Manacà-da-serra e altre bellezze tropicali

Handroanthus impetiginosus

Fiori di Ipê-rosa
Handroanthus impetiginosus
parco Ibirapuera, San Paolo (Brasile)

Eccomi qua, un’europea qualsiasi, con la mia inguaribile curiosità per tutta la vita verde del pianeta, arrivo a San Paolo, immensa città del Sud America, situata esattamente sul tropico del Capricorno (circa 23 gradi a sud dell’equatore) e vengo presa da un senso di smarrimento e confusione. Perchè nessuna, o quasi, delle piante che mi circondano e che addobbano le strade di questa metropoli, ha una aspetto conosciuto. Non cercate aceri o tigli, nè platani, querce o lecci, nè frassini e tantomeno pini domestici e cedri. Niente, assolutamente niente di tutto ciò.  Ci sono alberi che arrivano al quarto piano dei palazzi e cespugli con sgargianti fioriture, ma, a parte radi eucalipti, che vengono dall’Australia e sono sempre fuori posto, ibischi e bouganvillee, che invece qui sono a casa loro, non so dare il nome a nessuna delle piante che vedo. Mi trovo forse su un altro pianeta? Per colmare la mia abissale ignoranza, il cammino è lungo.

Per fortuna, nel bel mezzo dell’inverno australe (che ai tropici sa di calda primavera), individuo una vecchia conoscenza, l’ipê rosa, Handroanthus impetiginosus o Tabebuia impetiginosa credo, famiglia delle Bignoniaceae, quindi non poi così astruso. All’apparenza è un albero gracile, alto e allampanato, con fogliame sparuto, ma in questa stagione traboccante di fiori lilla chiaro a mazzetti. Albero dalle molte forme e dai molti nomi, l’ipê è anche genere dalle molte risorse, dal legno, duro e grasso, agli estratti medicinali della sua corteccia. La specie soprannominata pau d’arco o lapacho (Tabebuia avellanedae) contiene un principio attivo, detto proprio lapacholo, utilizzato dagli indios per curare numerosi e svariati disturbi. La ricerca moderna ha riconosciuto a questa sostanza anche proprietà antitumorali.
Per le strade di San Paolo se ne incontrano diverse specie, come Handroanthus heptaphyllus o Tabebuia heptaphylla, che ha fioritura simile, anche se più distribuita, mentre il famosissimo ipè giallo (ipê-amarelo, Handroanthus chrysotrichus) in luglio non è ancora fiorito. In questa foto si vede un Ipê-amarelo a Belo Horizonte nell’agosto del 1979 (e una Carla giovane come l’acqua ;-)).

Tibouchin granulosa

Quaresmeira (Tibouchin granulosa) sull’avenida Paulista al tramonto

Accanto agli ipê, ecco un genere di piante tropicali altrettanto affascinanti, tibuchina o meglio Tibouchina, famiglia Melastomataceae, che oltre alla bellezza dei fiori, sfoggia anche un fogliame ricercato e lussureggiante. In realtà, l’avevo già incontrata a San Diego, sulla costa californiana, dove le eccezionali caratteristiche del clima permettono a piante assai diverse di ambientarsi con successo. Nella foto del vecchio post si distinguono molto bene le particolarità delle foglie, spesse e carnose con nervature parallele.

Tibouchina mutabilis

Manacà-da-serra
Tibouchina mutabilis

Per le strade di San Paolo, le tibucine più comuni sono due: la quaresmeira (Tibouchina granulosa), un albero che arriva facilamente a dieci metri di altezza e deve il suo nome popolare al colore, viola, e al periodo della fioritura, che peraltro si protrae da marzo ad agosto, e la manacà-da-serra (Tibouchina mutabilis), un albero più piccolo che porta grandi fiori rosa e bianchi sullo stesso esemplare.

Tibouchina mutabilis

Manacà-da-serra
Tibouchina mutabilis

Entrambe sono piante della mata atlântica, la foresta atlantica, un ambiente naturale ricchissimo, messo a dura prova dalla penetrazione umana e dallo sfruttamento intensivo dei suoli tanto da essere inserito negli ambienti naturali in criticità di conservazione.  Ci sono ampie zone della costa e dell’interno in cui la mata ha dovuto soccombere alle piantagioni di caffè e all’urbanizzazione; ma sulle ripide pendici della serra di Mantiqueira, proprio alle spalle di San Paolo, la mata è ancora vincente, lussureggiante e impenetrabile. E in altre zone è risorta, perchè le attività umane sono discontinue e inaffidabili, e la natura lasciata a se stessa sa cosa fare per riprendersi il suo territorio.
Ecco, qualcuno dei misteriosi abitanti di San Paolo mi è diventato un po’ più familiare. Ma è davvero una goccia nel mare della sterminata selva tropicale.

Ricordo che cliccando sulle immagini, queste si aprono in formato 800×600 px in un’altra pagina

Alberi a Washington

Washington - The white house

Washington  –  The white house

La grande città di Washington, bella, per chi ama le città. I viali, ampi, le aiuole, comode, gli alberi, maestosi. Coloratissimi d’autunno, si può provare a indovinarli , da lontano; in giallo sono i ginkgo, in rosso vivo le querce, e gli aceri.

Il ginkgo (Ginkgo biloba)è un albero antichissimo, dalla storia leggendaria e affascinante. Spontaneo in certe regioni dell’Estremo Oriente, ove si racconta sia stato salvato dall’estinzione dagli instancabili monaci buddisti, è oggi largamente usato in Occidente a scopo ornamentale.Si classifica come conifera,  o meglio gimnosperma, letteralmente ‘dal seme nudo’, perché i suoi semi non sono racchiusi nell’ovario.

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba

E’ l’unico sopravvissuto della famiglia delle Ginkgoaceae che, come testimoniano i resti fossili, erano molto diffuse 150-200 milioni di anni fa ed appartenevano a un ordine ancora più antico delle conifere. Per questo a volte  viene chiamato ‘fossile vivente’. Ha foglie decidue, disposte a grappolo, di forma molto caratteristica, a volte profondamente incise (da cui l’aggettivo biloba), che prima di arrendersi all’inverno si colorano di giallo canarino. Nella bella stagione, cresce delle bacche voluminose che ricordano grosse prugne dal lungo picciolo, anche se non sono propriamente frutti (assenti nelle gimnosperme), ma piuttosto involucri carnosi che ricoprono i semi. Emanano un odore abbastanza sgradevole, ma l’interno, semi compresi, è commestibile e ricco di sostanze di interesse farmacologico, i ginkgolidi.

Acer rubrum

Acer rubrum

Gli aceri americani sono famosi per i colori, e per lo sciroppo, che si ricava dalla linfa primaverile. La pianta che ne produce di più è l’acero del Canadà (Acer saccharum), la cui foglia appare appunto sulla bandiera canadese. Ma lo zucchero si ricava anche dalla linfa dell’acero rosso (Acer rubrum), che si incontra sovente per le strade di Washington, insieme all’Acer pensylvanicum, acero della Pensilvania. L’acero rosso si chiama così non tanto a causa del colore del fogliame autunnale, ma perchè dello stesso colore rosso sono i fiori, e le samare, le ali dei semi.

Acer pensylvanicum

Acer pensylvanicum

L’acero della Pensilvania viene anche detto acero striato perché la sua corteccia è cosparsa di sottili nervature, come la pelle di un serpente. Questa caratteristica che può aiutare ad identificarlo non si vede però in questa fotografia. Si vedono solo le foglie, rosso arancio, che spiccano con stridente contrasto contro la gelida vetrata azzurrata di un grattacielo.

Sono belli gli alberi di Washington, e sembrano quasi felici. Soprattutto nei piccoli giardini, crescono vasti e liberi. Non ho visto malattie evidenti, anche se certo la sofferenza esiste anche per loro. La città non è proprio un luogo a misura d’albero, anche se l’albero può adattarvisi, se non è violentato da potature troppo violente che lo umiliano e lo indeboliscono.

Per i vecchi post degli alberi di Washington (che ho riproposto in parte oggi) vedi
26 e 27 novembre 2008
17 novembre 2009