Agavi

Agave americana

Agave americana

Sulla scogliera di Sori, poco sotto al cimitero, le agavi sono in fiore. Ne ho contato tre, altissime infiorescenze giallo verdi, così imponenti da spaventare. Una sola si staglia abbastanza bene contro il cielo da risaltare in questa fotografia rubata dalla spiaggia. Il fiore è ancora florido e sfolgorante, ma il suo destino è segnato.  Come tutti sanno, quando il fiore va in frutto, la rosa di foglie carnose alla base ha terminato il suo compito e muore. E’ curioso che desti stupore la morte delle foglie dopo il frutto. Succede a moltissime altre piante. Le piante annuali, come la maggior parte dei prodotti dell’orto, si riseminano ogni primavera. Le biennali, come la carota, crescono soprattutto radici e foglie durante la prima stagione, vanno a fiore e frutto nella seconda, e poi sfioriscono e muoiono.
Naturalmente l’agave è diversa. Arriva dal Messico, dove ne esistono circa 300 diverse specie, e dove ha anche un valore commerciale perché dalle sue fibre viene estratta una bevanda alcoolica. Da diversi secoli ormai viene coltivata come pianta ornamentale in tutta la regione mediterranea. E’ una monocotiledone ed è stata definitivamente inserita nella famiglia delle Asparagaceae, con agli e giacinti. Cresce per 10, anche 15 anni prima che compaia finalmente, per la prima e l’ultima volta, il lungo stelo fiorito. Ma quando il frutto muore non ha neppure bisogno di rinseminarsi per ricrescere, perché la rosetta si riproduce facilmente per via vegetativa attraverso polloni radicali. Come dire che già sotto le foglie morte rinascono subito nuovi germogli. E allora non è vero che quell’infiorescenza immensa che sale alto alto sopra la sua foglia madre sia una specie di figlio snaturato che toglie la vita a chi lo ha messo al mondo. Le piante come l’agave sono più lungimiranti, sanno che è giusto che il vecchio si faccia da parte per far posto ai giovani virgulti.

(ripreso dal mio vecchio blog del 9 settembre 2008)

Un asparago in giardino

E’ cresciuto un asparago sotto l’olivo, una pianticella già alta accanto a un allampanato turione.

Asparago selvatico

Asparagus acutifolius

Ce ne vorrebbe un cespo per cucinare un’appetitosa frittatina e ormai la stagione è già troppo avanzata. Mi vengono in mente certe scorribande sui pendii della riviera alla ricerca dei preziosi germogli, sempre molto più saporiti dei loro cugini da fruttivendolo. Quando si vedono i mazzi di asparagi sui banchi del mercato, verde scuro quelli più sottili, o rosso nerastri i più tozzi, legati stretti come fascine, è difficile pensare all’esile pianta dalle minuscole foglie appuntite che cresce nel sottobosco mediterraneo. Eppure Asparagus acutifolius e il coltivato Asparagus officinalis sono davvero molto somiglianti. Ancora più curiosa è la sua parentela con piante apparentemente molto diverse come agli e gigli, che per molto tempo hanno convissuto nella stessa famiglia delle Liliaceae.  La classificazione di queste monocotiledoni pare abbia messo a dura prova i tassonomisti che le hanno fatto transitare negli ultimi decenni da una famiglia all’altra, creandone e disfacendone alcune. Ma in anni più recenti, la classificazone si avvale degli studi sul DNA e molte incertezze sembrano definitivamente chiarite. Gli asparagi risultano imparentati più direttamente con agavi e yucche, e ancora di più con Ruscus, il pungitopo, che come gli asparagi presenta giovani germogli squamosi, detti appunto turioni.

Asparago selvatico

Asparagus acutifolius

Le minuscoli foglie, pungenti e impalpabili, sono in realtà rametti trasformati (cladodi) che svolgono tutta la funzione fotosintetica. Il loro aspetto conferisce alla pianta adulta l’apparenza di nuvola verdeggiante e per questo viene impiegata dai fiorai come ornamento verde nelle composizioni floreali. L’effetto decorativo è maggiore nelle specie a bacche rosse, come Asparagus densiflorus, mentre l’asparago selvatico ha bacche verdi e poi nere.  Gli asparagi hanno proprietà diuretiche e depurative, vengono usati anche come protettivi del fegato e nella cura dell’obesità e il loro brodo di cottura è considerato antidiabetico. Tuttavia sono controindicati nel caso di affezioni renali. Nelle antiche abitudini contadine, le fogliette acuminate dell’asparago venivano utilizzate in vari modi, per esempio per lavare le botti per il vino o per allontanare le mosche.

Fiori di yucca

Yucca

Yucca gloriosa
prima della fioritura

La yucca non è una palma. Ho imparato a riconoscerla nel 1987, dalle parti del Big Bend National Park in Texas,  alta diversi metri, con le sue lunghe foglie rigide e acuminate e le pannocchie di fiori bianchi. Ne esistono circa quaranta specie e in passato era attribuita alla famiglia delle Agavaceae, che classificazioni più moderne hanno relegato a sottofamiglia delle Agavoideae nella più vasta famiglia delle Asparagaceae.

Yucca gloriosa

Fiori di Yucca gloriosa

 

 

 

 

In città la yucca si incontra spesso nelle aiuole, quasi ovunque nella zone temperate, più o meno fiorita, più o meno negletta. I suoi fiori, floridi e lussureggianti, un po’ patinati, ma in fondo freschi e sinceri anche in questo autunno quasi inverno, passano stranamente inosservati, quasi fossero finti.
Eppure nel suo ambiente, in quel rigoglioso deserto texano al confine col Messico, facevano la loro figura, sbocciando inaspettati in mezzo a quei cespi irsuti, e li cercavamo con gli occhi, felici di averli riconosciuti. Così mi sono affezionata alla yucca, un po’ spaesata, un po’ deportata, e spero ancora sempre di incontrarla fiorita.

post riproposto da 1 gennaio 2010.

Di giacinti e giacintoidi

Hyacinthus orientalis in giardino

Il magnifico, e perfido,  giacinto è una pianta celebre e celebrata.  La sua fioritura, breve ed intensa, si esaurisce però fra la fine di marzo e la prima settimana di aprile. E poi non resta nulla. Come per molte altre bulbose, compresi gli affascinanti tulipani, bisogna farsene una ragione. Torneranno all’inizio della prossima primavera, meraviglie attese eppure sempre inaspettate.
Anche nel mio giardino da qualche tempo ho i miei giacinti, che si sono moltiplicati generosamente negli anni.  E anche diversi suoi parenti, pseudogiacinti li chiamerei, detti anche  scille o campanelle.  Sono fiori appartenenti al genere Hyacinthoides, così chiamato da Linneo proprio per accomunarlo e distinguerlo dal giacinto della mitologia. Nella sua successiva storia botanica, questa pianta ha avuto altri nomi, è stata inserita nel genere Scilla e poi Endymion, prima di ritornare defintivamente nel genere originale, dove è rimasta.  Si tratta di neofite naturalizzate, coltivate nei giardini e poi sfuggite alla coltivazione.  Gli inglesi le chiamano ‘bluebell’, campanella azzurra, ma campanule in realtà non sono, bensì ex Liliaceae ora Asparagaceae.
Nel mio giardino cresce e fiorisce ogni aprile Hyacinthoides hispanica, campanula spagnola, che qualche tempo fa avevo incontrato nel magico giardino di villa d’Este a Tivoli e presentato come Scilla campanulata. Viene dalla Polonia, da dove ho portato in regalo una manciata di bulbi. Non è soltanto blu, ma anche rosa, quest’ultima più piccola ed esile, ma ugualmente graziosa. La fioritura di queste piante si protrae per tutto aprile e lasciando i bulbi a dimora per tutto l’anno senza disturbarli, sarà, nella primavera successiva, sempre più abbondante.

Hyacinthoides hispanica

Hyacinthoides hispanica blu

Hyacinthoides hispanica

Hyacinthoides hispanica rosa

Quest’anno il mese di aprile è stato limpido e colorato, ma l’emergenza sanitaria ci ha rinchiuso entro i confini di casa.  O poco più.  Nel giardino accanto, un tempo paradiso naturale amorevolmente accudito dai proprietari, ora abbandonato a se stesso da qualche anno,  ho scoperto,  durante l’ora d’aria,  fioriture strabilianti. Nascosto sotto un cespuglio di Deutzia crenata  scopro il parente semi selvatico delle bluebell da giardino, Hyacinthoides non-scripta,  non descritta,  forse non menzionata nei trattati. E’ di dimensioni ridotte, azzurro pallido, rosa lilla e bianca. Pochi giorni dopo eccola anche il mio giardino, dove la incontro nel terrapieno di fronte a casa, in mezzo ai tubi d’acciaio che gli operai hanno abbandonato disordinatamente durante i lavori di ristrutturazione.  E poi tardiva, nell’aioula fronte strada, campanelle bianche, smarrite ma spavalde, microscopiche e fiere.

Ho sempre pensato che il giacinto fosse una pianta molto velenosa, ed effettivamente varie fonti lo confermano.  Tutta la pianta, e soprattutto il bulbo, contiene alcaloidi che possono provocare seri disturbi, mentre il contatto con le foglie può causare dermatiti e reazioni allergiche, tanto che è consigliato maneggiarlo con i guanti.  Hyacinthoides poi contiene vari agenti velenosi che provocano effetti simili a quelli causati dalla Digitalis.  Ma  le piante tossiche sono medicine e nella farmacopea britannica il giacintoide veniva usata, a dosi controllate, come espettorante, nelle affezioni delle vie respiratorie e per il riassorbimento di essudati.  Il giacinto è pianta storica, anzi mitologica, e il suo nome è di origine cretese, adottato dai Greci quando nel II millennio aC invasero l’Egeo, e con le omonime Brimeuria e Bellevaria rivestì importanza alimentare fra i popoli primitivi. Così leggo nell’importante compendi di Sandri Pignatti a propositi delle tre specie note come giacinti.

Hyacinthoides non-scripta

Hyacinthoides non-scripta
nel giardino vicino

Hyacinthoides non-scripta

Hyacinthoides non-scripta

Hyacinthoides non-scripta
in fondo al giardino

 

Cipollaccio: Muscari ovvero Leopoldia

Cipollaccio

Leopoldia comosa
Cipollaccio

Il Muscari comosum (vedi 17 aprile 2009) ha cambiato nome e, in onore del Granduca di Toscana Leopoldo II, oggi si chiama Leopoldia comosa.  Almeno dicono alcuni, mentre in altre fonti le due denominazioni vengono considerate sinonimi.  Nè il Granduca nè l’ottimo bulbo a fiori blu se ne avranno a male se dico che non so bene come chiamarlo e in confidenza preferisco  cipollaccio.
Su un punto però concordano tutti con APG III, e cioè sulla nuova collocazione nella famiglia delle Asparagaceae, e non più Liliaceae com’era tempo fa, insieme ad Agave, Hyacinthus e Hyacinthoides e naturalmente Asparagus.

Dei singolari fiori di questa pianta avevo già accennato nel link citato sopra.  Il ciuffo o fiocco  sommitale, di colore viola o blu,  che dà il nome alla specie, comosa cioè chiomata,  è costituito da piccoli fiori sterili, densi e dotati di un lungo peduncolo incurvato verso l’alto.  I fiori fertili, di colore più scuro, quasi bruni, sono invece più densamente spaziati fra di loro e quando maturano si ripiegano verso il basso.   I fiori sterili sono un ingegnoso espediente, hanno lo scopo di attrarre impollinatori, limitando la geitonogamia (autoimpollinazione)(1). Questa per la pianta costituisce  un’inutile e potenzialmente dannosa fatica perchè la costringe a tentare di  portare a  maturazione troppi  frutti.

Muscari

Muscari botryoides
strada di Lucca

Il cipollaccio, come dicevo, è pianta commestibile, anche prelibata.  I bulbi  si possono consumare crudi in insalata, anche se è consigliabile lessarli per attenuarne alcuni principi amari e probabilmente tossici; oppure fritti e messi sott’aceto, proprio come le cipolle.  Si tratta di una pianta archeofita, ovvero già presente nella regione mediterranea come specie spontanea prima della scoperta dell’America e utilizzata in Grecia e medio Oriente già nei tempi antichi, come testimonia il trattato di Pietro Andrea Mattioli del 1568 . In Italia l’uso tradizionale è documentato in Sardegna e nelle regioni del Sud; tuttavia in tempi recenti la specie non viene più raccolta nei campi, ma si preferisce acquistare al mercato quella di provenienza africana(2). E’ anche una specie officinale, diuretica ed emolliente, con proprietà ancora una volta affini a quelle della cipolla.

Incontrato nel bosco, in questa lucida mattinata che preannuncia pioggia, è un fiore singolare e grazioso. Ma il genere Muscari (che a Leopoldia assomiglia parecchio) comprende anche specie a vocazione ornamentale, aggraziate decorazioni da città e giardino. L’infiorescenza immatura, quando i fiori sono ancora chiusi, ha l’aspetto di pannocchia verde blu. Muscari di non saprei che specie ho incontrato per le strade nella città di Lucca (foto a destra) qualche primavera fa, in tutto e per tutto simile ad altre scovate poi in vendita alla fiera Verdemura dove ero diretta.

(1)Morales et al. (2013)  Sterile flowers increase pollinator attraction and promote female success in the Mediterranean herb Leopoldia comosa.  Ann Bot. 11:103-11 doi: 10.1093/aob/m s243

(2)Pieroni et al. (2002) Ethnopharmacology of liakra: traditional weedy vegetables of the Arbëreshë of the Vulture area in southern Italy Journal of Ethnopharmacology 81:165-185  doi: 10.1016/S0378-8741(02)00052-1

 

Camassia

Camassia cusickii

Camassia cusickii

Pianta americana, è arrivata nel mio giardino in un grande pacco di bulbi, regalo della mia amica polacca, o meglio di sua madre, esperta giardiniera. Tutti questi bulbi, crochi precocissimi e tulipani dai colori inaspettati, scille a campanelle di ogni dimensione e colore, hanno forse una stagione più lunga nei freddi climi polacchi. Splendidi e stupefacenti, molti di loro compaiono e scompaiono nel giro di pochi giorni nella nostra primavera. Così questa camassia, simile ai lilioasfodeli dei nostri prati, un tempo membri tutti, come i giacinti,  delle Hyacinthaceae, ora appartiene, secondo la moderna classificazione, alla famiglia delle Asparagaceae, in compagnia di agavi e asparagi. Gli asfodeli propiamente detti sono invece transitati per la famiglia delle Asfodeliaceae, per approdare, insieme alle aloe, nelle Xanthorrhoeaceae. Ricordare le classificazioni non è per me sterile esercizio di memoria, ma è un aiuto creativo per ricordare nomi e storie dei fiori.

Camassia, semi

Camassia cusickii, semi


Tornando alla camassia, i suoi tuberi sono biancastri, come quelli delle scille, e gli steli alti, con pesanti infiorescenze. Ci si aspetta una fioritura esplosiva, ma i fiori, bianchi nella C. cusickii, specie a cui attribuisco la mia, sono invece sorprendentementi esili e fugaci, e scompaiono velocemente per fare posto a pesanti semi poliedrici, che viceversa durano qualche mese.
Ragiono che in questo caso l’impollinazione deve essere rapida e fortunata, di modo che i fiori hanno utilità breve. Quando anche i semi imbruniscono e cadono, restano solo lunghe foglie molli che lentamente appassiscono. Piccola stella senza cielo la camassia bianca, dura poco, ma sempre si fa desiderare.

Scilla autunnale

Prospero autumnale

Prospero autumnale

Chi l’ha detto che solo la primavera è fiorita? Straordinarie le fioriture e le rifioriture di settembre, nell’aria tiepida e tersa, nei prati arruffati, tornati disordinatamente verdi dopo le piogge di fine agosto, sotto gli alberi sfatti dalla fatica dei frutti.

Questo genere, e moltissimi altri, che avevo frettolosamente e un po’ distrattamente collocato fra le liliaceae, sono oggi inseriti nelle asparagaceae.
Il prospero autumnale assomiglia talmente alla scilla (vedi 16 aprile 2009) che non è un errore molto grave chiamarlo proprio così.

Hosta fiorita

Hosta

Hosta

Torno sul blog dopo quasi un anno e saltello fra foto nuove e foto vecchie, nuove sollecitazioni e antichi rimpianti. Questa è una foto dell’anno scorso, scattata all’orto botanico di Lucca che ospitava una mostra di hosta.
Sono fiorite anche le hosta del mio giardino, abbondanti e delicate. Ma che fatica difenderle dalle lumache! Avevo cominciato con la birra, che confermo funziona, ma mi pareva uno spreco. Mi è toccato, mio malgrado e con enorme riluttanza, usare un veleno.
E’ per me un mistero come le lumache e le chiocciole abitino l’insalata, e le bietole, e tante erbe ancora, senza divorarle, mentre le stesse possano distruggere una pianta di hosta cibandosene per un paio di giorni. Avevo tre hoste dalle foglie cangianti, me ne sono rimaste due e davvero ho dovuto difenderle.

Scilla campanulata

Hyacinthoides hispanica

 

Le appariscenti foglie in primo piano sono di Hosta, una pianta apprezzata per l’ornamento delle sue foglie, a nervature finemente disegnate, verde acceso o variegato. Anche l’hosta fiorisce, prima o poi, ma questi fiori appartengono a una scilla campanulata, nome corrento Hyacinthoides hispanica, in un insieme senza soluzione di continuità che solo la primavera può creare. Le campanelle spagnole, “Spanish bluebell” in inglese, non sono campanule, ma monocotiledoni simili ai gigli, o meglio alle scille propriamente dette (vedi anche 11 marzo e 16 aprile 2009) e, come le Hosta (vedi qui foglie e fiori), appartengono secondo APGIII alla famiglia delle asparagaceae .

L’aiuola si trova nel giardino di Villa d’Este a Tivoli, fra sgorganti fontane.

 

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Liriope

liriope spicata
Piccola pianta ‘da ombra’ che prospera nel mio giardino, producendo una profusione di bacche e riproducendosi con esuberanza. Tanto che devo trovare una collocazione per tutte le piante nuove comparse un po’ ovunque nell’aiuola. L’ho chiamata per molto tempo liriope muscari (27 ottobre 2008), ma osservandola meglio mi pare si tratti di liriope spicata, perchè le foglie hanno cinque nervature e sono larghe poco meno di un centimetro. Inoltre non è più classificata nelle liliaceae, e neppure come fu per un breve tempo nelle convallariaceae, ma nella grande famiglia della asparagaceae in cui oggi si classificano anche tutti gli agli, ma anche le agavi e i giacinti.