Ligustro

Ligustro

Ligustro
Ligustrum lucidum

Poco è rimasto sugli alberi spogliati dalla stagione, dalla pioggia, dalla grandine e dal vento.  Eppure gli irriducibili esistono, e sono più numerosi di quanto sembra a prima vista.  Ecco il ligustro, Ligustrum lucidum, un albero cinese. Siccome non perde le foglie, è alto e lussureggiante ed ha un periodo floreale insolitamente lungo, viene coltivato largamente in parchi e giardini.
Nonostante gli abbondanti fiori bianchi, fragranti e decorativi, nonostante la generosità con cui riempie i grigi spazi con il suo verde intenso, lucido, appunto, nonostante la sua grande tolleranza a tutte le avversità e torture che gli vengono inflitte dalla vita cittadina, il ligustro, chissà perchè, non incontra la simpatia di molte persone. Sarà che sembra un po’ finto, sarà che, come l’ailanto, “ce ne sono troppi”, saranno le bacche nere che lordano i marciapiedi, il ligustro è un albero invisibile, non considerato.   Accetteremmo di più il Ligustrum vulgare o olivella (la famiglia è quella delle Oleacee), autoctono nell’area mediterranea, le cui foglie arrossiscono cupamente d’autunno prima di cadere. Ma non sarebbe altrettanto resistente, e persistente, e decorativo. Nè ci capiterebbe di incontrare questa profusione di frutti nel cuore dell’inverno.

Non mi piace l’inverno. Devo dirlo forte per farmi coraggio. Odio l’inverno. Tuttavia sarebbe bello l’alternarsi delle stagioni se si potesse vivere semplicemente contemplando la natura che cambia. Alzarsi con la luce e chiudere le imposte di casa sulle tenebre. Accendere il camino e attingere alle provviste diligentemente organizzate nella buona stagione. Non attraversare oggi giorno la città buia e maleodorante, per ore nella ferraglia, attraverso nastri di catrame lucido, per raggiungere qualche nonluogo, dove fare noncose, scambiare nonparole, per uniformarsi ai nonsensi di una troppo complicata organizzazione sociale. Sperando solo, magari, che almeno brilli il sole.

Fotografato a Sant’Eusebio, dicembre 2008, e  originariamente pubblicato il 16 dicembre 2008

Jasminum nudiflorum, gelsomino invernale

Jasminum nudiflorum

Jasminum nudiflorum

Jasminum nudiflorum

Jasminum nudiflorum

 

Nudiflorum è aggettivo che si addice a molte specie fiorite in questa acerba stagione. Si dice infatti di piante che si coprono di fiori prima o molto prima di mettere le foglie. Come questo splendido gelsomino giallo, a cascata sulla roccia bruna in un piccolo parco cittadino, la gloriosa villetta Di Negro vicino a piazza Corvetto. Si tratta di un vero gelsomino, genere Jasminum, e non uno degli eleganti usurpatori del genere Rincospermum (vedi 13 giugno 2009).
E’ conosciuto anche come gelsomino invernale, perchè tollera le temperature rigide più di qualsiasi altra specie di gelsomino e d’inverno fiorisce; oppure gelsomino di San Giuseppe, e con qualche ragione, essendo il giorno di San Giuseppe effettivamente ancora nell’inverno. Persino come gelsomino giallo, ma in questo caso non bisogna farsi ingannare perchè esistono altri gelsomini di colore giallo che il freddo non lo sopportano neanche un po’.

Oltre a lui fra poco ammireremo l’effimera fioritura delle magnolie decidue (Magnolia precia, 2 marzo 2009 o altre simili a lei 4 aprile 2010, anch’esse tutte note come nudiflore) e poi quella degli alberi da frutto, prima fra tutti il mandorlo, che, anche se non sono detti nudiflori, si comportano esattamente nello stesso modo.

Ho già mostrato questa specie di gelsomino, fiorito in un giardino di corso Italia,  nel vecchio blog esattamente dieci anni fa (6 febbraio 2009),  non a caso a pochi giorni di distanza dalla stupenda fioritura del mandorlo (14 febbraio 2009).    Mi pare giusto riportare all’attenzione questi piccoli post dimenticati, anche perchè di difficile consultazione.  Dicevo, allora come oggi, che l’inverno, soprattutto quando sta per finire, è sì stagione senza foglie, ma non stagione senza fiori.

 

Olivo, albero immortale

Olivo

Olivo Olea europea

Olivo di Paestum

Olivo Olea europea
Paestum – 29 settembre 2016

 

La pianta dell’olivo non cessa mai di stupirmi. Longeva, ai limiti dell’immortalità, sembra incarnare tutti i simboli della civiltà mediterranea.  Forse, in questi nostri giorni, anche i suoi limiti. Una tenacia atavica e tanti nuovi nemici.

Contro il cielo terso delle colline liguri, si stagliano argentee le chiome dei piccoli olivi di Borzone, così esili e fragili a confronto dei loro fratelli millenari incontrati presso le rovine di Paestum.

Siamo nell’entrotrera di Chiavari, comune di Borzonasca, presso l’abbazia di Borzone, una chiesa monastica antichissima, le cui origini si perdono veramente nella notte dei tempi.  Oggi, soprattutto d’inverno, questo luogo appare romito e strano, e  per raggiungerlo bisogna seguire una piccola strada tortuosa verso il niente. Ma nei tempi passati, quando la vita si svolgeva in altitudine e gli inutili e scoscesi fondovalle non interessavano nessuno, questa chiesa era probabilmente un punto di riferimento sicuro per viandanti e pellegrini.

L’inverno non è certo la stagione delle foglie, ma sono tanti sono gli alberi che non se ne liberano e invece le conservano tenacemente anche nelle temperature rigide e nella bufera.  Certo, le temperature non devono essere troppo rigide, nè il vento troppo cattivo, poichè nessun essere vivente è veramente invincibile contro la forza degli elementi. Oltre le mosche e i crudeli parassiti stranieri, l’atavico nemico dell’olivo è il gelo. Come racconta Gavino Ledda,  nel suo splendido libro “Padre padrone”,  l’olivo rischia soprattutto alla fine dell’inverno, a causa delle gelate tardive. Il padre di Gavino aveva appena messo a dimora giovani olivi di radiose speranze, quando verso la metà di marzo il gelo improvviso glieli uccise tutti. E piena di pathos e poesia è la descrizione dell’agricoltore disperato che si aggira fra i suoi alberi spezzandone i rametti ormai disseccati. Così, nel mio piccolo, è capitato anche a me, quando l’olivo del mio giardino (17 giugno 2009), colpito dal gelo di un febbraio rabbioso, si era fatto nero e secco, prosciugato. Ridotto quasi a un moncone, cominciò a riprendersi lentamente durante l’estate, buttando fuori foglie un po’ dappertutto, dal tronco, dai rami, come un animale peloso. Ma i frutti hanno tardato a tornare, quattro o cinque anni almeno perchè le prime olive tonde e sode rifacessero capolino fra le foglie. Ora è risorto, un alberello più forte e sereno di prima. Fino alla prossima gelata,  sempre che non arrivi prima qualche infida malattia esotica.

Olivi a Paestum

Il sito archeologico di Paestum, comune di Capaccio, nel salernitano, è un luogo di nobile fascino.  Nulla di nascosto e segreto, tutto ostentato e grandioso, divino. Anche le piante di olivo, che potrebbero persino essere sempre le stesse, hanno un’imponenza magica.

Non sono piante da olio, sono piante da storia.

Ligustro

Ligustrum vulgare

Ligustrum vulgare

Questo piccolo albero, o arbusto, spesso coltivato in siepi, assomiglia al suo cuginetto più imponente, Ligustrum lucidum  (fiori e bacche nel post del 16 dicembre 2008) . Però il L. vulgare è spontaneo nei nostri ambienti, mentre il cugino viene dall’estremo oriente.
A dispetto del suo crescere spontaneo, ho fotografato questa bella pianta in un grande vaso, in una piazzetta di fronte all’antica chiesa di Bussana vecchia, il magico borgo di artisti che ha ripreso vita sulle macerie del terremoto del 1887.

 

… cliccare sull’immagine per vederla più grande in un’altra pagina …

Frassino

fraxinus excelsior
I popoli nordici veneravano il frassino come una sorta di albero cosmico attorno al quale ruotavano gli dei e la vita stessa e il frassino è centrale protagonista di molte sagre del Nord e leggende vichinghe. E doveva essere questo frassino, il Fraxinus excelsior, e non certo una delle altre specie che crescono in Italia, l’orniello, Fraxinus ornus (5 maggio 2008) e il Frassino meridionale, Fraxinus angustifolium (11 aprile 2010). In tutti e tre i casi si tratta di alberi a foglia caduca, che però dovrebbero essere distinguibili anche d’inverno per il colore diverso delle gemme. Il frassino propriamente detto ha gemme nere o comunque molto scure; l’orniello ha gemme brune e ricoperte di peluria, mentre il frassino meridionale ha gemme di colore marrone chiaro, quasi nocciola.
Avevo già catalogato gli altri due, e mi mancava proprio il titolare, quello che si riconosce senza aggettivi. Amante degli ambienti umidi, l’ho incontrato nel parco fluviale del Magra (La Spezia), un grande albero dalla morbida chioma ovale e groppi di samare già quasi mature.

Lillà

syringa vulgaris
Sono molto affezionata a questa pianta che, seppure non originaria, anche se occasionalmente spontaneizzata nelle nostre campagne, è così comune nei giardini da essere diventata veramente ‘una di noi’. Sboccia a primavera, pallidamente violetta oppure sorprendentemente bianca, con le sue pannocchie dense in mezzo alle foglie cuoriformi verde tenero. La fioritura è essenzialmente primaverile e non dura molto a lungo. Il colore è intenso, ma discreto. Molto più discreto di quello della lagerstroemia, nuova arrivata e usurpatrice (parziale) del nome di lillà, che però fiorisce molto più tardi, all’arrivo dell’estate.
Io sono affezionata alla syringa e la cerco avidamente fra aprile e maggio. L’ho rincorsa domenica scorsa e per fotografarla ho dovuto confrontarmi con la diffidenza della proprietaria del giardino, che voleva sapere perchè mai stessi fotografando proprio la sua casa. Così la foto non è granchè; non ero soddisfatta dello scatto, ma non me la sentivo di replicare. Com’è dura la vita del fotografo senza secondi fini …

Giallo

forsythia spa - tarassacum officinalis
Assuefatti, nostro malgrado, al grigio opaco e immobile dell’inverno, facciamo fatica ad accettare l’esplosione entusiasta di colori della primavera. Il giallo è uno dei più intensi e inaspettati. Ci si mette anche la forsizia (24 marzo 2009), ormai diventata protagonista di tutti i giardini, a dar man forte al tarassaco, sovrano dominatore dei prati. Due piante a loro modo tutte e due modeste e popolari, erbaccia antica e venerata il tarassaco (17 marzo 2009), alberello sfacciato e insostituibile la forsizia. Coraggio, la primavera è proprio arrivata anche quest’anno.

Ancora sotto la neve: orniello

fraxinus ornus

La neve di domenica scorsa è durata poco e il tempo oggi sembra decisamente puntare verso la primavera. Ma è ancora troppo presto, meglio non farsi illusioni. Quest’anno poi, stando al calendario lunare la primavera dovrebbe essere tardiva essendo la luna di marzo ancora dentro l’inverno e la prima luna di primavera verso la fine di aprile.
Così aspetto ancora un poco a celebrare il sole e ancora indugio a contemplare l’inverno, nel paesaggio innevato di domenica scorsa, con il primo piano un orniello, ancora adorno dei grappoli delle sue samare ormai secche, e pesante di neve sui rami spogli.

Fioritura precoce: forsizia

forsythia sp
E’ una delle prime a fiorire, con un carico grondante di fiori gialli sugli steli ancora privi di foglie.

Ma questa coraggiosa forsizia quest’anno è stata un po’ frettolosa e la neve dei giorni della merla l’ha colta all’improvviso, imbiancando le corolle che dovevano portare il colore del sole in questo amaro lungo giorno d’inverno.