Poligono del Giappone

Reynoutria japonica

Reynoutria japonica

Il poligono del Giappone è una pianta asiatica, come suggerisce il nome, che ha invaso l’Europa, l’America e l’Oceania. In diversi luoghi del mondo, Australia, Inghilterra, Scozia, diversi Stati degli USA, è illegale lasciarla crescere nel proprio terreno. Anche in Italia, l’attenzione contro di lei è alta (vedi per esempio qui). Sta nella lista delle specie più invasive del mondo, se per questo comunque in buona compagnia di piante che ci sono familiari, come la canna comune (Arundo donax), il fico d’India (Opuntia stricta, 29 agosto 2008) e persino la lantana (Lantana camara), che come la Lantana sellowiana (8 novembre 2009) in Italia viene venduta nei vivai.
Comunque il poligono del Giappone come infestante fa sul serio. Bandita da tutti, prospera. Cresce soprattutto nella vicinanze dei corsi d’acqua, sui greti dei torrenti. Le sue radici formano una fitta rete da cui spuntano continuamente nuovi fusti. Forma basse siepi compatte, che si estendono velocemente a perdita d’occhio, punteggiate dai grappoli dei piccoli, aggraziati, fiorellini bianchi.

<em>Reynoutria japonica</em>

Reynoutria japonica

Quella a sinistra l’avevo fotografata nel settembre 2013 in Val Brevenna, sul greto del torrente, presso il santuario della Madonna dell’Acqua. Negli ultimi tempi l’ho vista più frequentemente. La seconda fotografia, a destra, è stata quest’estate, sul Trebbia vicino Ottone. Ma certamente l’ho vista anche sulla sponda di altri torrenti perchè sta avanzando, davvero. Le erbe vagabonde, non le ferma nessuno.

Come tutti i nomadi senza patria, il poligono del Giappone ha molti nomi. C’è chi la chiama Fallopia japonica, nome in omaggio al grande anatomista Gabriele Falloppio (1523-1562), quello delle ‘tube’ (trombe uterine), che fu anche insigne botanico (come scrissi a proposito del poligono del Turkestan, Fallopia aubertii ovvero Fallopia baldschuanica, nel vecchio blog il 27 settembre 2009). Un altro suo nome è Polygonum cuspidatum, che ci ricorda che è appunto della famiglia della poligonacee. Ma il nome accreditato è Reynoutria japonica, poligonacea esotica in rapida espansione.
Molte poligonacee sono piante commestibili, alcune come il rabarbaro (Rheum palmatum) e il grano saraceno (Fagopyrum esculentum) intensamente sfruttate, altre tradizionalmente conosciute come insalatine di campo, come i vari romici (vedi per esempio Rumex acetosa). E il poligono del Giappone? Leggo sul bel volumetto “Elogio della vagabonde” del grande Gilles Cléments(1) che è stato proposto come foraggio per l’allevamento delle tartarughe. Un modo per rendersi utile, comunque.

(1)Titolo originale: “Eloge des vagabondes – Herbes, arbres et fleurs à la conquete du monde” traduz.di Patrizia Caporaso e Olga Zangrillo. Ed.DeriveApprodi 2010

Persicaria capitata

persicaria capitata

Persicaria capitata

Piantina ‘scoperta’ nel buco di un muretto lungo la strada di Lorsica, piccolo comune dell’entroterra in val Fontanabuona. Di Lorsica dovrei parlare a lungo per molti aspetti interessanti che la riguardano. Ora però parlo di questa piantina. La vedo e penso che non l’ho mai incontrata prima e le sue infiorescenze rosa, compatte e grassocce, mi fanno pensare a una pianta grassa, magari addirittura messa a dimora apposta sul bordo di un giardinetto. Ma mi avvicino e capisco subito di aver preso un abbaglio, la pianticella è certamente spontanea, rampante, chissà da dove viene. Le foglie acute, con impronte nere, i fiorellini rosa arrootlati come pallini, ricorda troppo la persicaria (già mostrata con il nome di Polygonum persicaria  il 13 agosto 2009) per poter pensare a qualcosa d’altro.

Persicaria maculosa

Persicaria maculosa (foto agosto 2009)

 

 

Ma dalla persicaria comune (oggi detta Persicaria maculosa, proprio a causa della macchie nere sulle foglie, vedi foto a sinistra) è anche diversa, foglie più piccole e leggermente più tondeggianti, fiori tondi (da cui l’aggettivo capitata, a forma di capocchia) e portamento strisciante.  La nuova persicaria tecnicamente è una neofita naturalizzata e viene, manco a dirlo, dalla Cina o giù di lì. Una pianticella qualsiasi, che non serve a niente e neppure è particolarmente attraente. Però girovagando qua e là, sulla rete naturalmente, si trova, nel curioso sito Earth Medicine Institute , che qualche proprieta medicinale ce l’ha e la medicina cinese la indica per le affezioni gastro-intestinali, ma anche per la cura di ferite e lacerazioni cutanee. Salvo mettere in guardia di non piantarla troppo vicino a foreste vergini, perchè è molto molto invasiva. E’ già a Lorsica, arriverà presto anche nel mio giardino.

 

Bistorta amplexicaule

bistorta amplexicaule

Bistorta amplexicaule

 

Ringrazio la mia amica Daniela che mi ha permesso di mostrare una sua fotografia sul mio blog. Così rompo un poco la monotonia delle spontanee dell’Appennino con una pianta un po’ esotica e una po’ particolare.

Si chiama anche polygonum amplexicaule o persino persicaria amplexicaule, ma è sempre lei. Una poligonacea perenne, con alti fusti e strette foglie cuoriformi che abbracciano il fusto. I fiori sono pannocchie di stelle rossicce che si allungano in mezzo alle foglie. Credo sia di origine americana e da noi, mai spontaneizzata, cresce generosa e tappezzante nei giardini soleggiati.

La fotografia è stata scattata nel Giardino della Vergini all’Arsenale di Venezia.

Bistorta

bistorta officinalis
L’ho fotografata un po’ da lontano, sempre al parco Burcina a Pollone di Biella, perchè era in mezzo all’erba alta, ma ero certa che fosse proprio lei. E’ una pianta di montagna, cresce sopra i 900 m almeno, e credo quindi che nel parco, che delle montagne è solo alle pendici, non ci si trovi per caso. Il suo nome più famoso è Polygonum bistorta, ma più recentemente viene sempre indicata come Bistorta officinalis. Appartiene all’originale famiglia delle poligonaceae, pianticelle che potrebbero persino apparire insignificanti, ma che racchiudono preziosi segreti. Come il grano saraceno, Fagopyrum esculentum , che si crede una graminacea, tanto che si fa mangiare sia come pane che come polenta. O le piante del genere Rheum, più noto come rabarbaro. Le foglie delle polygonaceae hanno una guaina caratteristica, detta ocrea, che circonda lo stelo alla base delle foglie. I fiori sono minutissimi e non hanno veri e propri petali, ma sepali colorati, bianchi, verdi o rosa (vedi anche la persicaria, 13 agosto 2009, e il poligolo convolvolo, 22 agosto 2009).
La bellezza della bistorta (il buffo nome deriva dalla forma della radice) si ammira meglio da lontano, quando sembra un’esplosione di luce rosata sopra l’erba spessa dei pascoli montani.
Che sia pianta officinale, il nome stesso non lascia dubbi; ma è anche commestibile ed ottima foraggera.

Eriogonum fasciculatum

eriogonum fasciculatum
Ancora Point Loma, ancora una pianta caratteristica di quel “coastal sage scrub” ovvero macchia costiera tipica della California meridionale. Piante che gli americani si ostinano a classificare come ‘mediterranee’, perchè adatte a quel clima caldo e a volte siccitoso che si può trovare anche sulle sponde del Mediterraneo.
Questo cespuglio dai densi fiori bianchi, che si tingono di rosso cupo quando sfioriscono, appartiene alla famiglia delle poligonacee, come il romice (rumex obtusifolia, 14 giugno 2009 e rumex acetosa) e la persicaria (13 agosto 2009). Non assomiglia molto alle nessuna di queste due, ma il nome comune americano è California buckwheat e il buckwheat altro non è che il grano saraceno (polygonum fagopyrum), una delle poligonacee più famose e celebrate, il grano di montagna, dai cui semi si fa farina, polenta e pane. E guardando i giovani fiori dell’eriogonum fasciculatum, che sono largamente sfumati di rosa, qualcosa dei fiorellini della persicaria e delle spighette dei fiori di grano saraceno si riconosce. E’ utile tuttavia avere indicazioni di riferimento perchè questo cespuglio legnoso, con le foglie affusolate del rosmarino (in questo davvero molto mediterraneo, quel tipo di foglie trattiene meglio l’acqua, limitando l’evaporazione), ora che i fiori sono tutti bianchi, o tendenti al giallo, difficilmente mi avrebbe fatto pensare a una poligonacea. Quanto alla specie, è curioso, anche la malvacea di ieri era ‘fasciculatus‘, aggettivo che si potrebbe tradurre ‘a fascetti’ e quindi va bene per molte piante davvero. Ragionare sui nomi delle piante aiuta a ricordarli, a volte.

Acetosa

Rumex acetosa

Rumex acetosa

Rumex acetosa

Rumex acetosa


E’ una delle più famose ‘insalate selvatiche’, gradita da masticare per il succo acidulo e dissetante che contiene. E’ ricca di vitamina C, ma contiene anche ossalati e questo ne rende il consumo eccessivo dannoso allo stomaco. Si distingue dagli altri romici (rumex spp, 14 giugno 2009 ) per le foglie sagittiformi che abbracciano lo stelo con le loro orecchiette. I fiori sono pennacchi rossi, formati da piccoli fiorellini che presto si mutano in semi a forma di medaglietta. Con questa pianta si può preparare una salsa, con sale e pepe nero, adatta per accompagnare pesce o carne. Oppure, combinata con altre piante come la bardana (arctium lappa , 26 luglio 2009), si può utilizzare per un decotto efficace contro l’acne cutanea. O ancora, un infuso caldo funziona egregiamente per rimuovere le macchie di ruggine (grazie alle proprietà dell’ossalato).

La famiglia è quella della polygonaceae, caratterizzata da foglie provviste di una guaina caratteristica, chiamata ocrea, che circonda lo stelo alla base delle foglie. E’ pianta davvero comune, diffusa in tutt’Europa; l’esemplare a sinistra viene dallo stesso prato di giugno della filipendula di ieri, e la pianta a destra viene da un prato di luglio in un giardino della Pomerania.