Ancora saponaria rossa

Saponaria ocymoides

Saponaria ocymoides

Il nostro inverno non è mai così cupo da negarci il piacere di qualche dolce fioritura. Del calicanto ho già detto qualche giorno fa (e oggi un fiore è sbocciato, finalmente) e della stupenda Camelia hiemalis ho già pubblicato per tutti i gusti, al sole e sotto la neve. Anche quest’anno è tornata a coprirsi di gioielli, seppure un po’ in ritardo per l’autunno insolitamente mite.
Ma la fioritura della saponaria rossa, che avevo già mostrato in primavera qualche anno fa, mi ha sorpreso davvero. Vero è che oggi era una giornata speciale, tiepida e leggera, con il cielo calmo e sgombro dopo le bufere e le piogge dei giorni scorsi. Una giornata speciale, anche se è il primo dei giorni della merla, che godono della triste fama di essere i più freddi dell’anno. Vero è che sono solo due timidi fiorellini sparuti e non il cuscinetto di fiori che normalmente regala la pianta. Ma sono eretti e sgargianti, fra foglie lucide e sane, un piacere vederli.
Ho seminato questa pianta due anni fa. Come tutte le speci perenni, comincia in sordina. Per il primo anno dopo la semina, i fiori sono scarsi e tardivi, tanto che talvolta si può rimanere un po’ delusi. Le perenni sono così, ma raramente tradiscono. Già l’anno scorso mi aveva regalato una fioritura abbondante e duratura. Quest’anno anticipa ogni previsione. Pianta rustica e da brughiere, non teme il gelo e il vento. Spero solo che non sia stata troppo frettolosa, gli esperti di actaplantarum la danno in antesi da maggio ad agosto e per la fioritura principale di certo ci vorranno ancora diversi mesi.

Garofano di bosco

dianthus monspessulanus

Dianthus monspessulanus

Questo grazioso garofano dai petali sfrangiati cresce a frotte sui prati di mezza montagna in questa stagione.
Il suo nome specifico monspessulanus significa letteralmente ‘di Montpellier’ ed un aggettivo che identifica anche altre piante molto differenti fra di loro, come un acero (17 settembre 2008) e un cisto (6 maggio 2009). Non so se queste piante sono effettivamente originarie della regione di Montpellier, ovvero dalla Provenza- Piuttosto con questo aggettivo Linneo, che ha dato il nome a queste piante, ne identificava l’habitat come l’areale mediterraneo.

Fotografato sulle pendici del monte Antola (Genova) in una caldissima mattinata di agosto.

Silene dioica

silene dioica
Questa volta ci siamo, deve essere proprio lei, Silene dioica, che si chiama anche Melandrium dioicum ovvero licnide. Vicino casa trovo soltanto Silene alba o meglio latifolia subsp albae,  così è capitato che mi sia confusa (28 novembre 2009).
Questa pianta, molto pelosa, rossiccia nel fusto e nelle foglie, deliziosamente rosa brillante nel fiore, l’ho trovata in Piemonte, davvero non molto lontano da casa. Essendo pianta dioica, porta fiori maschili e femminili che tuttavia non mi pare presentino caratteri morfologici distinti, a parte, ovviamente, l’apparato riproduttivo. Come tutte le silene, nonostante l’innegabile grazia e delicata bellezza da fiore di campo, deve il suo nome a un personaggio grottesco, Sileno, maestro e seguace di Dioniso o Bacco. Così lo descrive la mitologia: un essere biforme, sempre ubriaco con il corpo umano enormemente gonfio di grasso, con orecchie e coda di cavallo, e cavalcante un asino , sul quale sempre trasporta un otre pieno di vino. La somiglianza con una creatura tanto brutta la dolce silene la deve al calice rigonfio, che la rende inconfondibile, nelle sue varie specie.
La silene è anche pianta commestibile, le foglie si consumavano lesse nelle minestre e nelle torte di verdura; e come una sua parente, la saponaria, che è della stessa famiglia, ma è velenosa, la radice mescolata con l’acqua veniva usata come succedaneo del sapone.

Saponaria rossa

Saponaria rossa
Avevo incontrato questa piccola, deliziosa, saponaria di montagna nel giardino botanico di Pratorondanino, e certo non mi aspettavo di scoprirla così sfacciatamente invadente, con i suoi spessi cuscinetti rosa, spuntare un po’ dappertutto fra i sassi, sulla roccia e nelle pieghe dei sentieri, nel rado bosco di Noceto (Isola del Cantone, Ge), carpini neri (ostrya carpinifolia, 11 giugno 2008) e noccioli (corylus avellana, 21 settembre 2008), qua e là un maggiocciondolo (laburnum alpinum, 29 maggio 2008) con i suoi pendagli gialli, e naturalmente maestosi noci (juglans regia, 26 agosto 2008, carichi di fiori. Era tutta un’esplosione di fioritura anche nel bel mezzo di un rigagnolo, probabilmente un piccolo affluente del torrente Vobbia.
La saponaria rossa o montana, forse non altrettanto efficace della sua sorella maggiore (saponaria officinalis, 1 agosto 2009) per le proprietà detergenti, ma pur sempre ricca di saponine, deve il nome specifico, ocymoides al fatto che assomigliarebbe, non so bene come e perché, al basilico (ocimum basilicum).

Dedico così un po’ di rosso (rosso nel nome e rosa carico nei fatti) a questo primo maggio che ci concede un sole caldo da primavera in esplosione, un’ombra fresca, prati verdissimi e fioriture esuberanti. Non tradisce la natura, a dispetto della nostra presunzione di essere in grado di modificare persino gli equilibri atmosferici. Più incerto e traballante è il nostro futuro di uomini, in una stagione confusa e insanguinata, in questo uguale comunque ad tante altre primavere umane.

Silene bianca

silene alba
Incantevoli fiori di campo, delicati come merletti, ci regala questa silene dalla lunghissima fioritura. Mi sorprende in un campo sotto la strada di casa, purtroppo recintato tanto che non riesco a fotografarla da vicino senza teleobbiettivo. Ero certa che fosse una silene, ma esitavo sulla specie per tutta una serie di ambiguità del genere che mi rendevano titubante. Questa specie è talvolte considerata sottospecie della Silene latifolia, ovvero Silene latifolia subsp. alba, differente da Silene latifolia subsp. latifolia, assente in Liguria. La chiamo oggi silene bianca,e quindi Silene alba, un nome che le rende giustizia e le sta bene.

Per colpa della forma dei calici dei fiori, particolarmente vistosa nella Silene vulgaris (nome volgare silene rigonfia, 16 giugno 2009), questo bel fiore si è meritato il nome un po’ grottesco del compagno di Bacco, Sileno, dal ventre sempre gonfio come un otre per gli eccessi nel bere. Questa specie è assai comune, predilige suoli azotati ed è frequente nelle zone orticole e antropizzate, dove fiorisce da marzo fino ad autunno inoltrato.

Peverina

Cerastium glomeratum
Questa piccola pianticella pelosa porta fiorellini bianchi agglomerati in cime compatte, pronti alla fioritura tutto l’anno. La forma della corolle ricorda un poco quelle della stellaria media (7 febbraio 2010) e con la stellaria ha in comune la famiglia, quelle caryophillaceae dei garofani e delle sileni, e il carattere decisamente invadente. La peverina dei campi, Cerastium glomeratum è un’abitante comune di tutti gli ambienti, in tutta la penisola più Sicilia. Altrettanto comune è la sua parente Cerastium holosteoides, peverina dei prati, con infiorescenza ricca, ma non a glumeroli.
Cerastium utriense
Decisamente meno cosmopolita è la peverina di Voltri, Cerastium utriense, dove utriense deriva da “Utri” il nome dialettale di Voltri, delegazione della città di Genova da cui deriva il nome Gruppo di Voltri, l’affioramento ofiolitico praticamente coincidente con l’areale della specie (vedi la scheda di actaplatarum.org). Questa peverina è peraltro molto simile ad altre del genere, tipo Cerastium arvense, ma si distingue per il peduncolo florale eretto.
So che il nome del genere, Cerastium, deriva dal greco “kèras”, corno, per la forma dei frutti e quello specifico (le specie presenti in Italia sono diverse decine) si riferisce a caratteristiche peculiari (pelosità, disposizione florale ecc) o al luogo di diffusione. Però mi sfugge l’origine del nome comune, peverina, che non so che cosa significa. Se lo scopro, aggiornerò il post 😉
La peverina dei campi (C. glomeratum) si trova dappertutto intorno a casa e l’ho fotografata un po’ in tutte le forme. La peverina di Voltri è frequente nell’areale descritto, ma io l’ho fotografata nel giardino botanico di Pratorondanino.

Erba paglina

moehringia muscosa

 

Sembrano piccole stelle immerse in fragili cespugli, i fiorellini bianchi di questa pianticella di poche pretese, che cresce all’ombra, sui muretti umidi. Deve il suo nome scientifico a un botanico tedesco, Moehring appunto, ma si chiama anche arenaria, arenaria muscosa, perchè fra le pietre e i muschi sta il suo regno. Gli steli sono flessibili e molli, le foglie filiformi. I fiori garbati sono degni della famiglia a cui appartiene, caryophyllaceae, la famiglia dei garofani, dianthus o fiore di Zeus, e delle sileni dai labili fiori di pizzo.
Pure anche questa pianta da niente è ricordata dalla scienza popolare, come diuretica e depurativa, perché l’antica medicina non faceva a meno di nulla e di ogni piccola erba sapeva approfittare.

 

Fotografata su un muretto ombroso nel bosco di Roccatagliata, val Fontanabuona, fra maggio e giugno 2009.

Silene fior di cuculo

Silene fior di cuculo - Silene flos-cuculi
A Villa Lante (Bagnaia, Viterbo), quasi un prototipo e certi uno dei più celebri esempi di giardino all’italiana, l’acqua è l’elemento cardine della composizione. Dentro, il giardino propriamente detto è tutto un susseguirsi di fontane tra loro collegate come nel ciclo vitale della natura nubi-pioggia-falde-fiumi. Fuori, nel parco, fra imponenti alberi secolari, l’acqua continua a dominare la scena, in pozze e fontane meno allegoriche, ma non per questo meno appariscenti. In questo ambiente acquatico ben deve trovarsi la silene fior di cuculo, una pianta che predilige prati umidi e paludosi. Come questo prato, dominato da tre antichi castagni e circondato da fitti ed imponenti lecci, che era quasi interamente coperto di questi fiori disposti in corimbi irregolari, le corolle rosa, i petali graziosamente sfrangiati. Come tutti i fiori di campo, le sileni sono anime senza grandi pretese, prosperano e fioriscono a lungo, con corolle regolari, aggraziate, ma fragili, e più robusti calici, spesso appicicosi, rigonfi, solidi. Perchè la corolla è solo un vezzo, è il calice quello che dovrà, a breve, sorreggere tutto il peso della capsula, cioè il frutto, cioè il futuro.

Crotonella o licnide, la silene fior di cuculo oggi viene chiamata Lychnis flos-cuculi nei trattati di botanica. E non è il cuculo, il famoso uccello senza nido, che ha dato a questo fiore il suo curioso nomignolo. Si chiama, chissà perchè, saliva di cuculo, quella schiumetta bianca spesso presente sugli steli, e comune su questa silene, che è una secrezione dell’insetto “sputacchina”, larva dell’emittero Philaenus spumarius.