Tutti gli spinaci del mondo

Spinaci australi

Tetragonia tetragonoides
Spinacio australe

Non è certo stagione di spinaci, e la verdissima Spinacia oleracea, erba invernale per eccellenza della famiglia delle Amaranthaceae, non gradirebbe per niente il caldo umido di questi giorni. Già da tempo ho tolte le piante, raccolti i semi, e aspetto la stagione fresca per piantarli di nuovo. Tuttavia a guardar bene nell’orto continuano a prosperare varie piante che di spinacio hanno rubato il nome.
Tetragonia è una pianta della famiglia delle Aizoaceae, che include molte piante succulente endemiche di zone aride o semi aride dell’emisfero australe. Quella che cresce rigogliosa in un’ aiuola dovrebbe essere Tetragonia tetragoniodes, pianta perenne e non annuale come lo spinacio propriamente detto, meglio nota come spinacio neozelandese o spinacio di Cook, perché è proprio grazie al grande navigatore se questo ortaggio singolare è approdato alle nostre latitudini. Dico ‘dovrebbe essere’ perché il dubbio rimane.

Tetragonia (Spinaci australi)

Tetragonia tetragonoides
Spinacio australe (fiori)

L’ho conosciuto grazie a una deliziosa signora romena, Mariana, infaticabile esperta ed entusiasta appassionata di tutte le piante, che mi ha regalato alcuni semi e me l’ha presentata come ‘spinacio del Sud Africa’ che sua figlia le aveva portato proprio da quel paese. Il che non mi ha affatto sorpreso perché la flora sudafricana è di una ricchezza particolare e sono molte le piante introdotte nei nostri giardini da quella lontana regione dall’altra parte del mondo. Plumbago e Tecomaria sono solo due esempi di piante ornamentali il cui aggettivo specifico capensis non lascia molti dubbi sull’origine di questi fiori.
Ho piantato i semi di Mariana e l’anno scorso sono nate due piante molto rigogliose che hanno prodotto anche microscopici fiorellini gialli all’ascella delle foglie e quindi numerosi altri semi. Soltanto una pianta però è sopravvissuta fino ad adesso, ed è cresciuta moltissimo allungandosi in numerose ramificazioni, nonostante ne abbia fatto ampio uso per le torte di verdure. Dai nuovi semi ho prodotto altre piante, alcune regalate, altre messe a dimora vicino alla pianta madre.  Esistono almeno due specie di Tetragonia di origine sudafricana, Tetragonia decumbens, che cresce prevalentemente sulla spiaggia e ha foglie gustose, ma minute, e Tetragonia echinata, di cui non ho molte informazioni, ma non mi pare assomigli molto al mio spinacio. Invece le mie piante hanno indiscutibilmente l’aspetto di Tetragonia tetragonoides, lo spinacio di Cook.

Basella alba varietà rubra

Basella alba varietà rubra

Così, benché la mia amica insista che i semi provengono dal Sud Africa, continuo a pensare che australi sono, ma più oceanici che africani. Anche se con l’estate la produzione di foglie ha rallentato un pochino, questa pianta fornisce un’alternativa molto appetibile allo spinacio nostrano, disponibile in tutte le stagioni. Non teme molto la siccità e ha foglie croccanti e gustose.

Ancora da sperimentare è Basella alba varietà rubra, spinacio rampicante, di cui mi hanno regalato una pianta. La famiglia è quella delle Basellaceae, che prende il nome proprio da questo genere. Originaria dell’India, è conosciuta come spinacio Malabar ed è diffusa in Cina, tanto che a volte viene chiamata spinacio cinese.  Sistemata in un piccolo vaso nella mia serra, è rimasta quiescente per un po’, quasi volesse studiare l’ambiente, ma poi ha cominciato a crescere, ad allungarsi, alla ricerca di una meta o di un sostegno, con tenace esuberanza. Così l’ho messa a dimora vicino al pergolato della vite, dove continua instancabile a crescere un lungo sottilissimo stelo. Non gli ho ancora strappato una foglia, anche se  sono molto curiosa di assaggiarla.  Tuttavia ho qualche timore per lei perché ho letto che non è una pianta molto rustica e in climi come il nostro potrebbe comportarsi da annuale, ovvero non sopravvivere all’inverno.

Atreplice

Atriplex hortensis
Atreplice bionda (semi)

Tornando in Europa, a quella che era la famiglia delle Chenopodiaceae, ma oggi è stata definitivamente inserita nelle Amaranthaceae, l’atreplice bionda, un’antica varietà di spinaci orticoli dolci e delicati, è stata molto generosa quest’anno, ed è ormai tutta in seme.

Ho seminato poi il Chenopodium giganteum, noto in inglese come ‘tree spinach’, cioè albero degli spinaci perché la pianta potrebbe raggiungere un’altezza di 3 metri. Ho scoperto però che altro non è che un avatar (botanici e agricoltori userebbero l’espressione più consona di ‘varietà’) di Chenopodium album, farinello o farinaccio, piantaccia infestante e diffusissima su cui un giorno scriverò più a lungo (vedi 24 settembre 2009 nel vecchio blog).

Chenopodium album

Chenopodium album
Farinello (foto fatta per strada)

Erba dei derelitti e pane dei poveri, del farinello non si buttava via nulla, ma proprio nulla, perché anche i semi sono una specie di cereale, affine alla tanto decantata quinoa. Verdura velocemente dimenticata anche come spinacio selvatico, soppiantato, e giustamente, per fama e utilizzo dal celebre buon Enrico di cui ho già scritto altre volte, un nobile (anche per il nome) spinacio selvatico che cresce in ambiente di mezza montagna (sopra 300 m slm).

Chenopodium giganteum

Chenopodium giganteum

La varietà  Chenopodium giganteum è utilizzata anche come pianta ornamentale perché le giovani foglie hanno una sfumatura rossiccia veramente attraente. In un angolo solo parzialmente ombreggiato del giardino e senza chiedere più acqua del necessario, è cresciuto rigoglioso e colorato in quest’estate, per ora in verità più umida del consueto. Tutti lo trovano bello e allora se ne sta lì, a farsi ammirare,  mentre io aspetto l’occasione propizia per cucinarlo. Anche del Chenopodium giganteum si possono consumare i semi, ricavandone una specie di cereale e perfino una farina.

Si può cliccare sulle immagini per vedere la foto più grande in un’altra pagina

Lithops, i sassi vivi

lithops lesliei
lithops fulleri
Le piante di questo genere, originarie dell’America del Sud, assomigliano a sassi. Ciascuna pianta ha un corto fusto sotterraneo, che prosegue in una radice relativamente lunga. Il fusto interrato porta un paio di foglie semicircolare, grosse e carnose, fuse insieme per quasi tutta la loro lunghezza. Sono queste foglie che conferiscono alla pianta il singolare aspetto di ‘sasso vivo’ e il loro colore si armonizza bene con un arido sfondo di rocce. In cima alla linea di fusione c’è un’incisione o fenditura, dalla quale nella tarda estate o all’inizio dell’autunno spunta un singolo fiore simile a una margherita. Questi fiori possono essere più grandi delle foglie e sono bianchi nella specie lithops fulleri e giallo oro nella specie lithops lesliei. Dopo la fioritura le vecchie foglie gradualmente avvizziscono e seccano, mentre spunta una nuova coppia che le sostituisce. Non è molto semplice coltivare queste piante che necessitano di pochissima acqua, specie quando termina la fioritura e le foglie nuove si sostituiscono a quelle vecchie. Anche la loro crescita può essere molto lenta. Questi esemplari, già fioriti e acquaistati alla mostra mercato Frutti antichi sono appena arrivati a casa mia. I fiori stanno sbocciando e non sembrano davvero sassi.

Delosperma

delosperma cooperi

 

 

Fra le succulente, o piante grasse come un tempo si chiamavano, le aizoacee sono quelle che hanno i fiori più belli. Vengono quasi tutte dal Sudafrica, ma molte si sono naturalizzate sulle coste del Mediterraneo. Come il curioso fico degli ottentotti (12 maggio 2009), che nel suo paese di origine è una pianta a frutti commestibili. I fiori delle aizoaceae assomigliano ai capolini delle asteracee, in altre parole a delle margherite. Ma non c’è alcuna somiglianza reale, perchè i capolini sono composti di molti fiori, mentre questi fiori sono singoli con molti petali.
Questo delosperma è una pianta generosa, che può anche diventare tappezzante e si copre di fiori rosa scuro con petali sottili come quello della foto. Quest’anno però ha fatto un’unico fiore e temo non ne farà altri. Il gelo lo aveva quasi ucciso e i rami secchi stavano soffocando le ricrescite. Così deve aver speso quasi tutte le sue energie per rigenerare le foglie.