Cotognastro

Cotognastro - Cotoneaster dammeri

Cotoneaster dammeri

Il cotognastro è un piccolo arbusto dai fiori bianchi e dalle bacche rosse, che forma piccole siepi decorative. Appartiene alla famiglia della Rosaceae e i suoi frutti colorati ravvivano l’inverno.

Scrive Rosa Luxemburg in una lettera all’amica Sonja Liebknecht dal carcere di Breslavia nel dicembre 1917 (1):
“Avete raccolto un bel mazzo di bacche (…) rosaviolacee nello Steglitzer Park? (…) Nascoste sotto minute foglioline, potrebbero essere quelle del cotognastro; invero dovrebbero essere rosse, ma in questa tarda stagione sono già troppo mature, cominciano a guastarsi e spesso allora assumono un colore tra il rosso e il viola; le foglioline somigliano a quelle del mirto, sono piccole, appuntite all’estremità, sulla parte superiore sono di color verde scuro e di consistenza coriacea, mentre sulla parte inferiore sono ruvide.”

Cotognastro

Cotoneaster lacteus

Non trovo nulla da aggiungere a questa descrizione davvero accurata in cui penso di riconoscere la specie Cotoneaster dammeri che cresce anche nel mio giardino, quasi dimenticato in un angolino, ma sempre pronto a regalare le sue candide fioriture e colorati frutti. Altrettanto ricche di dettaglio sono le osservazioni di Rosa sulle altre bacche trovate dagli amici nel parco:
“Quanto alle bacche nere, potrebbe trattarsi di sambuco, i suoi frutti pendono in grappoli fitti e pesanti fra grandi foglie pennate e a ventaglio (…), oppure, più probabilmente si tratta di ligustro: dritte pannocchiette di bacche, slanciate e graziose, e foglioline verdi lunghe e sottili.”
Questo vivace interesse per il mondo vegetale sorprende un poco da parte da una donna che aveva votato la vita ad altre, ben più rigide e severe discipline, e che si rivela tuttavia un’osservatrice sensibile e appassionata.

Cotognastro - Cotoneaster lacteus

Cotoneaster lacteus

Più gentile e minuto dell’aggressiva piracanta, sua spinosissima parente, più rigido e coriaceo del silvano biancospino, magico abitante dei boschi, le numerose specie di cotognastro, con le loro piccole foglie tenaci e persistenti, si prestano non solo per piccole bordure, ma anche ad abbellire muri e rocce. Il nome Cotoneaster significa che ha foglie simili al cotogno, caratteristica tipica di alcune specie. Ma forse perché le foglie sono alquanto più minute e i frutti decisamente non commestibili, il nome italiano cotognastro ha quell’accento dispregiativo che la graziosa pianticella non meriterebbe.

Cotognastro

Cotoneaster horizontalis

Più morbido ed elegante del C.dammeri è il Cotoneaster lacteus, così detto a causa del colore biancastro non tanto dei fiori, ma anche del retro delle foglie. Originarie dell’Asia orientale, entrambe le specie non si trovano allo stato spontaneo in Liguria, anche se si sono naturalizzate in altre regioni italiane. Sono tuttavia  largamente utilizzate per l’arredo verde, anche nelle città.
Particolarmente decorativo è il C. horizontalis, originario della Cina, che si incontra naturalizzato e spontaneo anche in Liguria. L’esemplare della foto si trova nel parco della Burcina vicino a Biella.

(1)Rosa Luxemburg ‘Un po’ di compassione’ Adelphi 2007

Rose d’inverno

Rosa banksiae lutea

La rosa banksiae è fiorita. Non una profusione come a primavera, ma tre timidi boccioli proprio in cima al cespuglio, dove il sole li indora con più intensità. Un fiore è già sbocciato e splende nel limpido cielo di gennaio. Intorno il giardino è spoglio e fradicio, ma vitale.

E’ fiorita qualche selvatica borragine e le testarde calendule. Nella serra, l’aloe variegata regala fiori a profusione .

Rosa floribunda ‘Pacific dream’

Le altre rose nicchiano. Dovrò potarle abbondantemente fra poche settimane sperando in una stagione propizia per loro, anche se temo che il caldo non ci risparmierà neppure quest’anno. La rosa floribunda ‘Pacific dream’ dovrebbe fare dei fiori di una tonalità fra il lilla e l’azzurro ed è per questo annoverata nel filone di ricerca della mitica “rosa blu”. Per ora però non accenna a lasciar andare i frutti dello scorso anno, di cui i cinorrodi rosso arancio sono i ricettacoli. Se i semi sono maturi, dovrei provare a seminarli, come insegna Roberto Longo con un procedimento che assomiglia un po’ a quello che seguo io per le talee. I semi sistemati in vasetti con terriccio morbido, poi racchiusi sacchetti trasparenti e posizionati all’esterno perchè prendano qualche ora di sole (quando c’è). Dopo circa 2 mesi, spunteranno le prime piantine, che quando sono alte circa 2 cm possono essere trapiantate singolarmente. Mi pare un procedimento realistico, anche perchè parla di una resa del 50% circa e non di quei mitici 80-90% che non si raggiungono mai. Però è prematuro per la mia rosa, voglio prima osservare se davvero fa i fiori rosa lillazzurri come previsto.

Barba di capra

Barba di capra Aruncus dioicus

Aruncus dioicus

Oggi riprendo un post del 10 giugno 2009, perchè sono felice di aver incontrato ancora nel cuore del bosco questa pianta, modesta e stupefacente.
La barba di capra è il vestito del bosco, delle sue radure meno ombrose, nel mese di giugno. Fiori bianchi, trine, come nuvole leggere e sparse, che si appesantiscono fino ad assomigliare a vapori giallastri mentre appassiscono. La barba di capra si chiama anche asparago di bosco, o asparago selvatico, perchè i suoi turioni, i giovani germogli di colore rossiccio, sono commestibili e prelibati. Ottimi come asparagi, bolliti e conditi con olio aceto sale e pepe … per oggi mi accontento di guardarli nella loro generosa fioritura. Come per altre prelibatezze, bisogna raccoglierli nella giusta stagione e ormai siamo già un po’ fuori tempo. Quando si tratta di foglioline e germogli, non si può pretendere di aspettare i fiori.

Pianta conosciuta fin dall’antichità, il nome Aruncus, dal greco ἠρύγγοσ erýngios, significa esattamente barba di capra per l’aspetto lanoso delle pannocchie; e dioica lo è veramente perchè porta fiori maschili e femminili diversi su piante diverse.

La primavera immancabilmente …

primavera

Prunus spinosa

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Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
dove vestigio human l’arena stampi.
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Talvolta le giornate umane sembrano susseguirsi una uguale all’altra, con insormontabile monotonia. Gli oggetti, le cose e i volti che ci circondano non sembrano capaci di alleviare il tedio e l’uniformità della nostra prigione. Soprattutto in questo periodo, quando le distrazioni e gli svaghi sembrano preclusi e qualsiasi cambiamento appare crudelmente impossibile e proibito.
Credo che sia per questo che la natura ci ha regalato la primavera. Mentre le altre stagioni si fanno sempre annunciare ed arrivano, desiderate o temute, a volte liberatorie, a volte soffocanti, ma sempre prevedibili, la primavera è sempre inaspettata. E non c’è bisogno di preoccuparsi, di affrettarsi e correre per arrivare in tempo, non c’è bisogno di appuntarselo sull’agenda, di regolare la sveglia, di fare telefonate, di compilare domanda, chiedere informazioni, cercare consigli, pretendere raccomandazioni, inviare solleciti, di inoltrare reclami, di aggiornare il sistema operativo, caricare l’app, confermare i dati, premere il pulsante …
Non c’è nulla da fare. La primavera arriva.

primavera 2020

Prunus – 8 marzo 2020

primavera 2021

Prunus – 9 marzo 2021

Anche questa mattina, esattamente come un anno fa, mi sono arrampicata un po’ per le colline alla ricerca di nuove fioriture. Lontano quanto possibile dagli assembramenti umani che continuano ad essere poco raccomandabili. Mi viene incontro l’esplosione dei pruni, coriandoli candidi nel bosco spoglio, e qualche cespo di viburno, dall’aspetto solido e rassicurante.

Quest’anno le fioriture sono un po’ più indietro rispetto all’anno scorso. Ci sarà pure il riscaldamento globale, non metto in dubbio che le temperature medie siano aumentate, ma la natura ha tempi imperscrutabili, e, complice forse la luna (il primo plenilunio di marzo sarà il 28) non è sempre attenta a scadenze fisse.

Non mancano all’appello le splendide epatiche (Hepatica nobilis) e gli anemoni stellati (Anemone hortensis), è la loro stagione e non bisogna proprio lasciarseli sfuggire. Questi anemoni, detti anche anemone dei fioristi perchè frequentemente coltivati, sono spontanei fino alla Liguria e all’Emilia Romagna, ma assenti nel Nord. Si incontrano a frotte, nel bel mezzo dell’erba ancora marroncina. Il fiore è unico, profumato, con petali appuntiti, rosei, violetti o quasi bianchi, stami azzurro viola e antere nere, mentre le foglie basali sono lobate e laciniate, quelle cauline (cioè le foglie che crescono sullo stelo) formano un verticillo di tre o più foglie allungate, a una certa distanza al di sotto del fiore.

Viburnum tinus

Anemone hortensis

Anemone hortensis

Potentilla erecta

Potentilla erecta

Potentilla erecta

Pianticella dai molti nomi e dalle molte forme, ha portamento slanciato (eretto) per quanto possibile per un’erbetta minuta, con foglie palmate, frastagliate, tre segmenti e due stipole, foglie sfuggenti, che scappano quando sbocciano i fiori, sgargianti corolle gialle in cui  neppure il numero dei petali è definito (possono essere da 3 a 6).  Varie specie del genere Potentilla si chiamano volgarmente cinquefoglie e neppure questa fa eccezione, con il curioso aggettivo di tormentilla, che era il nome originariamente attribuitale da Linneo nel 1753.  Questo singolare nome di tormentilla deriverebbe da torméntum, per la capacità della pianta di alleviare il dolore,  mentre il nome attuale deriva semplicemente da potens, potente e si riferisce ancora una volta all’efficacia delle sue qualità curative.

Simile alla Potentilla reptans (cinquefoglie comune, vedi 27  marzo 2009), che ha un portamento strisciante e foglie palmate, composte di cinque foglioline seghettate, anche questa è una pianta ricca di importanti principi attivi, soprattutto tannini, utili per il trattamento della diarrea e le infiammazioni della cavità orale.

Rhaphiolepis

Rhaphiolepis indica

Rhaphiolepis indica

Rhaphiolepis indica

Rhaphiolepis indica

Conosco questo grazioso cespuglio della famiglia delle Rosaceae, Raphiolepis, solo da qualche settimana e già l’ho incontrato più volte, con fiori rosa o bianchi carnosetti,  le foglie spesse e graziosamente ovali.  Inconfondibile, eppure simile a tanti altri fiori primaverili da giardino, forma siepi compatte e attraenti, come il viburno e la fotinia. Questa è indubbiamente la sua stagione,  proprio in questi giorni dà il meglio di sè, come molti altri del suo genere, peraltro.

Ho fotografato questi esemplari alla Landriana, nobile giardino a sud di Roma nato dall’amore della nobildonna Lavinia Taverna e dall’arte del ‘gardener’  inglese Russel Page. Un ‘gardener’, apprendo durante la visita guidata, non è un giardiniere, nè un architetto del paesaggio, ma è entrambe le cose e molto di più.  Soprattutto un artista che armonizza colori e forme, come un pittore. Dovremmo forse interpellare qualche linguista per scoprire come e se è possibile trovare una parola italiana per ‘gardener’.  Contemplo estatica e ammirata questa meravigliosa opera vegetale.  Anche se devo confessare che la mia anima è più affine al giardino planetario di Gilles Clement, dove c’è posto un po’ per tutto e anche asilo per i vagabondi.

Tornando al Rhaphiolepis, si tratta di un arbusto originario delle zone temperate calde e subtropicali dell’estremo oriente. Quindi la sua coltivazione richiede un’esposizione soleggiata, e un clima caldo e mite, anche se alcune specie (ma non R.indica) tollerano temperature fino a -15° C. Il suo nome comune in inglese è ‘Indian hawthorn’, dovremmo tradurre come biancospino indiano, anche se non vedo grandi somiglianze con il biancospino (Crataegus monogyna), a parte la comune appartenenza alle rosacee. Fra l’altro non mi risulta che Rhaphiolepis sia spinoso, quindi certamente non lo chiamerò biancospino.

Pado, il ciliegio a grappoli

Prunus padus Pado

Prunus padus
Pado

Il suo nome, Prunus padus, non lascia dubbi sulle sue origini, la grande pianura del Po, Padus in latino. I fiori sono le scintillanti corolle candide dei ciliegi, ma disposte in pannocchie o grappoli vistosi. Nel nobile giardino della Landriana, il pado sfoggia il suo splendore primaverile, senza sfigurare fra i pruni esotici del Giappone, i Sakura rosa, che lo circondano.

Qui sfruttato per la sua bellezza, il pado è un albero dal glorioso passato. Originario della zona temperata boreale euroasiatica, è resistente anche nei climi più freddi e può essere impiegato come portainnesto.  Fin dal medioevo erano note le sue proprietà officinali e salutari, anche se i suoi frutti sono molto più duri e amari delle ciliegie.  Come altri pruni, noccioli e corteccia sono ricchi di amigdalina che è una sostanza tossica.

I suoi utilizzi erano veramente molteplici. I fiori, i frutti e le foglie venvano impiegati per calmare la tosse e rinvigorire la milza. La corteccia era utilizzata come pesticida naturale distribuendola sui campi di patate e nei meleti perchè glicosidi e fenoli cianogenici proteggevano le coltivazioni dagli attacchi degli insetti e dei roditori. I frutti, la corteccia, le foglie polverizzate e i fiori  sono ancora usati come anestetici e disinfettanti in Russia e  Scandinavia.  Inoltre i frutti sono utili per problemi intestinali e digestivi, un po’ come i mirtilli.  Nel Nord Est Europa, si usano i frutti secchi e ridotti in polvere mischiati alla farina, oppure per preparare liquori e succhi(1).

(1)Uusitalo, M. European Bird Cherry (Prunus padus L.)—A Biodiverse Wild Plant for Horticulture; Agrifood Research Reports, No. 61; MTT Agrifood Research Finland: Mikkeli, Finland, 2004