Fiori e foglie... una pianta al giorno
Amo moltissimo le piante. Soprattutto i grandi alberi, le creature più generose della terra. Ma anche le piccole erbe di prato, persino quelle più impudenti, che si ostinano a resistere ai miei tentativi di estirparle dalle aiuole del giardino. Poca gente osserva le piante, forse le trovano noiose. Pochi sanno riconoscere un leccio, o addirittura distinguere un ippocastano da un tiglio. E' un vero peccato, le piante non sono affatto noiose, e in questo diario botanico io voglio presentare ogni giorno una pianta diversa, del giardino, del campo, del bosco
Naturalmente questo blog non ha pretese scientifiche né manualistiche. E' solo una piccola raccolta di pensieri, mentre osservo le piante, con la speranza di imparare a conoscerle meglio.

Martedi, Giugno 30, 2009
Ofride, orchidea fior d'ape
ophrys scolopax
Nascosta fra l'erba e i cespugli sul ciglio del sentiero, certo alla fine della fioritura, spunta questa piccolissima orchidea. Il genere è sicuramente ophrys, piccoli fiori, di forma raffinata, somiglianti ad insetti e per questo detti orchidee fior d'ape. La radice è quella delle orchidee, due tuberi ellittici, a forma di testicoli. Sulla specie ho qualche dubbio perchè sono tutt'altro che esperta. L'aspetto e le caratteristiche di o. scolopax subsp scolopax mi parevano abbastanza pertinenti: pianta di aspetto variabile, comune sui cigli erbosi, fiorita fino all'inizio dell'estate, con labello bruno purpureo, a volte un'appendice giallo verde rivolta all'insù. Inoltre, secondo il piccolo manuale che ho scaricato dalla rete(1), questa specie è presente in Liguria.
Poco male se ho sbagliato. La scoperta più bella è stata incontrarla, lungo un sentierino fra campi incolti e boscaglia, vicino al paese di Cisiano, nella val Lentro in comune di Bargagli. Avevamo bighellonato un poco nel sole incerto ma a tratti rovente del mezzogiorno di domenica, lungo la strada carrozzabile, pulita e deserta , cercando qualche via traversa verso i campi. Appena lasciato l'asfalto non abbiamo dovuto faticare molto per incontrare gli ultimi fiori della primavera. Non occorre davvero andare lontano per sorprendersi.

(1)vedi 10 maggio 2009 - la piccola guida pubblicata dal Ministero per l'Ambiente "Orchidee in tasca. Piccola guida delle orchidee d'Italia" è disponibile gratis in rete in questa pagina.


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Lunedi, Giugno 29, 2009
Verbasco sinuoso
verbascum sinuatum

verbascum sinuatum

L'angolo della strada dove cresce questo verbasco, pianta comune, ma appariscente, della famiglia delle Scrufulariacee, è una stretta curva che sovrasta un fossato. Più su si inerpica la scarpata che culmina nel crinale del Forte dei Ratti. Sul ponticello c'è un cancello abbandonato, una porta sul nulla. Mi sono fermate a fotografare i fiori selvatici che crescono fra fossato e scarpata, tanti e tutti bellissimi. Ho incontrato il verbasco quasi per caso, mentre cercavo dell'altro. Peccato che questo luogo, per colpa di diffusa e inestirpabile inciviltà umana, non riesca, nonostante l'impegno dei proprietari, a perdere la sua vocazione di discarica, di deposito di oggetti ingombranti inutile e abbandonati. Eppure proprio, appena fuori dell'invisibile recinto delle mure urbane, si affollano fiori e piante rigogliose e robuste, capitate lì per caso e per necessità, ma libere.
Il verbasco sinuoso è snello, ma ha un portamento regale, sembra un grande candelabro a più bracci, e ogni braccio regge numerosi gruppi di fiori giallo brillante, corolle di cinque petali e stami dalla peluria violetta. Ormai è quasi sfiorito e i bei fiori discretamente lasciano il posto a frutti a capsula, meno attraenti, ma più floridi.

Di un suo parente stretto, il verbascum thapsus, o tasso barbasso, ho già parlato il 22 maggio e 25 giugno 2008.


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Domenica, Giugno 28, 2009
Dulcamara
solanum dulcamaraHo sempre ammirato i minuti fiori viola di questa pianticella selvaggia, dalle foglie oblunghe, sempre corredate di due piccole propaggini (stipole). E' un rampicante molle, che si appoggia più che avvingersi a fusti e tutori stabili. I rami freschi, dice Bianca Accame(1), hanno "odore di urina di topo". Io ho sempre ammirato la dulcamara, come dicevo sopra, ma anche temuta un poco, perchè la percepivo velenosa. La sua parente più vicina, solanum nigrum, morella (15 ottobre 2008) è un'erbetta impertinente che fiorisce ad estate avanzata. Ed è velenosa. Tutte le piante del genere solanum, famiglia solanaceae, contengono una sostanza alcaloide, medicamentosa ma tossica, la solanina. La dulcamara poi assomiglia per molti versi un'altra solanacea nota alla farmacopea, e velenosa, la belladonna. Anche il solanum melongena, la melanzana (17 luglio 2008), non può essere consumata cruda, anche se è ricercata e prelibata una volta cotta.
La dulcamara è comunque deliziosa e curiosi sono i frutti, le bacche prima verdi (foto qui a destra), poi rosse e sempre più scure con l'età. Sembrano davvero grappolini di melanzane in miniatura, ma buone a nulla. Di qualche interesse farmacologico, specie in omeopatia, è invece il fusto, dal caratteristico sapore dolceamaro. Non ho tuttavia molta voglia di assaggiarlo, preferisco la compostezza dei suoi fiori, i petali appuntiti e lucidi, il lungo punto d'oro nel centro.

(1)Piante di casa nostra - De Ferrari Editore, Genova, 2001


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Sabato, Giugno 27, 2009
Betulla
betula pendulaLungo una crosa di campagna, vicino a un villetta piuttosto esclusiva, ho incontrato questa betulla. Sono riconoscente a lei prima di tutto, ma poi anche a chi l'ha piantata, perché le betulle non sono per niente comuni in questa regione. Le foglie romboidali, la corteccia bianca solcata da spaccature scure e i rami eretti e ricadenti, la betulla bianca o pendola è inconfondibile. A volte l'argento luminoso del tronco può assomigliare a quello del pioppo bianco (vedi 18 agosto 2008), ma si tratta di un lapsus momentaneo, le foglie sono completamente diverse.
La betulla è un albero antico e leggero, nobile, etereo e resistentissimo. I tedeschi la chiamano la signorina dei boschi, per il portamento snello, la chioma rada e i colori chiari del tronco e delle foglie. I boschi di bettulle hanno la condistenza delle nubi, ma la fierezza del tuono.
Scrive Hermann Hesse sugli alberi(1):
"Tra le loro fronde stormisce il mondo, le loro radici affondano nell'infinito; tuttavia non si perdono in esso, ma perseguono con tutta la loro forza vitale un unico scopo: realizzare la legge che è insita in loro, portare alla perfezione la propria forma, rappresentare se stessi. Niente è più saggio e più esemplare di un albero bello e forte."
Come sarebbe giusto fare degli alberi i nostri maestri di vita. In qualche modo lo avevo sempre pensato, proprio come lo racconta lui; un grande artista è un po' come se ci leggesse nel pensiero.

(1)Il canto degli alberi - Guanda, 1992


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Venerdi, Giugno 26, 2009
Vincetossico
vincetoxicum hirundinaria
Ho fotografato questa pianta nella brughiera che orla la vetta di uno dei monti più famosi della val Fontanabuona, dal nome altisonante, Monte Caucaso. Su questa punta di circa 1300 metri, molto panoramica, situata sullo spartiacque mediterraneo-padano, è stato recentemente costruito un rifugio con ristorazione, facilmente raggiungibile da Barbagelata in circa mezz'ora di cammino.
Ma non occorre andare così lontano per incontrare questa pianticella, alta fino a più di un metro, che cresce al limitare dei boschi e lungo le strade di semicampangna, come quella che porta a casa mia. Il nome dovrebbe far sospettare che si tratti di una pianta velenosa, anche se l'etimologia invece deriva da una credenza popolare che gli attribuiva proprietà di antidoto nelle intossicazioni. Il già citato Primo Boni(1) descrive con la solita ricchezza di coloriti particolari raccappriccianti l'avvelenamento da vincetossico come 'uno dei più gravi'. Perchè allora avrebbe guadagnato la fama di antiveleno è difficile a dirsi, anche se spesso nella cosidetta cultura popolare si mescolano menzogne e verità, grandi invenzioni e pericolose sciocchezze. Per tutti valga l'esempio della scellerata diceria che amanita phalloides, il fungo forse più velenoso che esista, possa a piccole dosi guarire infezioni virali, come raffreddore e influenza. Peccato che anche a piccole dosi amanita phalloides danneggi il fegato in in modo irreversibile e fatale.
Il vincetossico appartiene a una famiglia dal nome bizzarro, le asclepidiaceae , ed ha anche un secondo nome (sinonimo), cynanchum vincetoxicum. Il nome della specie hirundinaria ha indubbiamente a che fare con le rondini, a causa della forma biforcuta della radice (a coda di rondine).

(1)Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche - Ed. Paoline, 1977


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Giovedi, Giugno 25, 2009
Lattuga dei boschi
mycelis muralisAlcune famiglie di piante sono un vero rompicapo. Penso alle ombrellifere, alle leguminose e alle composite. Sono famiglie molto numerose e fra i loro componenti alcuni si assomigliano troppo, vivono nello stesso habitat, fioriscono quasi contemporaneamente. Però sono piante molto differenti. Nella categoria 'margherite gialle' per esempio, famiglia compositae o asteraceae, la varietà è soprendente, e fermarsi al classico tarassaco sarebbe un grande peccato. La lattuga dei boschi è a tutti gli effetti una lattuga, lactuca, nome che deriva dalla presenza di lattice nel fusto e nelle coste delle foglie; ma si chiama anche mycelis muralis, e viene considerata genere distinto da lactuca perché ha infiorescenze a capolino, gialle, composte rigorosamente da soltanto 5 fiori a raggiera, con petali dal bordo sfrangiato. Questo rende più semplice il suo riconoscimento.mycelis muralis Anche le foglie sono particolori, quelle basali a forma di freccia o di pennino tozzo, quelle cauline (le foglie che si dipartono dal fusto) allungate e saldate allo stelo (tecnicamente si chiamano amplessicaule). Nonostante queste caratteristiche abbastanza peculiari, e un genere, mycelis, di cui è unica esponente, la lattuga dei boschi non è una pianta rara nè fine; cresce dappertutto, ad eccezione del versante marino, snella e ramificata, sul bordo dei fossi e dei muretti, lungo le crose di campagna. Dovrebbe fiorire da luglio a settembre. Quest'anno è ovviamente in anticipo, fiorita, a tratti sfiorita, alla fine di giugno. Ordinaria ed umile, ma citata, e discussa, nei libri di botanica, una scienza da questo punto di vista molto democratica.
Le lattughe sono piante piuttosto comuni; ma la specie che comprende tutte le 'insalate' coltivate e commercializzate, lactuca sativa, non esiste più allo stato selvatico e, come spesso accade, qualcuno dubita perfino che sia mai esistita. Potrebbe derivare dalla lactuca scariola. Tutte le lattughine selvatiche, anche la l. muralis, sono commestibili,
ad eccezione della l. virosa, detta appunto lattuca velenosa, piuttosto tossica, ma non particolarmente diffusa. Vale comunque sempre la regola di raccogliere e consumare soltanto quelle erbe che si sanno realmente riconoscere come buone.

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Mercoledi, Giugno 24, 2009
Robbia selvatica, fiori
rubia peregrina
Il giorno di san Giovanni è una data importante, un momento di svolta. Le ciliegie sono finite e l'estate è appena cominciata. In modo impercettibile, e per il momento indolore, le giornate tornano a farsi più corte. La posizione del sole all'alba e al tramonto comincia a retrocedere verso il Sud. Invero quello che è cominciato è il cammino verso l'inverno.
Sciocchezze.
Mai la natura è così rigogliosa come il giorno di san Giovanni, anche in quest'anno che ha bruciato le tappe. Pochi i fiori rimasti della robbia selvatica (già mostrata il 2 ottobre 2008). Piccole stelle nell'ombra dell'erba. Formano spalliere compatte, ruvide, appicicaticce. Fra poco anche loro saranno bacche.

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Martedi, Giugno 23, 2009
Melograno
punica granatum
... il verde melograno dai bei vermigli fior ...

Il melograno, un albero straordinario, è un frutto antico, uno dei primi alberi da frutto mai addomesticati. Della famiglia delle punicaceae, ha pochi parenti. Anzi il suo genere non vanta altri esemplari, se non un'altra specie, rarissima, praticamente estinta. Ampie fronde, fiori vermigli, e frutti magici, che maturano in autunno, un miracoloso involucro di semi aciduli, succosi, dolci. Una delle fiabe più note della tradizione italiana celebra la poesia della 'melagrana' immaginando che dalla sua scorza, dura, fibrosa, sanguigna, scaturisca l'incanto di una mirabile fanciulla. Guardo il melograno e non so a che pensare, se al fiore stellato, al frutto granoso e zuccherino, o alla leggenda.

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Lunedi, Giugno 22, 2009
Fiordaliso scuro
centaurea nigraIn questa frettolosa esplosione d'estate, diventa sempre più difficile trovare dei fiori. Mentre è abbastanza usuale che gli agricoltori, ma talvolta anche le persone qualsiasi, lamentino che 'la stagione è indietro', quest'anno, invece, dovremmo preoccuparci della sua precocità. E' tutto arrivato in fretta, fiorito, e sfiorito, troppo presto. I prati di questa fine di giugno mi ricordano tanto i prati della campagna di agosto, abbondanti d'erba e semi, ma poveri di colori e forme. Le fioriture troppo brevi ed effimere sono una spiacevole caratteristica della stagione calda mediterranea, una delle ragioni che rende quasi impossibile riprodurre nei nostri giardini le perfette bordure inglesi.
Il fiordaliso scuro è uno dei fiori più comuni nei prati estivi. La sua fioritura insiste per tutta quanta la stagione. Così comune che fa parte di quei fiori che appena si guardano. Così comune che non ho mai osato neppure chiamarlo fiordaliso. Per me il fiordaliso era soltanto azzurro, la centaurea cyanus, gocce di cielo fra il giallo del grano e il rosso dei papaveri. Quest'immagine iconografica mi proibiva di chiamare fiordaliso una corolla così grezza come quella della centaurea nigra. Eppure non c'è fiore di tradizione più nobile, l'unico forse che ha pieno diritto di chiamarsi centaurea, sempre a causa di quel certo centauro Chirone, che proprio grazie ad un impacco di questo fiore guarì da una grave ferita e si convertì all'arte erborista. Leggenda o mito purtroppo privo di riscontri pratici, perché non sembra che questa pianta abbia effettive proprietà cicatrizzanti, o antinfiammatorie. E il motivo di tanta fama si perde nella notte dei tempi.

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Domenica, Giugno 21, 2009
Dalia
dahlia variabilis
Stanno sbocciando le dalie, rigogliose e sgargianti. Le dalie provengono dal Messico e hanno dato origine a moltissime fantasiose varietà; ma tutte hanno mantenuto il calore, e l'energia, delle creature che vengono dall'America latina. Come le erbacee perenni di cui dicevo ieri, anche le dalie, bulbose, o più precisamente tuberose, scompaiono d'inverno, e le loro brune radici se ne stanno sotto terra, come patate in letargo. Poi cominciano a germogliare le foglie, forti e verdi, inarrestabili. I fiori sono del genere 'vistoso e pacchiano', quello snobbato dai cultori del giardino. Nell'articolo di Lorenzo Ciarlo che menzionavo ieri a proposito delle perenni (Rosae, giugno 2001), l'autore si lamenta un po' dei gusti poco raffinati degli italiani, che nei giardini preferiscono fiori grandi, molto grandi, doppi e stradoppi, dai colori violenti. Ho pensato subito alle mie dalie, alle loro sfavillanti corolle, così prorompenti, così floride e grasse. Totalmente inadatte a fiori da bordura. Ma io le amo così, come si ama un'amica forse un po' troppo irruente, ma incredibilmente generosa; le amo perchè ritornano, non tradiscono mai e non hanno bisogno di quasi nulla. Le amo soprattutto perchè le trovo bellissime. Con i loro petali a raggio, i loro colori screziati, raffinate e altere. Per niente 'pacchiane'.

Stanotte comincia ufficialmente l'estate; per festeggiarla, dopo quasi un mese di sole, sta arrivando il temporale. la pioggia è lenta e regolare, per fortuna; se continua è buona per la terra, già abbastanza assetata.

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Sabato, Giugno 20, 2009
Gypsophila
gypsophila paniculataFiore della nebbia o velo da sposa, questa pianta delle caryophillaceae (la famiglia dei garofani) ha piccolissimi fiori bianchi (talvolta rosa) che hanno l'aspetto di nuvole leggere su steli alti e snelli. L'ho seminata nel maggio dell'anno scorso e sapevo che aveva fiori piccoli, anche se non immaginavo che fossero più piccoli di una coccinella. Dopo l'inverno è cresciuta molto in altezza, su fusti rotondi e lisci, con foglie lanceolate. Ha cominciato a fiorire, per la prima volta nella sua vita, qualche settimana fa. E' una pianta perenne, da bordura alta.
Per quanto riguarda bordure ed erbacee perenni, devo molto alla lettura di un semplice articolo di Lorenzo Ciarlo, sulla rivista Rosae, da lui diretta, e pubblicato nel giugno 2001(1). Le erbacee perenni, come la gypsophila, ma anche la peonia erbacea che ho acquistato e messo a dimora qualche mese fa, sono piante decidue e, non possedendo un fusto legnoso e persistente come gli alberi e gli arbusti, d'inverno scompaiono completamente. Queste piante sono una risorsa incredibile per il giardino, perché rappresentano la sua segreta ricchezza e la sua costante rinascita. Con le erbacee si formano le bordure, sorta di aiuole che imitano le associazioni vegetali naturali, i prati di montagna e le radure dei boschi, o ancora le rive fiorite di un ruscello o di un lago, dove piante diverse convivono in variopinte armonie. Per il giardiniere è una sfida riprodurre queste simbiosi, perché ogni qualvolta si prova ad affiancare piante diverse che ci piacerebbe veder crescere insieme, è facile che una di esse prevalga, che qualcuna sia soffocata, o che comunque la crescita non sia come era stata prevista.
Da perfetta neofita ignorante, ho seminato la gypsophila proprio alla fine di un'aiuola, dove cresce in relativa solitudine. Così sembra un po' spersa, senza proscenio, nè sfondo. Ma io non la conoscevo e dovevo sperimentare.

(1)Ringrazio per questo Francesca, un'amica che mi ha imprestato due numeri di questa rivista, suppongo difficilmente reperibile altrimenti

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Venerdi, Giugno 19, 2009
Centauro giallo
blackstonia perfoliata
Centauro o centaura che sia, il nome di questa pianta si richiama ancora una volta a Chirone, la mitica creatura, mezzo uomo e mezzo cavallo, esperto di botanica e di pratiche erboristiche. Quest'erba, della famiglia delle genzianaceae, non è però fra le più celebri per le sue virtù officinali, anche se è ha proprietà digestive e febbrifughe, simili a quelle della sua parente dai petali rosa, il centauro maggiore, o cacciafebbre ( 2 luglio 2008). Le sue corolle gialle, così difficili da fermare sull'immagine, soprattutto digitale, non sono rare a vedersi lungo gli incolti ai bordi delle strade suburbane o extraurbane. E' fiorita dalla primavera all'autunno, con fiori raccolti in infiorescenze erette e biforcate, dense e luminose, e foglie carnose, grigio verde. Quelle lungo il fusto (le foglie cauline) sono saldate a due a due alla base, formando una specie di coppa. Forme precise, raffinate, scolpite, per un erbetta da nulla che cresce fra il brecciolino e l'asfalto, all'ombra di qualche rovo.

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Mercoledi, Giugno 17, 2009
Olivo
olea europeaUn breve aggiornamento sul mio piccolo olivo, di cui ho già mostrato i frutti (22 settembre 2008) e il grande coraggio durante la nevicata dell'Epifania (foto 11 gennaio 2009). I fiori sono piccoli e stellati, a grappoli densi. Abbondanti anche quest'anno, fanno sperare in un discreto raccolto. Anche se in agricoltura la certezza arriva soltanto all'ultimo momento, quando la maturazione è completa e perfetta. Le olive dell'anno scorso sono in salamoia, amarissime per la maggior parte dei palati, ma in un certo senso gradevoli, in tutta la loro selvatica asprezza.

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Martedi, Giugno 16, 2009
Silene rigonfia
silene vulgaris
In Veneto si chiamano "sciopetini". I bambini schiacciano e fanno scoppiare i calici, gonfi come microscopici otri. Verde pallidissimo, cosparsi di venature bianco grigiastre. Ho giocato un bel po' anch'io con questi fiori, che scoppiano davvero, almeno fino a quando il seme non comincia a maturare, perchè allora il calice si affloscia e invece dello scoppio, resta in mano una pallida verde, liscia e dura. Questa pianta è davvero comune nei prati, è un'erba commestibile (naturalmente solo le foglie molto giovani sono appetibili) e ha anche dei bei fiori. Se per bello si intende tenero, bianco, con petali sottili e di forma perfetta; ma fragili, eterei, impalpabili. Meno poetico il nome, che deriva da Sileno, un compagno di Bacco, bevitore, notoriamente panciuto, come i calici di questa pianta. Mentre i petali appassiscono velocemente, il calice resiste, si fa pergamenaceo per proteggere la capsula, a cui resta legato fino in fondo, fino alla fine. Che per il seme è l'inizio.

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Lunedi, Giugno 15, 2009
Issopo
hyssopus officinalisL'issopo é una pianta aromatica della famiglia della Labiate, o Lamiaceae come vengono più spesso chiamate nei trattati di botanica. Labiate è un termine più facile perché ricorda i fiori tutti più o meno a forma di labbra, e comunque con la corolla concresciuta a tubo per offrire un ricettacolo agli insetti impollinatori. Lamiaceae invece ci ricorda solo che è una pianticella simile al lamium, la falsa ortica. In ogni caso le piante di questa famiglia utilizzate in cucina come aromatiche sono numerose e molto conosciute, il rosmarino (vedi 21 dicembre 2008), la salvia e il timo (28 giugno 2008), la menta (21 ottobre 2008) e la mentuccia (nepetella, 24 settembre 2008), e poi l'origano la maggiorana e la profumatissima santoreggia (3 maggio e 22 ottobre). L'issopo invece non è molto noto, anzi ormai quasi sconosciuto. Il suo sapore è intenso, mentolato, amaro. Le foglie sono piccole e lanceolate, i fiori blu violetto, disposti in verticilli, compaiono all'inizio dell'estate. Come quest'anno, finalmente nel mio giardino, una pianta che avevo messo a dimora la primavera dell'anno scorso, è fiorita, improvvisamente.

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Domenica, Giugno 14, 2009
Romice o lapazio comune
rumex obsutifolia
Esistono molte specie di romice (famiglia Polygonaceae), tutte erbacce abbastanza comuni, vigorose, infestanti. Molte sono dotate di interessanti proprietà alimurgiche e officinali. Forse la più pregiata da questo punto di vista è l'acetosa (rumex acetosa), di aspetto e fioritura simile a quella della fotografia, ma con le foglie con lobi acuti o orecchiette, che si avvolgono al fusto. Un altro è il romice crespo (rumex crispus), le cui foglie sono molto allungate, e si può cucinare come erbette e spinaci. Invece il romice della foto, come suggerisce il nome il più comune, ha foglie a forma quasi triangolare e i frutti rossicci. Non sembra il più ricercato per il palato, benché certamente commestibile; le sue foglie lessate vengono definite di sapore 'sciatto' e utilizzate come foraggio da maiali o per avvolgere il burro e tenerlo fresco(1). E' comunque ricco di proprietà benefiche, soprattutto antianemiche per la presenza di una rilevante percentuale di ferro organico. Sarà questa caratteristica a dare a foglie e frutti il tipico colore rossiccio?
Fotografato, come la barba di capra del 10 giugno, al margine del bosco lungo la SP 21 di Neirone, vicino al paese di Roccatagliata (accessibile dalla SS 225 della val Fontanabuona).

(1)Informazioni desunte da P.M.Guarrera, Usi e tradizioni della flora italiana, Aracne ed. 2006

scritto alle 16:41 da CarlaFed ::    COMMENTI


Sabato, Giugno 13, 2009
Rincospermo o falso gelsomino
rhynchospermum jasminoidesUna bella giornata di quasi estate, con il sole gagliardo, e poi la morbida umidità della sera che allevia la stanchezza del giorno. Il gelsomino, quello vero (jasminum officinalis, vedi 18 maggio 2009) è ormai sfiorito, ma ecco il suo sosia a foglia coriacea sempreverde, con la generosissima e inebriante fioritura, che continua ancora, gradita proprio a tutti.

Ecco una foto del gazebo nel giugno 2006, quando i rincosperma erano tre.

scritto alle 23:04 da CarlaFed ::    COMMENTI


Venerdi, Giugno 12, 2009
Astragalo
astragalus glycyphyllus
Bisogna dire subito che questo bel fiore bianco, dalle striature verdastre, non è un fiore di trifoglio. Non è t.nigrescns, e neppure t.alpinum. Magari un pochino gli assomiglia, è una fabacea, con infiorescenze fitte, però più cilindriche che ovoidali. Ma le foglie non possono assolutamente trarre in inganno; sono imparipennate e composte di almeno sette copie di foglioline ovali, piuttosto ampie. Come dire, non si tratta assolutamente di un tri-foglio. Questa pianta si chiama anche 'falsa liquirizia', perchè ha aspetto simile alla liquirizia vera, glycyrrhiza glabra, importantissima pianta officinale, dalle molteplici qualità, ma soprattutto nota per l'estratto della sua radice, appunto la liquirizia. La glycyrrhiza glabra è di origine mediterranea, ma era diffusa e utilizzata anche in Cina; poi è stata così intensamente coltivata per tanto tempo che non si hanno più indicazioni precise circa l'habitat originario. Invece dall'astragalo non si ricava liquirizia e non ha neppure significative proprietà officinali o gusto pregiato. Così continua a crescere dove è sempre cresciuto, in collina, e verso la montagna, libero e selvatico. Questo l'avevo fotografato vicino a Barbagelata (Genova), a circa 1000 metri s.l.m. sull'Appennino genovese, nel giugno 2002. Il suo strano nome (l'etimologia è incerta) è lo stesso di quello di un osso del piede, un osso fatto a cubetto che sta fra la tibia e il piede. E per tutte queste coincidenze è difficile dimenticarlo.

scritto alle 23:07 da CarlaFed ::    COMMENTI


Giovedi, Giugno 11, 2009
Buddleja
buddleja davidii Questa pianta è originaria della Cina, viene coltivata nei giardini, ma si è ormai naturalizzata in molte aree incolte. La chiamano anche albero delle farfalle forse perché la sua persistente fioritura attira moltissime farfalle. Ricordo questa pianta perché fioriva abbondante su una fascia alle spalle di un agrumeto, nell'immediato entroterra di Monterosso, la prima delle Cinque Terre. Lungo un viottolo assolato e pulito, verso quella campagna mediterranea, abbondante e assetata, quelli strani fiori a pannocchia, a cono o a piramide, mi avevano incuriosito. Chi volesse ritrovarla, dovrebbe cercare l'agrumeto dei fratelli Valente, segnalato da una targa e accompagnato da una bella iscrizione sulla pietra che quel sentiero descrive, meglio di qualsiasi fotografia:
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni

(Eugenio Montale)

Ho già citato questa poesia in almeno altre due pagine qui e qui


scritto alle 23:10 da CarlaFed ::    COMMENTI


Mercoledi, Giugno 10, 2009
Barba di capra
aruncus dioicus
E' il vestito del bosco, delle sue radure meno ombrose, nel mese di giugno. Fiori bianchi, trine, come nuvole leggere e sparse, che si appesantiscono fino ad assomigliare a vapori giallastri mentre appassiscono. La barba di capra si chiama anche asparago di bosco, o asparago selvatico, perchè i suoi turioni, i giovani germogli di colore rossiccio, sono commestibili e prelibati. Naturalmente, come detto per il raperonzolo, ormai siamo fuori tempo massimo per raccoglierli. E andar per piante selvatiche commestibili, che sono saporite, benefiche e gratuite, è un'arte che purtroppo non si può apprendere sui libri, nè su una pagina web. E' un'arte che richiede un maestro in carne ed ossa che accompagni il discepolo per i campi e i boschi, e indichi, e suggerisca, e corregga. Ottimi come asparagi, bolliti e conditi con olio aceto sale e pepe ... per oggi mi accontento di guardarli nella loro generosa fioritura.
Fotografati nel bosco lungo la SP 21 di Neirone, vicino al paese di Roccatagliata (accessibile dalla SS 225 della val Fontanabuona), in un giorno di giugno, burrascoso, ventoso, ma comunque molto molto verde.

un'altra immagine di barba di capra
un itinerario in val Fontanabuona (non proprio Neirone e Roccatagliata, ma nei paraggi)

scritto alle 21:38 da CarlaFed ::    COMMENTI


Martedi, Giugno 09, 2009
Sedano di monte
levisticum officinalisIl sedano di monte è una pianta che assomiglia molto al sedano da cucina che tutti conosciamo, per aspetto e profumo. E' perenne e, anche se d'inverno sparisce, rinasce con la buona stagione alta e robusta, raggiungendo facilmente i 2 metri di altezza. E' un'ombrellifera dai fiori gialli brillanti; ma dopo questa abbondante fioritura sarò costretta a potarla per ridimendesionarla un poco. Tradizionalmente coltivata nei monasteri, è ricca di proprietà benefiche, digestive e antisettiche. Il suo sapore è forte e aspro, e le sue foglie e gambi più minuti sono ottimo ingrediente di dadi vegetali, come sapore da brodo o da soffritto. Si può anche sbiancare, per cercare di addolcirla. Originaria del Medio oriente, è inselvatichita nelle nostre regioni costiere e montagnose del Sud Europa, anche se è relativamente rara. Forse ho detto tutto di lei, ma devo ancora aggiungere che è una pianta generosa e bellissima, mi piace osservare la sua esuberanza e godere un poco del suo aroma robusto e vero.

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Domenica, Giugno 07, 2009
Lino malvino
linum viscosum
Ancora sulla strada di casa ...
Questa mattina ho riletto per l'ennesima volta un bellissimo articolo di Tiziano Terzani, 'L'Orsigna: ultimo amore' che figura in fondo, a mo' di conclusione, alla raccolta intitolata 'In Asia' (Longanesi 1998). Dice Terzani: - Per i "Racconti d'estate' nel 1997 il Corriere della Sera diede come tema ai suoi collaboratori "un luogo". Non mi vennero in mente nè Saigon, né Benares, ma ... - L'Orsigna, una valle nell'Appennino Toscano fra Firenze e Pistoia dove aveva trascorso un'importante parte dell'infanzia ed adolescenza. Il che mi ha sempre fatto pensare, con la dovuta e rispettosa distanza, alla mia infanzia trascorsa in val Bisagno, dove effettivamente ancora adesso vivo. Nella sua bellissime e intensa storia, Terzani a un certo punto cita l'immancabile, e molto pertinente, proverbio cinese. Dicono, i cinesi, di chi vede senza osservare, vive senza penetrare la sostanza delle cose: "Guardare i fiori dal dorso del cavallo". Esco dalla metafora, io che ogni giorno sulla strada di casa sbircio dall'alto del mio 'cavallo' (fiat seicento classe 1999) i fiori sul bordo del bosco, al limitare dei prati. Mi esercito a riconoscere ogni verde, ogni colore anche dalla macchina in corsa, anche mentre guido, mi sforzo di scoprire quanto c'è di nuovo e soprendente, quanto l'alito della stagione ha portato, o strappato via. Non sempre ci riesco, e mi tengo la voglia di tornare, con calma, a guardare da vicino. Certo, se non fossi scesa da cavallo, non sarei neppure riuscita a vedere questo delicato fiore color malva, dall piccole foglie lanceolate, che credo di aver riconosciuto come lino malvino. Eppure chissà quante volte ci sarei ancora sfrecciata accanto.

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Sabato, Giugno 06, 2009
Raperonzolo
campanula rapunculusQuesto bel grappolo di campanule celeste rosate sono i fiori di una delle erbe selvatiche più pregiate, dolci e saporite, il famoso raperonzolo. Famoso perchè dà anche il suo nome a una celebre fiaba dei fratelli Grimm, Rapunzel, alla quale sono particolarmente affezionata. Non solo le foglie dolci e croccanti, ma anche le radici, dal delicato sapore di noce, attirarono l'incontenibile voglia della sfortunata madre di Raperonzolo. Il nome mi aveva sempre erroneamente suggerito che si trattasse di una specie di rapa, e l'avrei superficialmente attribuita alla famiglia delle brassicaceae, mentre neppure mi sfiorava l'idea potesse essere una campanula.
Come tutte le insalate quando fioriscono non sono più buone a nulla e la raccolta andava fatta per tempo, dalla fine dell'inverno fino ad aprile. E se non sarà sempre facile riconoscere la foglie, sembra proprio che la radice, rigonfia, sia abbastanza inconfondibile. Il mio mentore in fatto di erbe selvatiche, Primo Boni1, discute a lungo sui vari accorgimenti per raccoglierla nei luoghi giusti al momento giusto. Nei campi incolti, ove, tra le erbe rade sia abbondante il muschio, si può trovare con facilità al primo sciogliemento della neve. Invece negli incolti arati o vangati qualche anno prima i cespi saranno più densi e nutriti, ma per coglierla bisogna aspettare aprile. Essendo una pianta biennale, verrebbe da pensare che foglie e radici si trovino anche d'estate, ovviamente quelle delle piante novelle, cioè quelle del primo anno, non ancora fiorite, come accade per prezzemolo e carote. Ma quel che Boni consiglia è più che altro di notare con precisione il luogo dove è più abbondante la fioritura, perchè alla maturazione dei semi attorno alla piantina si avrà un'abbondante disseminazione. E si spinge oltre, fino a suggerire di raccoglierne i semi (microscopici) e seminarli in qualche campicello abbandonato, nel terreno sabbioso, non umido, appartato ed esposto al sole, che funzionerà come un improvvisato orticello. Il che mi sembra un consiglio originale ed arguto. Questo per chi si diletti di erbe e radici selvatiche alimentari. Per tutti gli altri, che le erbe preferiscono comprarle al mercato, molto molto più addomesticate dei raperonzoli, rimane la profusione di candide campanelle che orlano i bordi dei campi, il fine disegno dei loro morbidi calici a cinque punte, alti sullo stelo slanciato, che si piega, morbido, sotto il dolce peso dell'infiorescenza.
1Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche, Ed. Paoline, 1977

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Venerdi, Giugno 05, 2009
Mattiola o violacciocca
matthiola incana
Questa pianta cresce spontanea sulle scogliere, su suoli calcarei battuti dal vento marino. E' della famiglia delle crucifere, cioè dei cavoli, e fiorisce all'inizio della primavera. Così la sua fioritura dovrebbe essersi ormai spenta, mentre fra i gruppi spessi di foglie lanceolate rimangono soltanto le lunghe e allampanate silique (i frutti). E' anche diffusamente coltivata nei giardini, e proprio sul bordo di un giardino vicino casa (lo stesso giardino del symphoricarpus che ho mostrato il 27 maggio 2009) l'avevo fotografata l'anno scorso a giugno, ancora in piena fioritura. Le violacciocche coltivate hanno spesso fiori a petali multipli, fimbriati, che le rendono quasi irriconoscibili. Un paio d'anni fa ne avevo piantata una in giardino, ma è durata poco e al termine dell'esuberante fioritura è velocemente scomparsa. Invece la violacciocca di questa foto si è adattata molto bene, proprio identica alle violacciocche spontanee e rustiche che crescono vicino al mare, e che sono bianche (dovrebbe essere il colore dominante perché incana, già l'ho detto, significa bianca), ma anche rosa, rosso, lilla e violetto. Mi piace questa pianta, dal fusto robusto e i fiori setosi. Finisce che un giorno di questi rubo una siliqua.

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Giovedi, Giugno 04, 2009
Amareno
prunus cerasusSono già alcune settimane che i giovani pruni, avium e cerasus, gravidi di drupe rosse come gocce di sangue, 'sembrano feriti' come dice la canzone. Gronderanno di dolci frutti ancora per tutto il mese di giugno, fino, si dice, al giorno di san Giovanni Battista (24 giugno); dopo di che sarà difficile trovare una ciliegia senza l'abitante, detto proprio per questo il giovannino, in genovese o baccicin.
Gli amareni sono cugini rustici dei ciliegi propriamente detti. Più piccoli e a volte contorti, con il tronco più scuro e legno meno rossiccio, hanno frutti di colore brillante e traslucido, più trasparente delle ciliegie, e dal gusto acidulo, ma assai gradevole.
Questo amareno si trovava a Lorsica, un piccolo comune della val Fontanabuona (Genova), sulle pendici del monte Ramaceto. Luogo ameno e favoloso, dove ancora si tessono gli artigianali damaschi secondo un'antichissima tradizione della valle. Esiste infatti, o per lo meno esisteva nel giugno 2003 quando l'ho visitato, proprio vicino all'amareno della fotografia, l'ultimo laboratorio artigiano di tessitura, il laboratorio De Martini, equipaggiato di due telai jacquard, impianti meccanici dell'inizio del '900, mantenuti in costante esercizio, per produrre tessuti di pregio.

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Mercoledi, Giugno 03, 2009
Crespolina ligure
santolina ligustica
Questa pianta è una rarità. Se non sapessi molto bene dove l'ho fotografata, fra Deiva e Monterosso (La Spezia) nel giugno 2005, forse non sarei mai venuta a capo della sua specie. Si tratta di un endemismo molto spinto, cioè di una specie che vive in un areale molto ristretto, addirittura (secondo questa pagina del grande sito di botanica AMINT) in 'aree estremamente frazionate che assommate non superano i 15 Kmq di superficie'. Un'altra santolina, invero molto molto simile, la s. pinnata, si trova invece soltanto nella zona molto circoscritta delle Alpi Apuane, fra le provincie di Massa e Lucca. E' inevitabile che piante legate a un ambiente così limitato siano a rischio di estinzione, anche se la fonte già menzionata qui sopra stima che la popolazione ligure ammonti a circa 30.000 esemplari. Le piante hanno abitudini molto particolari, da sole non viaggiano, o viaggiano poco. A volte si spostano sulle ali del vento, o traghettate in lungo e in largo dagli appetiti di qualche animale. Grandi spostamenti di semi sono avvenuti soltanto con lo sviluppo delle colture e degli insediamenti umani. Ma come vocazione le piante sono endemiche, territoriali. Adatte al luogo dove l'evoluzione le ha create, particolari grandi o piccoli di un paesaggio, che, grazie a loro, è unico nell'infinito.

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Martedi, Giugno 02, 2009
Sferracavallo
hippocrepis comosaCome mi ero riproposta, torno sulla via di casa. I luoghi sono sempre quelli, il bordo di una strada nel bosco di mezza collina, nell'immediato entroterra di Genova. Ma la primavera, fra maggio e giugno, offre una varietà incantevole di fioriture, spesso inaspettate. Ancora una specie di ginestrina, piccoli fiori gialli, papilionacei, tanti. I generi di leguminose che hanno fiori di questo tipo sono numerosissimi, ma hippocrepis, volgarmente sferracavallo, dovrebbe distinguersi per una particolarissima forma dei bacelli, appiattiti e curvati, divisi in segmenti da strozzature a ferro di cavallo. Azzardare un riconoscimento soltanto da fiori e foglie forse è un tantino azzardato, ma ci provo. Prometto di tornare sul posto fra un po' di tempo a controllare i bacelli. Sono troppo curiosa. Se ho sbagliato, farò ammenda e correggerò.

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Lunedi, Giugno 01, 2009
Grevillea robusta
grevillea robusta
Questo bell'albero dal tronco diritto e la chioma ombrosa proviene dall'Australia orientale e dopo un lunghissimo viaggio è approdato ai giardini di Nervi, elegante parco situato all'estremità più orientale del comune di Genova. Il clima di questa zona è dolce e mite, come ben gli si addice; infatti non tollera inverni troppo rigidi. Secondo una targa ricordo, questo albero è dedicato a tutti i bambini nati nell'anno 2000. Quindi deve essere stato piantato qui proprio in quell'anno. La grevillea però non è un albero molto longevo, o meglio non è longeva la sua ornamentale bellezza, perché dopo una decina d'anni l'ampia magnifica chioma comincia a diradarsi. Per ora è ancora veramente bella, lei e la sua compagna appena più minuta che le cresce accanto, e specialmente in questi mesi quando si arricchisce di dense infiorescenze con stili sporgenti di colore giallo arancio intenso. Ma che ne sarà di lei quando comincerà a sfrangiarsi, ad appassire? Ancora viva, ma messa da parte, come tutte le creature che vivono della propria bellezza.

Non me ne ero quasi accorta, ma è il terzo giorno di fila che mi dedico ad essenze straniere. Ma è giusto far posto a tutte le razze del mondo. Ritornerò molto presto a fiori casalinghi, con qualche passeggiata al bordo del bosco.

scritto alle 23:16 da CarlaFed ::    COMMENTI


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