Prunus cerasifera in via Terpi
Archivio mensile:Marzo 2019
Il carpino prepara il bosco
Fra via Adua e Mura degli Zingari, subito dopo il Palazzo del Principe e la stazione marittima, cresce un carpino nero.
Il carpino nero, Ostrya carpinifolia della famiglia delle Betulaceae, è un albero da boschi. Vero è che, come scrive Silvano Radivo nella scheda a lui dedicata su actaplantarum, è pianta di “ampia adattabilità, con tendenza al carattere pioniero … su suoli superficiali e primitivi.”
Tuttavia non è esattamente un albero da città. Ancora quasi spoglio in quest’inizio di stagione, sfoggia i sui eleganti amenti maschili, dorati e penduli, e foglie acerbe di un verde brillantissimo.
Ci troviamo in una zona della città di fronte al porto, non lontano dalle grandi nave da crociera che si fermano e partono quasi ogni giorno, a poco più di un chilometro dalla Lanterna. Via Adua, via Amba Alagi, i nomi di queste strade ricordano frammenti della storia passata, di un paese che non esiste più, luoghi della regione del Tigrè, nel nord dell’Etiopia, che un tempo si chiamava Abissinia, quasi al confine con l’Eritrea.
Sul parapetto di via Adua, il carpino ha distribuito i suoi germogli. Lo dicevo io che il carpino nero, anche detto carpinella, oppure carpino a frutti di luppolo per la particolare forma delle infruttescenze (vedi 11 giugno 2008), è un albero da boschi. Non è un albero immenso, ma da albero si comporta e il bosco vorrebbe ricreare qui, un bosco sulla riva del mare.
Oltre il parapetto di via Adua qualcuno ha buttato i vestiti. Una giacca, una felpa, una cintura, poggiati sul bordo cemento. Perchè quei vestiti si trovano lì? Che ne è stato del loro proprietario?
Al carpino non importa. Basta un pugno di terra umida e il seme germoglia. Di più, si innalza una piccola pianta tenace e con lei tante sorelle vicine. Così è difficile per il coltivatore convincere un albero a crescere proprio lì dove ha deciso di metterlo, tanto è facile per un seme arrangiarsi e attecchire nel luogo che trova, che ha scelto.
“ma là dove fortuna la balestra,
quivi germoglia come gran di spelta”
(Inferno XIII, 98-99)
Non credo che via Adua diventerà un viale di carpini. Le radici che si avvinghiano alla terra stabilizzano i pendii erbosi, ma distruggono i manufatti umani. La germinazione spontanea non è compatibile con gli spazi della città, per lo meno non per alberi di queste, moderate ma notevoli, dimensioni.
Ma voglio osservare come i giovani virgulti vivono la nuova stagione e sorprendere magari, all’inizio dell’estate, qualcuna delle magiche infruttescenze, pronte a sparare altri semi in giro.
La cornetta e il porto
La cornetta è la prima e l’ultima ginestrina dei boschi perchè fiorisce praticamente ininterrottamente da marzo (vedi 28 marzo 2009) a ottobre. La primavera è quasi arrivata, ma il giallo che ci circonda non è certo quello delle ginestre maggiori. Quasi ovunque sulle spalliere erbose “dondolano” i fiorellini delle cornette, fino a poco tempo fa classificata nel genere Coronilla, come C.emerus. Ora è invece posta nel genere Emerus (E.major), che significa domestico, coltivato, perchè è pianta officinale con proprietà simile alla senna, leggermente purgante.
Un po’ meno comune però incontrarla sulle banchine del porto, in un terrapieno erboso dove trovano dimora giovani pini neri (Pinus nigra). Siamo molto vicini alla lanterna, lungo una passeggiata panoramica che corre lungo le banchine, ma è un giorno qualsiasi, un giorno feriale. La lanterna è chiusa e durante la pausa incontro solo gruppi di lavoratori.
La vegetazione è necessariamente scarna, a parte l’immancabile parietaria che penso riesca a crescere veramente dappertutto (vedi post del 14 maggio 2008). Non certo spontanei, ma non meno generosi, i viburni sono fioriti e respirano con me quest’aria salmastra, oggi così leggera.
Agave all’improvviso
Vico del Ponte è una strada piccolissima che sale da via Posalunga (Borgoratti, valle Sturla), gira dietro a due isolati e scende nuovamente sulla stessa via. Mi ci arrampico per vedere da vicino la magnolia, e mi trovo davanti lei, imponente contro il cielo, l’agave, come sempre a contendere la verticalità a un lampione.
Ai suoi piedi, la rosetta di foglie ormai seccate dà ragione alla sua fama di madre che muore per dar vita al figlio. In natura, altre rosette più giovani prenderanno il suo posto nell’avvicendamento perenne dell’esistere vegetale. Non so se quest’agave da asfalto abbia rosette di scorta, però ne intravedo una dietro la grata che sormonta il muretto. Chissà se sarà capace di sopravvivere nella terra asfitica e far bene come la sua sorella maggiore.
Magnolia in via Posalunga
Ormai sono a valle, risucchiata dalla città e i suoi contorti meandri. Via Posalunga è una strada antica del quartiere di Borgoratti (il nome è quello stesso del forte, che fu edificato proprio per proteggere questi quartieri), una via angusta e affollata, dove a volte le auto e i bus vorrebbero alzarsi in volo. Sui crinali ripidi si ammassano i condomini di cemento e c’è davvero poco posto per la vita verde.
Questo scoppio di vita rosa violetto non passa inosservato. Mi appare come nuvola di bizzarro colore in cima a un muraglione, stretta fra i palazzoni, abbarbicata al pendio. Potrebbe essere l’ibrido M. denudata × M. liliflora, detta M.soulangeana in onore del botanico francese Étienne Soulange-Bodin (1774-1846).
Per le magnolie decidue (5 aprile 2009 e 3 marzo 2010), anche dette nudiflore, questo è il periodo del massimo splendore. Se nei campi e nei boschi la primavera è la stagione dei pruni, marzo saluta la città con le magnolie. Questi alberi sono ormai divenuti comuni come arredo urbano per i loro fiori, che hanno un colore intenso e deciso, rosa pallido, rosa scuro, lilla, bianco. E sono abbondanti, vistosi, raffinati. Ma effimeri. Fra pochi giorni, forse qualche settimana, saranno scomparsi lasciando il posto a un fogliame ricco, ma anonimo. Quello di un qualsiasi alberello verde.
Diversa l’esistenza della maggiore delle magnolie, Magnolia grandiflora (20 maggio 2008), che ha foglie persistenti e coriacee, così massicce da nascondere quasi i grandi fiori bianchi e carnosi che sbocciano all’inizio dell’estate.
La strada di casa
Ogni mattina, in ogni giorno dell’anno, scendo dalle colline a valle, verso il mare e verso la città. Il tragitto per il mio luogo di lavoro è piuttosto lungo e sempre lo percorro in auto, “guardando i fiori dalla groppa di un cavallo incorsa”(1). Oggi mi sono concessa un lusso, camminare lungo quella stessa strada che ogni giorno vedo correre oltre i miei occhi senza poterla osservare. Sul bordo della carreggiata, con prudenza, perchè la via è stretta, molto trafficata e pedoni e gatti rischiano parecchio (soprattutto i secondi). Un panorama mozzafiato, più o meno nitido a seconda della consistenza dell’atmosfera, mi viene incontro alla svolta, dove via alla chiesa di San Giorgio di Bavari incontra la piccola crosa via Pianata. Lontana, dentro lo spicchio di mare e cielo, piccola e irrangiungibile, la città.
Ecco la primavera, attesa e inaspettata come sempre, nelle preziose e fragili fioriture dei pruni, che sembrano imbottiture bianche e rosa sui rami spogli. Gli alberi che fioriscono in questa stagione sono tutti Prunus, il più precoce Prunus dulcis, il mandorlo, e poi Prunus domestica,Prunusa armeniacus, Prunus avium e Prunus persica(10 aprile 2009), dai piccoli fiori rosa. Ancora tanti altri se ne incontrano sulla strada, oggi più fioriti di ieri e molto meno verdi di domani.
La strada procede fra case rade e preziosa macchia mediterranea verso monte. In questi tratti meno abitati accade di fare incontri un po’ più ricercati, come spalliere di alaterno (Rhamnus alaternus, 5 ottobre 2008) un po’ sbrindellato , o una incantevole fioritura di anemone stellata (Anemone hortensis, 26 marzo 2009), qui con visitatore.
Scendo ancora, fino ad arrivare a una vera e propria gola, una piega molto stretta della valle dove si trova soltanto un vecchio condominio e un vasto parcheggio per camper. Sulla sommità del ripido crinale, si intravede il forte dei Ratti, una delle più ampie costruzioni fortificate che circondano dai colli la città di Genova. Superata la gola, scopro di non essere sola. Gli abitanti erbivori di una fascia sovrastante mi salutano rumorosamente.
Continuo a scendere, sempre più lontana da casa. Superato il bivio per San Desiderio, dominato da un’antica casa rosa che si fregia di una campana, il traffico diventa ancora più intenso. In fondo alla valle scorre il torrente Sturla, un rivo da nulla, come tutti quelli di questa zona, ma da guardare con rispetto e attenzione.
Un’altra spettacolare fioritura mi sorprende proprio sul bordo della strada. Stretto fra case e magazzini, un altro Prunus, un prugno precoce che sfoggia già germogli di verde brillante contro il maestoso, e mostruoso, viadotto dell’autostrada A12.
Ormai sono in città. Ma sul crinale di fronte si scorgono preziosi reperti di quei capolavori di ingegneria rurale che sono le fasce, terrazzamenti e scale di pietra. La manutenzione di questi muretti a secco non è roba da dilettanti e soprattutto richiede tempo e fatica. Rovinate da frane e smottamenti, le mie care colline a gradini, presto recupereranno per sempre la loro forma prigenia.
(cliccare sulle immagini per vederle ingrandite)
(1) Frase idiomatica cinese citata da Tiziano Terzani nel suo scritto “L’Orsigna, ultimo amore” e ripresa dallo stesso autore nel titolo del suo libro “Guardare i fiori da un cavallo in corsa”. Allude a chi vede senza osservare, vive senza penetrare la sostanza delle cose, una metafora che ho già ricordato nel post del 7 giugno 2009.