Mandarino cinese

Kumquat Mandarino cinese

Citrus japonica

Mi trovo per caso nel quartiere di Marassi, un affastellato di ripidi condomini che si inerpica sulla collina, e in un cortile di via Raffaele Ricca (ma chissà chi era costui), scopro un grande albero coperto di frutti molto colorati. E’ un kumquat di taglia decisamente grande e accanto a lui cresce l’immancabile ligustro (Ligustrum lucidum), leggermente oppressivo, e un timido sambuco nero (Sambucus nigra), almeno quest’ultimo specie selvatica e indigena delle nostre terre.

Kumquat, ligustro e sambuco

Citrus japonica
con Ligustrum lucidum e Sambucus nigra

Tre alberi in un piccolo giardino sul bordo di una piccola strada fra cemento e inferriate. Il kumquat viene chiamato mandarino cinese, nome curioso e necessariamente generico, dato che praticamente tutti gli agrumi, e il mandarino in particolare, vengono dalla Cina (1).  Una volta pensavo che il suo nome corretto fosse Fortunella japonica, nome curioso e divertente, ma oggi lo trovo sempre chiamato Citrus japonica, che vorrebbe dire agrume giapponese. Il sapore, è noto, non assomiglia al mandarino, ma è decisamente più acidulo e la polpa è gustosa, ma più dura. Forse i frutti di questo esemplare non saranno particolarmente appetibili e forse non era intenzione di chi l’ha collocato qui di utilizzarlo per dessert. Quest’albero mi ha stupito perché è molto grande e molto carico, assai di più di quelli che avevo visto anni fa in riviera, ma mi rallegra che sia così felice in un luogo in cui gli alberi certamente danno assai di più di quello che ricevono.

 

(1) Oggi ho soddisfatto una piccola curiosità chiarendo una volta per tutte che cosa abbiano in comune il gustoso frutto invernale, i funzionari e la loro lingua. La parola mandarino venne usata dai portoghesi per designare i funzionari dell’impero cinese che vestivano di arancione e usavano la lingua dotta ancora oggi nota come ‘cinese mandarino’. Quindi prima ancora dei kumquat e dei mandarini propriamente detti, i mandarini erano delle persone.

Esotiche da città

Schefflera heptaphylla

All’ingresso di uno dei parcheggi più centrali della città, poco sotto quella piazza Piccapietra dove crescono le lantane, una pianta si fa notare, ampia e rigogliosa. Le foglie si reggono su lunghi piccioli, e sono composte da una raggiera di foglioline, cinque, o meglio sette, ma anche otto o più, lucide e color verde brillante, ciascuna a sua volta dotata di un corto picciolo. Mi ricorda qualche cosa, certamente una pianta da appartamento, ma il nome non lo conosco. Indago. E’ una pianta subtropicale, e viene dal Sud Est asiatico, importata prevalentemente in qualità di pianta da appartamento, resistente e facile da coltivare in casa. Il suo nome è Schefflera, in onore del botanico Johann Peter Ernst von Scheffler, nativo di Danzica e quindi un po’ tedesco e un po’ polacco. La specie dovrebbe essere S.heptaphylla, ovvero con foglie composte da sette foglioline (e se sono di più tanto meglio) e la sua famiglia è quella delle Araliaceae, la famiglia delle calle e dei gigari.

Schefflera heptaphylla

Dopo aver fatto tanta strada, la rigogliosa Schefflera non ha certo fatto fatica ad uscire dagli appartamenti e ad adattarsi all’angusto terriccio di un’aiuola di cemento sul bordo della strada. Nei suoi luoghi di origine (Indocina, Cina sudorientale, Taiwan e isole giapponesi Ryukyu) è utilizzata come pianta medicinale e sforna grappoli di bacche arancioni, che quest’esemplare di città forse non ci mostrerà mai. Pazienza. Dobbiamo accontentarci del suo verde intenso, della magia delle sue foglie che resistono all’inverno, ormai più umido che freddo, ma sempre inverno e avaro di sole. E magari stupirci di un’altra intrusa, esotica e straniera, che conquista il suo spazio nelle microscopiche e asfittiche aiuole di città.

Boschi suburbani

Bosco suburbanoSono sempre alla ricerca di qualche brandello di bosco non troppo lontano da casa e poiché abito veramente in periferia, qualcuno la definirebbe perfino ‘campagna’, nei boschi mi immergo non appena possibile. Ma lungo stradine secondarie e i tratturi che si allontanano, ma non troppo, dall’attività umana, a volte faccio incontri singolari. Mi chiedo quale messaggi comunichi un frigorifero abbandonato in mezzo al sentiero, all’ombra di carpini e castagni. Pigrizia? Sciatteria? Disprezzo per la natura? Sono stupita, è certamente più faticoso portarlo fino a qui che a uno dei civici punti di ritiro per i rifiuti ingombranti. Sembra invece che, costi quello che costi, l’uomo debba lasciare sempre la traccia, sporca, pesante, del suo passaggio.

Bosco suburbano

Ruscus aculeatus

La natura resiste e contrattacca con la sua fiera bellezza. Anche nel cuore dell’inverno contrappone le sue nitide forme pulite allo scempio della spazzatura. Il pungitopo (Ruscus aculeatus) ha punteggiato il bosco spoglio di lucide perle rosse e non si lascia certamente intimidire da questo sordido resto della cosiddetta civiltà umana. Perché se è indubbio che le latrine rappresentino un importante conquista per l’organizzazione sociale, abbandonare la ceramica usata nel magico sottobosco semi dormiente di gennaio non è propriamente un gesto di grande eleganza. Che bel contrasto quelle bacche scarlatte con l’insipido candore di un vecchio manufatto umano.

Il carrubo di via Posalunga

Carrubo - Ceratonia siliqua

Ceratonia siliqua

Le città di mare, e soprattutto le città mediterranee, hanno il privilegio di ospitare piante che le altre città non possono permettersi. Allora succede che a Genova sul margine di una strada urbana si incontri uno strano albero, con la chioma rotonda, verde scuro e le foglie lucide, che, forse, meriterebbe un po’ più di attenzione. Il carrubo non è un albero raro, ma neppure banale. Qui all’inizio di via Posalunga, in valle Sturla, nel centro est della città, cresce sopra al marciapiede, in prossimità di un semaforo che è molto improbabile trovare verde. Così gli automobilisti sono costretti a fermarsi proprio di fronte al carrubo. Ma c’è qualcuno che lo guarda? Direi proprio di no, sono tutti troppo occupati a fissare nervosamente quella luce rossa che sta inesorabilmente rallentando i loro programmi. Altre persone si affollano alle fermate dell’autobus, sotto il carrubo e di fronte al carrubo, sono stanche o irrequiete, se ne stanno in silenzio, guardano il cellulare oppure chiacchierano animatamente. No, non c’è proprio nessuno che mostra alcun interesse per quell’albero.

CaruboCeratonia siliqua

Ceratonia siliqua – foglie e baccelli

Il carrubo, Ceratonia siliqua, famiglia Fabaceae, è un sempreverde originario della fascia più calda e arida della costa sud orientale del Mediterraneo. Come e quando esattamente sia arrivato nelle regioni italiane non si sa con precisione e per questo viene classificato come archeofita naturalizzata. Il carrubo ha piccoli fiori insignificanti, ma i suoi frutti, legumi, sono invece  assai celebri, i bruni baccelli delle carrube. I semi vengono utilizzati come mangime per il bestiame, ma sono commestibili anche per l’uomo e sono protagonisti di molte leggende. Vengono impiegati per preparare succhi zuccherini con proprietà curative per le affezioni dello stomaco e dell’intestino. I semi essiccati hanno un peso uniforme e questa caratteristica ha suggerito in passato di utilizzarli come unità di misura di peso (karato) per le pietre e i metalli preziosi.

Ligustrum lucidum

L’ingresso del Centro Civico e Ligustrum lucidum

 

Il carrubo di via Posalunga si trova vicino al numero 12, sede del Centro Civico comunale Valle Sturla, uno “spazio di aggregazione per attività ricreative, culturali e del tempo libero”. Cresce insieme a un gruppetto di svariati alberi, lecci, pini, olivi, ligustri, che formano una piccola macchia di essenze mediterranee. E’ molto probabile quindi che sia stato scelto insieme agli altri per abbellire questo terrazzamento che è esagerato chiamare giardino. Una breve scaletta sale verso via Copernico ed è tutta coperta dei bruni baccelli che contengono i preziosi semi. Naturalmente un albero urbano non è il più adatto a fornire frutti commestibili, ma viene comunque voglia di raccoglierli, magari soltanto per tenerli in mano, per osservarli un po’.

Ailanthus altissima

Ailanthus altissima
(in alto si intravede il carrubo)

 

Scendendo oltre l’incrocio verso la via Timavo, dentro un piccolo spiazzo che ospita un parcheggio privato, sta crescendo però un vero e proprio bosco. Un bosco di alberi tutti uguali, allampanati e verde pallido, che hanno ancora l’aspetto di giovani arbusti, ma avanzano conquistando spazio e luce. Sono gli ailanti e niente è capace di fermarli anche perché sono in grado di produrre sostanze, dette allelopatiche, che frenano la crescita e lo sviluppo di piante concorrenti vicine. Così l’ailanto ha un successo spietato nel formare popolamenti puri. Certamente già sono intervenute le motoseghe e le ruspe per difendere quella piazzetta per automobili e perfino sono state posizionate delle ringhiere, come se quelle misere inferriate fossero di qualche utilità per fermare la rampante avanzata dei polloni e dei germogli.
Proprio al di sopra della macchia degli ailanti, fa capolino quel piccolo gruppetto di alberi autoctoni, il carrubo, e i suoi vicini, quasi un baluardo di strenua resistenza contro l’invasione dello straniero.

Datura vagabonda

Datura wrightii

Datura wrightii

La Datura wrightii , pianta immacolata e suggestiva, faceva capolino ogni anno in un angolo del mio giardino. Nata in vaso da semi recuperati in qualche orto botanico, ogni anno rispuntava immancabilmente con abbondanti fioriture. Perenne, forse, o più probabilmente annuale, negli ultimi tempi cresceva al margine di un’aiuola sopra la strada, con le grandi campane bianche che penzolavano coraggiosamente dal muraglione. Per molto tempo è tornata, ma poi è sparita, e da alcuni anni non si era più fatta viva.  Gli alberi, un grosso ginepro e due forsizie, erano cresciuti ancora e l’angolo che si era scelto forse era diventato troppo angusto ed oscuro. Perduta, pensavo, e progettavo di riseminarla. Finché ieri, quasi per caso, la scopro sul bordo della strada, ai margini di un piccolo terrapieno di cemento dove alcuni vicini parcheggiano le auto. Fierissima e in piena fioritura, cresce alla base di un palo di sostegno, incurante della vicinanza invadente delle invasive più comuni, la morella (Solanum chenopodioides) e l’inula (Dittrichia viscosa).

Morella & Inula

Solanum chenopodioides
Dittrichia viscosa

Datura wrightii, stramonio di Wright, viene dall’America e certamente è stata introdotta come pianta ornamentale. In inglese le piante del genere Datura vengono dette devil’s trumpets, tromba del diavolo, mentre il più angelico nome di angel’s trumpet (tromba dell’angelo) è riservato, chissà perché, a una pianta molto simile, la Brugmansia, che con Datura ha veramente molto in comune, compresa la forma dei fiori e la tossicità, ma ha fusti legnosi e aspetto arbustivo.

Questa pianta mi ha mostrato in modo semplice il significato della definizione ‘alloctona naturalizzata perché sfuggita alla coltivazione’ e questa volta devo ammettere che ho contribuito anch’io a diffondere una specie estranea alla nostra flora. Ora so che Datura wrightii è una pianta annuale e quindi ricrescerà, se ne avrà voglia, dai semi sparsi dai rigidi frutti, capsule con aculei sporgenti, vere spine quando si seccano. E magari, chissà, ne crescerà un gruppetto.

Datura wrightii

Datura wrightii

Il nome Datura deriva dal sanscrito e  significa appunto ‘mela spinosa’, come spiegato da Linneo (vedi questa pagina), con riferimento alla curiosa forma dei frutti  e come indica uno dei nomignoli inglesi di questa pianta, thornapple. La specie D. wrightii, dedicata al famoso esploratore botanico americano  Charles Wright, si distingue perché le antere sono visivamente più corte dello stilo (vedi foto ravvicinata), mentre dovrebbero essere della stessa lunghezza nella specie simile D.innoxia.

Il bosco di Parco Ruspoli

Eucalyptus globulus parco Ruspoli

Eucalyptus globulus

Anche se il parco Ruspoli in realtà non esiste, gli alberi ci sono. Anzi c’è un bosco. Lecci e allori, soprattutto, ma lungo via Cruciani Alibrandi crescono anche alcune massicce piante di eucalipto e gruppi di olmo comune. Come è noto, l’eucalipto è un’essenza australiana che fu importata all’inizio del ventesimo secolo nelle regioni costiere della penisola per la  capacità di assorbire in maniera cospicua acqua dal terreno e quindi probabilmente contribuire ad asciugare le paludi infestate dalla zanzara della malaria. Belli e maestosi, questi alberi si sono naturalizzati, ma conservano un’aura di esoticità, nobili e goffi insieme, come tutti i diversi.
Più snelli, anche se di dimensioni rispettabili, gli olmi sono alberi indigeni, campestri. L’aggettivo minor che identifica la specie più comune non si riferisce alle proporzioni della pianta, ma piuttosto alle dimensioni delle foglie rispetto a quelle di altri olmi. Incontrare l’olmo, in questa giungla disordinata e sudicia, mi rincuora un pochino, come quando si distingue un volto noto in una folla anonima e vagamente ostile.

Ulmus minor

Ulmus minor

Naturalmente poi c’è il sottobosco, arbusti minori, erbacce, sterpaglie, e le rampicanti che si avvinghiano agli alberi coraggiosi. Poco distante dall’invasione dell’ipomea di cui ho già parlato,  ecco un’altra straniera che sta velocemente colonizzando ogni anfratto dove trovi appiglio per abbarbicarsi. E’ Araujia sericifera, una sempreverde originaria del Sud America che si è diffusa dai giardini all’ambiente, prima nelle regioni del nostro Sud, ma ormai quasi dappertutto per la penisola e si incontra molto frequentemente inselvatichita. Velenosa, ricca di lattice bianco, a primavera sfoggia morbidi fiori rosati, che la rendono attraente e per questo può essere scelta per ricoprire i muri. Salvo poi immancabilmente pentirsene quando la si ritrovi dappertutto.

Pianta della seta - Araujia sericifera

Araujia sericifera

Qui si distingue per le foglie, verdissime e tenaci, e, a fioritura ormai finita, i suoi tralci sostengono curiosi frutti in forma di follicoli globosi, che contengono numerosi semi avvolti nella bambagia.
Da noi è conosciuta come pianta della seta, proprio a causa del piumaggio dei semi, che gli ha meritato anche un altro nome comune, quello di falso kapok. In inglese ha nomi meno poetici, come ‘moth plant’ o pianta delle falene, o addirittura ‘moth catcher plant’, pianta attira falene. Si suppone infatti che questa pianta venga impollinata dalle falene e proprio l’esistenza di differenti impollinatori, attivi in diverse ore del giorno, potrebbe essere una spiegazione del successo riproduttivo di questa specie, ormai conosciuta in tutto il mondo come liana tropicale invasiva. Viene anche detta ‘cruel vine’, liana crudele, ma in questo caso probabilmente a causa della sua tossicità, con l’aggravante delle allergie che può provocare.
Qui se ne sta tranquilla e in disparte, ma certamente sa difendere i suoi spazi.

Municipio XI

Acero - Municipio XI

Acer campestre

Continuo il mio vagabondaggio nella città trasandata, zona Portuense, Municipio XI, fra sterpi e buche, facendo attenzione a dove poggio le scarpe, alla ricerca di tracce di storia e natura. Ce ne sono dappertutto, solo molto ben camuffate, sepolte fra gli avanzi di un’umanità invadente e disordinata.
Da piazza Filippo Andrea Doria Pamphili, principe antifascista e sindaco di Roma dopo la liberazione dal 1944 al 1946, imbocco via Enrico Cruciani Alibrandi, che fu anch’egli sindaco di Roma, ma molti anni prima. Siamo  nella prima periferia, fra il quartiere della Magliana e i grandi ospedali Forlanini e Spallanzani, chi ha buone gambe in un’oretta arriva a Trastetevere.

Graminacea - Municipio XI

Graminacea da strada

Le aiuole, ritagli di terra inaridita strappati all’asfissia dell’asfalto, ospitano magri aceri campestri, che spesso cedono spazio a erbe dai lunghi steli e fiori con corolle variopinte. Le sottili spighe cariche di semi immaturi di una graminacea, forse un tipo di miglio selvatico, brillano al sole più dei cerchioni delle auto, e quasi intralciano il passo. In altre aiuole, ormai vuote di alberi, le belle di notte (Mirabilis jalapa) fanno immaginare i colori che sfoggeranno nel pomeriggio.

Mirabilis jalapa

Mirabilis jalapa

D’improvviso, al di là di un alto recinto che delimita un grande prato incolto, oltre i ciuffi allampanati delle canne (Arundo donax),  mi sorprende una cascata azzurra di ipomea (Ipomoea indica), neofita naturalizzata, spesso invasiva. L’ipomea qui ha colonizzato tutto e sovrasta le erbe giallastre dell’abbandono, supera la recinzione, adorna pali stradali e auto.

Ipomea

Ipomoea indica
in via Enrico Cruciani Alibrandi

Tutti questi spazi verdi abbandonati, a destra e sinistra di via Cruciani Alibrandi, raccontano una storia antica e recente di degrado e disinteresse. Questa zona era compresa in un progetto di riqualificazione del verde urbano, con area giochi e posti per le auto, denominato Parco Ruspoli, perseguito con grande impegno, ma oggi apparentemente disatteso e dimenticato. Il fallimento è legato alla pressione degli speculatori che da sempre governano ogni metro quadro della città. Nel frattempo qualcuno gestisce un parcheggio abusivo, mentre alcuni proprietari hanno deciso di acquistare direttamente le aree per realizzare in autonomia i parcheggi privati di cui avevano necessità.

via Alibrandi

Ipomea indica

 

Io seguo la recinzione sulla destra di via Alibrandi verso via Anselmo Ciappi.

via Anselmo Ciappi

via Anselmo Ciappi

Oltre la rete, qui cresce un bosco di allori e ai suoi piedi spuntano le snelle foglie di iris, chissà se a primavera qualcuno fiorirà. Su un vecchio legno di sostegno, un solerte artigiano ‘italiano’ promuove la sua attività. Più avanti, verso via dei Grottoni e il quartiere della Magliana, è ancora vivo e sostenuto dalla mobilitazione pubblica il progetto Parco della Gioia , un parco urbano inclusivo a energia rinnovabile, con possibile sviluppo storico-archeologico. Le idee e le energie non mancano, ma gli ostacoli sono sempre gli stessi.

Ailanto - Municipio XI

Ailanthus altissima

Ora torno sui miei passi, di nuovo su via Alibrandi, alla ricerca di un passaggio che dovrebbe portarmi a un supermercato di quartiere, e da lì alla parallela via Francesco Pallavicini (anche lui, per la storia, fu sindaco di Roma).

Raggiungo così una vasta costruzione di cemento, dove il verde sembra scomparso, o soffocato, da scale, terrapieni e parcheggi, tutto livido e incolore, salvo i segni cupamente variopinti di qualche writer di periferia. E salvo l’immancabile boschetto di ailanti, quelli se la cavano dappertutto.

Eppure qualche velata intenzione di trovare un posto per le piante anche in questa squallida struttura ci deve essere stata, dato che qua e là spuntano degli alloggiamenti rettangolari di una certa profondità che potrebbero assomigliare a delle aiuole.
Là dentro, sulla  terra polverosa e disfatta, al principio distinguo solo i ciuffi di amaranto verde, fra sterpi secchi di dubbia identificazione. Ma c’è dell’altro, ortiche, parietaria, geranio, grespino, e un’intera distesa verdissima di un tipo di caglio, che identifico con Galium verrucosum. Sorrido un poco pensando alla primavera, quando il geranio mostrerà spavaldo le sue minuscole corolle rosa e il caglio aprirà una miriade di stelline bianche in mezzo alla spazzatura.

Amaranto - Municipio XI

Amaranthus deflexus

Galium - Municipio XI

Galium verrucosum

Urtica sp,  Parietaria judaica, Geranium rotundifoliumSonchus oleraceus

Roma trasandata

Ficus benjamina

Ligustrum lucidum variegato

Roma è la città più bella del mondo.  La sua storia millenaria si riflette limpida sul fiume dorato, l’aria delle sue piccole vie del centro è sempre leggera in ogni stagione, la magnificenza dei suoi giardini e dei suoi panorami sono esperienze introvabili e inimitabili.

Ma Roma è una città trasandata e vive la sua sciatteria come fosse il maleficio di qualche strega o di qualche spirito maligno. Appena fuori, e neppure tanto, dal cerchio magico del centro storico, le sue ampie strade si accartocciano in voragini e si ricoprono di sporcizia.

Acer negundo

Acer negundo

 

E’ una metropoli così disseminata di ‘terzo paesaggio’ che sembra quasi che Gilles Clement debba essersi ispirato a Roma per definirlo. Nobili giardini abbandonati si affiancano a sterminati terreni incolti, tracciati disertati da auto e treni sono colonizzati da ogni genere di sterpaglia, intercapedini barcollanti accolgono innumerevoli specie vegetali autoctone e non e sostengono fatiscenti brandelli di cemento ricoperti di frasche e rovo. Quasi tutte le strade di Roma, dalla più aristocratica alla più miserabile, sono viali e si adornano di alberi rigogliosi, ai cui piedi in risicate aiuolette crescono erbacce lussureggianti e si ammucchiano cartacce e rifiuti.
Ecco un viale di Ligustrum lucidum variegato, con lucide foglie striate di bianco crema, mentre nella via accanto cresce Acer negundo, l’acero americano che ha foglie composte, con tre o più foglioline irregolarmente dentellate (vedi 9 maggio 2009) e fioriture dall’aspetto esotico.

Roma trasandata

Mercatino ecosolidale di Sant’Egidio
via del Porto Fluviale, 2

Le specie si accavallano, le piante amano vivere tutte insieme, strette le une alle altre, contendendosi terra e sole. Un nespolo del Giappone (Rhaphiolepis bibas) sovrasta un alloro (Laurus nobilis) , che cresce sopra la cycas (Cycas revoluta), quella che tutti chiamano palma nana, inciampando in un errore botanico, ma anche storico, perchè la cycas delle palme non ha nulla ed è molto molto più antica di loro. Ci troviamo nel cortile del mercatino di Sant’Egidio, in via del Porto Fluviale, e alla base di queste piante spunta un cespuglio dai lunghi rami con foglie rotonde, e non è un arbusto qualsiasi, ma un getto di albero di Giuda (Cercis siliquastrum) che fra qualche anno, forse, chissà, potrebbe donarci una delle sue strabilianti fioriture rosa.

L’oleandro (Nerium oleander) ci prova, ovunque, a fiorire. Anche sull’insegna arrugginita di un vecchio cinema abbandonato. Una volta c’erano molti cinema di quartiere, affollati, economici. Ora è rimasto un grigio edificio di cemento appena mimetizzato sul retro dall’immancabile Rhaphiolepis bibas  a fianco di un Ligustrum lucidum a foglia verde.

Roma trasandata Nespolo e ligustro

Retro del cinema
Rhaphiolepis bibas e
Ligustrum lucidum

Oleandro - Roma trasandata

Insegna del cinema
Nerium oleander

Bambini di strada

 

Ficus carica

Ficus carica
Porto antico

I bambini di strada sono ragazzi e ragazze, poveri, giovanissimi, soli, che non hanno una vera casa né si accompagnano per protezione e sorveglianza a una figura adulta di fiducia. Bambini per i quali la strada, un’abitazione abbandonata, un terreno incolto, è divenuta il luogo dove vivere, ogni giorno e ogni notte, senza una vera famiglia e sufficienti a se stessi.

Così gli alberi delle città sono i bambini di strada del bosco, dice  Peter Wohlleben(1), che degli alberi e dei boschi è grande amante e conoscitore. La definizione è veramente calzante perché molti alberi crescono proprio direttamente sulla strada. Come il largo fico chissà come finito davanti all’ingresso del porto antico di Genova, sotto la sopraelevata, che accoglie sempre una folla chiassosa sotto le sue fronde. Senza casa, senza famiglia, senza terra, ma grande dispensatore di riparo e frescura.

Pino di Brignole

Pino in via Cadorna
Pinus halepensis (forse)

Un bambino davvero cresciuto troppo è l’esemplare solitario di pino che si eleva oltre tutti gli altri, banali pini domestici (Pinus pinea) intorno a lui, e si fa notare per il suo tronco doppio sul margine dei giardini di viale Luigi Cadorna a Genova Brignole. Lo credevo un pino d’Aleppo, per il portamento slanciato e la chioma vaporosa, ma quasi certamente mi sbagliavo. Solo è solo, diverso dai suoi vicini, diverso dalle torri di acciaio e cemento che lo sovrastano.

Gli alberi di città, come i bambini di strada, sono diventati adulti senza aver avuto il tempo e l’energia per crescere veramente, senza essere accolti e coccolati dal pane fertile della terra.  Anche se crescono in altezza, faticosamente, costretti, potati, capitozzati, rimangono sempre immaturi, senza la certezza del bosco.  Stretti nel cemento, contorcono le radici fra cavi e cavità sotterranee, le allungano in spazi freddi e sterili, si piegano, si adattano, sopravvivono.

Aesculus hippocastanum

Aesculus hippocastanum
via Bobbio

Gli abitanti della città guardano gli alberi con sentimenti contrastanti. Si lamentano delle radici che li fanno inciampare, delle foglie che ingombrano il marciapiede, dei pollini che li fanno starnutire, dei rami pericolanti che potrebbero colpirli; ma sanno che non potrebbero fare a meno della loro ombra, del loro riparo.
Li vedono mutare con le stagioni, come dice il poeta.
A primavera fioriscono con disperata vitalità, ma spesso cambiano colore prematuramente, alla fine della torrida estate urbana.

Tiglio di Largo Lanfranco

Tiglio – agosto 2023
Tilia x europaea

Il più grande, il più caro dei miei bambini, il tiglio di largo Lanfranco, proprio di fronte al palazzo Doria Spinola della prefettura, ha già molte foglie ingiallite a fine agosto e un poco mi preoccupa. Tuttavia se persino gli alberi dei boschi soffrono in questi mesi bollenti, come può proteggersi dalla calura questo ragazzo abbandonato che solo da molti metri di distanza scorge qualche suo simile nella piazza vicina?  Come sarebbe più felice se potesse scambiare messaggi sotterranei con qualcuno, comunicare con le sue radichette e spingerle avanti fin dove hanno voglia di arrivare, senza scontrarsi con i tubi di ghisa e le fondamenta bituminose di qualche artefatto umano.

(1) Peter Wohlleben – La vita segreta degli alberi – Gruppo Editoriale Macro – 2016

Lattughe tutt’intorno

Lattuga - Lactuca serriola

Lactuca serriola

Fusti sottili, piccoli fiori gialli, foglie insignificanti. Certamente queste piante poco assomigliano alle lattughe che si acquistano sui banchi del mercato e si mangiano condite con olio e aceto. Si incontrano un po’ dappertutto, negli incolti urbani e ai bordi delle strade. Sarebbe proprio dalla specie Lactuca serriola che addirittura gli antichi egizi avrebbero ottenuto, per addomesticamento e selezione successiva, la comune insalata (Lactuca sativa). Chi ha seminato la lattuga nel proprio orto sa bene che quando la pianta accenna a preparare lo stelo fogliare, diventa praticamente immangiabile. Le foglie virano dal verde tenero a un verde bluastro e da dolci e croccanti che erano diventano coriacee e amare. Sarebbe alquanto incauto quindi, e anche sciocco, assaggiare le sottili fogliette di queste pianticelle sparute, anche soltanto per tentare di indovinarvi un sapore di lattuga.

Lattughe : Lactuca saligna

Lactuca saligna

Il nome lattuga, ovvero Lactuca, deriva da lattice, il liquido bianco e appiccicoso presente nel fusto, un lattice che contiene anche componenti interessanti dal punto di vista medicinale, anche se in alcune specie i componenti velenosi prevalgono.

Anche la cicoria con i suoi sgargianti fiori azzurri, ugualmente appartenente  alla famiglia della asteracee, è presente talvolta come infestante. Assaggiamo? La foglia di cicoria è abbastanza appetibile anche quando la pianta comincia a fiorire, se proprio non c’è nulla di meglio. Rinuncerei comunque a qualsiasi erba che cresca in ambiente molto urbanizzato e preferisco osservarle come curiosità.
Le lattughe urbane sono di molte specie differenti e molto frequente è Lactuga saligna, che si riconosce anche dal color verde glauco delle foglie, la loro nervatura centrale molto evidente, e le due orecchiette acuminate che abbracciano il fusto.