Carice di primavera

La carice è una monocotiledone e appartiene alla famiglia delle Cyperaceae.

Carice di primavera

Carex caryophyllea

E’ un’erba piuttosto attraente, con eleganti infiorescenze, tanto che diverse specie di carice sono spesso sfruttate come piante ornamentali. Benché prive di proprietà officinali o alimurgiche, le carici hanno sempre avuto svariati utilizzi pratici tradizionali, un po’ come il loro fratello maggiore, il nobile papiro. Non solo come strame per il bestiame, ma come materiale per imbottire cuscini e materassi, per impagliare sedie, confezionare stuoie e canestri per il formaggio.

Quasi nascosta fra i sassi del sentiero nel luminoso sottobosco, questa piccola carice si guadagna il nome volgare di primaverile con le morbide infiorescenze dorate che brillano nel precoce sole di fine marzo.

La stagione è calda e asciutta, da troppi mesi aspettiamo la pioggia, saremmo disponibili perfino ad accettare che durasse a lungo, purché dissetasse a fondo prati e boschi e restituisse un po’ di verde al mondo.

Semprevivi del cerrado

Rhyncospora consanguinea

Rhyncospora consanguinea

Paepalanthus

Paepalanthus bromelioides

 

In un ambiente secco e arido come è in apparenza il cerrado, e la zona montana dei campi rupestri, ci si aspetta di incontrare piante dall’apparenza diseccata, che mantengono a lungo forme e colori. Queste piante sono chiamate semprevivi, ma il nome è molto generico. Alle nostre latitudini il semprevivo è una pianta delle crassulacee dalla forma di grassa rosetta (vedi anche 31 ottobre 2008). Invece i semprevivi del cerrado hanno rigidi steli, sormontati da fiori che sembrano secchi anche quando non lo sono e si conservano a lungo se recisi. La stellata Rhincospora consanguinea appartiene alla vasta e cosmopolita famiglia delle Cyperaceae, quella del papiro. Altre piante invece fanno parte della più ricercata ed esotica famiglia della Eriocaulaceae. Sono questi gli affascinanti Paepalanthi e i loro cugini primi Actinocephali. Entrambe sfoggiano fiori rigidi che sono piccoli sfere bianche.

Paepalanthus actinocephaloides

Paepalanthus actinocephaloides

Se la nomenclatura è complessa e sempre in mutamento per specie conosciute e a portata di mano, essa è ancora più aleatoria e difficile da imparare per specie che vivono in ambienti lontani da noi e particolari. Il genere Actinocephalus per esempio è stato descritto per la prima volta nel 2004, mentre prima si chiamavano tutti Paepalanthus. La genetica darà ormai certamente una mano alla complessa classificazione, un tempo solo basata sull’accurata, pedissequa osservazione dei particolari morfologici di ciascun esemplare. Anzi proprio dalla genetica sono venute le prime sorprese che hanno permesso la ricollocazione e riclassificazione di molte piante. Ed è notizia di questi giorni che alcuni scienziati del mitico Orto botanico reale di Kew in Gran Bretagna hanno messo a punto uno strumento che permette di effettuare il sequenziamento del DNA di un vegetale praticamente sul campo. Così mentre un tempo per riconoscere e classificare le piante c’erano soltanto gli occhi, sono poi venuti gli strumenti per copiarne le forme sulla carta, matite e pennelli, e i grandissimi erbari degli artisti; e poi è arrivata la pellicola che fermava la luce e i colori e gli infiniti album fotografici dei botanici. Ora il sapere botanico si misura a terabytes e molto presto la bellezza di un fiore sarà automaticamente tradotta in una sequenza di lettere che rappresentano le molecole di cui è fatto.

Actinocephalus bongardii

Actinocephalus bongardii

Actinocephalus bongardii

Actinocephalus bongardii

Torno allora ai semprevivi, per chiedere al solito venia se ho sbagliato qualche attribuzione, fra i suggerimenti al volo dei locali, alcuni professionisti e altri dilettanti come me, e intricate passeggiate sul web cercando di interpretare le fotografie. Campioni a casa non ho portato questa volta, non ne ho spezzato neppure uno, temendo che alla fine a casa arrivasse ben poco. Invece li ho lasciati tutti lì, su quegli immensi altopiani, aperti a un cielo così vasto che si fa fatica a pensare che sia lo stesso cielo che abbiamo sopra la testa anche qua da noi.

Papiro

cyperus papyrus
Il vero papiro, la carta dell’antico mediterraneo (e in quasi tutte le lingue europee, ad eccezione dell’italiano, la parola per carta deriva da papiro, come per esempio paper in inglese e papier in francese), è una pianta di origine tropicale e non sopporta i climi rigidi. Persino il falso papiro (Cyperus alternifolius, 25 agosto 2009), che è assai più accomodante quanto a condizioni climatiche, non è sopravvissuto alla rigidezza dell’ultimo inverno nel mio giardino. Ma lui, l’originale, titolare di tanta storia, nei nostri climi può essere coltivato solo in posizioni particolarmente protette. Come naturalmente il capo Mortola di Ventimiglia, dove si trova il giardino botanico Hanbury. Là il papiro cresce presso la fontana del Drago, così denominata per il bronzo che si trova al centro del bacino. La nicchia della fontana del Drago costituisce la stazione di acclimatazione più settentrionale che si conosca per questa pianta. Là, in mezzo alle larghe foglie della colocasia, il papiro piega i fusti snelli verso la superficie dello stagno abitato da pesciolini e tartarughe, e specchia le sue chiome dorate e vibranti nell’acqua verdastra e trasparente.