.  L’ho scoperta spesso sulle sponde del fiume Trebbia,  nelle vicinanze di Rovegno in questi giorni, come nel luglio 2011.  Ripropongo qui sotto anche le foto  pubblicate allora, quando l’avevo identificata con il sinonimo Tommasinia verticillaris.

Nonostante la somiglianza, non ha le virtù alimurgico medicinali dell’Angelica e, forse, neppure la sua fototossicità; anzi risulta una buona a nulla, assente da tutti i database e priva di utilizzo noto. Non ci credo… mi aggiorno.

Imperatoria di Tommasini
Imperatoria di Tommasini
Imperatoria di Tommasini
Imperatoria di Tommasini

 

  

 
 

 

Lappolina

Lappolina

Lappolina
Torilis arvensis

Un’ombrellifera da niente, pianticella senz’arte nè parte, che cresce come può e dove può e in quest’estate umida e afosa si lascia colonizzare da ogni genere di piccole creature, afidi e altri generi di pidocchi, le formiche che li pascolano,  e vari ragnetti colorati .  La famiglia si chiama ormai da tempo Apiaceae  dall’esponente più rappresentativo,  Apium,  ovvero il sedano.  Ignoro che cosa suggerisca qual è l’esponente più rappresentativo.

Il genere, Torilis, è una via di mezzo fra Tordylium (cosidetti ombrellini pugliesi) e Caucalis, un altro genere di Apiaceae a cui precedentemente si faceva appartenere questa pianta.

Lappolina

Torilis arvensis– frutti

L’ho incontrata in radi cespugli in mezzo al giardino e cresce anche copiosa sul bordo della strada.  D’istinto la guardo con diffidenza. Conosco quattro o cinque ombrellifere, mi ostino a chiamarle così, e confondo tutte le altre, che mi sembrano tutte uguali.  Ma questa volta ho fatto una sforzo,  i piccoli frutti sono coperti di una fitta peluria, che si rivela formata di aculei sottili con la punta vagamente arrotondata.  Sarà Torilis arvensis?  Gli aculei dei frutti sono attenuati in una punta uncinata, a forma di freccia.  Oppure Torilis japonica?  Questa specie, il cui nome suggerisce un’esoticità che non le appartiene, perchè  è diffusa quasi dappertutto, compreso il Giappone, ha peli semplici, non uncinati.  Credo di poter sopravvivere al dubbio,  fiera come sono di essere in grado di riconoscere un altro genere di ombrellifere,  lo stelo esile e rigido, le foglioline pennatosette, triangolari, appuntite.

Mi incuriosisce di più il nome comune,  un vezzeggiativo gentile, come fosse una di casa. E mi stupisce che questa pianticella non abbia alcun utilizzo pratico, anche se mi conforta non sia classificata come velenosa.

Cilantro

coriandrum sativum

Coriandrum sativum


Il nome italiano sarebbe coriandolo, oppure prezzemolo cinese. Ma da quando ho scoperto questo nome spagnolo di cilantro, mi pare che gli si addica molto di più; per lo meno nessuno lo confonderà più con i pezzettini di carta colorati che si tirano a Carnevale.
Il cilantro è un prezzemolo dal sapore esotico e leggermente piccante. E’ una pianta annuale che fa graziose ombrelle bianche e semi tondi come pisellini, anch’essi utilizzati in cucina per aromatizzare vari piatti.

Prezzemolo

Petroselinum sativum
La mia vicina di casa è andata questa mattina a seminare il prezzemolo per l’inverno. Dice che il prezzemolo seminato il giorno di ferragosto cresce meglio e ‘non va in semenza’. Cerco di interpretare la credenza popolare perchè il prezzemolo è una pianta rigorosamente biennale (come altre apiaceae fra cui la carota) e non l’ho mai visto fiorire, e quindi andare in seme, durante il primo anno dalla semina. I manuali di orticoltura domestica suggeriscono di seminare il prezzemolo due volte l’anno, una in primavera e l’altra in estate, per avere foglie fresche tutto l’anno; e naturalmente va raccolto durante il primo anno, perchè nel secondo la pianta, impegnata com’è a fiorire e fruttificare, ha foglie più piccole e più coriacee.

Anthriscum cerefolium

Anthriscus cerefolium

Tutto verificato, e forse l’usanza popolare deriva dal fatto che se si semina a ferragosto il prezzemolo avrà ancora foglie commestibili per tutta la primavera successiva, e magari persino fino all’inizio dell’estate, quando quello seminato in primavera sarà già arrivato a semenza. Io la mia semina estiva comunque l’avevo già fatta a luglio e anche se dovessi rimanere senza ne preparerò certo molti involtini congelati nella stagnola, oppure ancora meglio in una piccola scatola.
Mi ha sorpreso invece il cerfoglio (Anthriscus cerefolium), che credevo anch’essa pianta biennale, e invece è già in fiore. Ho controllato in diversi testi e benchè alcuni effettivamente la indichino erroneamente come biennale, pare proprio che il cerfoglio, così simile al prezzomolo anche se di sapore più delicato, sia pianta annuale e pertanto faccia tutto subito, foglie, fiori e semi.

Pastinaca

Pastinaca sativa

Pastinaca sativa

Il nome non lascia dubbi, Pastinaca sativa è una pianta coltivata per usi alimentari. Una ragazza di Napoli molti anni fa mi disse che pastinaca in napoletano vuol dire carota. Non posso confermarlo, ma effettivamente la pastinaca è una radice che si mangiava e veniva persino chiamata ‘carota bianca’. In etnobotanica è anche nota per le sue proprietà diuretiche e digestive. Mi sorprende oggi la sua fioritura gialla, i suoi grossi frutti (sono frutti, frutti, non semi) verdognoli, le sue foglie larghe che significano che non può essere il finocchio selvatico (Foeniculus vulgaris, 31 luglio 2008). La radice non l’ho mai vista e immagino che bisognerebbe raccoglierla nel primo anno di vita (come altre ombrellifere la pastinaca è una pianta biennale), molto prima che sboccino i fiori. Forse per assaggiarla la cosa migliore sarebbe seminarla in giardino.

Fisospermo di Cornovaglia

Physospermum cornubienseNonostante il nome complicato e la provenienza apparentemente nordica, si tratta di un pianta di ambiente mediterraneo, comune nella mezz’ombra del bosco. Quando ero bambina, usavamo queste foglie per rappresentare il sedano nel gioco del mercato. E la famiglia è proprio quella del sedano, le apiaceae, da Apium, sedano, una famiglia molto ampia, ma che conosco poco e che mi risulta piuttosto ostica. Infatti non è rappresentata in questo blog come dovrebbe, data la sua diffusione e la sua importanza.
Tornando al fisospermo, il nome significa che ha semi rigonfi, come si potrebbe intuire dalla, pur scadente, fotografia. Nonostante l’aspetto, le foglie di questa pianta non pare siano commestibili e non ho trovato citato alcun utilizzo. Poco male, non le ho mai mangiate davvero.
Physospermum cornubiense
Mi rimane una certa sorpresa ad apprendere che una pianta per me così familiare (e lo è, nei boschi di castagno e faggio dell’Appennino) non sia niente di conosciuto, non una specie di sedano o prezzemolo selvatico (come quel Oreoselinum nigrum incontrato il 10 ottobre 2009 ai piani di Praglia), ma un personaggio un po’ arcano, che viene dalla Cornovaglia (nota penisola dell’Inghilterra del Sud), assente nei trattati elementari e diverso da forme conosciute… Come sono complicate queste ombrellifere. Come sono complicate le piante in generale, come è illusorio imparare a conoscerle e riconoscerle da qualche decina di fotografie o di immagini anche accurate, ma insufficienti.
Il fisospermo, comunque, io lo tengo sempre vicino al mio cuore, come il mio ‘sedano’ personale.