I bambini di strada sono ragazzi e ragazze, poveri, giovanissimi, soli, che non hanno una vera casa né si accompagnano per protezione e sorveglianza a una figura adulta di fiducia. Bambini per i quali la strada, un’abitazione abbandonata, un terreno incolto, è divenuta il luogo dove vivere, ogni giorno e ogni notte, senza una vera famiglia e sufficienti a se stessi.
Così gli alberi delle città sono i bambini di strada del bosco, dice Peter Wohlleben(1), che degli alberi e dei boschi è grande amante e conoscitore. La definizione è veramente calzante perché molti alberi crescono proprio direttamente sulla strada. Come il largo fico chissà come finito davanti all’ingresso del porto antico di Genova, sotto la sopraelevata, che accoglie sempre una folla chiassosa sotto le sue fronde. Senza casa, senza famiglia, senza terra, ma grande dispensatore di riparo e frescura.
Un bambino davvero cresciuto troppo è l’esemplare solitario di pino che si eleva oltre tutti gli altri, banali pini domestici (Pinus pinea) intorno a lui, e si fa notare per il suo tronco doppio sul margine dei giardini di viale Luigi Cadorna a Genova Brignole. Lo credevo un pino d’Aleppo, per il portamento slanciato e la chioma vaporosa, ma quasi certamente mi sbagliavo. Solo è solo, diverso dai suoi vicini, diverso dalle torri di acciaio e cemento che lo sovrastano.
Gli alberi di città, come i bambini di strada, sono diventati adulti senza aver avuto il tempo e l’energia per crescere veramente, senza essere accolti e coccolati dal pane fertile della terra. Anche se crescono in altezza, faticosamente, costretti, potati, capitozzati, rimangono sempre immaturi, senza la certezza del bosco. Stretti nel cemento, contorcono le radici fra cavi e cavità sotterranee, le allungano in spazi freddi e sterili, si piegano, si adattano, sopravvivono.
Gli abitanti della città guardano gli alberi con sentimenti contrastanti. Si lamentano delle radici che li fanno inciampare, delle foglie che ingombrano il marciapiede, dei pollini che li fanno starnutire, dei rami pericolanti che potrebbero colpirli; ma sanno che non potrebbero fare a meno della loro ombra, del loro riparo.
Li vedono mutare con le stagioni, come dice il poeta.
A primavera fioriscono con disperata vitalità, ma spesso cambiano colore prematuramente, alla fine della torrida estate urbana.
Il più grande, il più caro dei miei bambini, il tiglio di largo Lanfranco, proprio di fronte al palazzo Doria Spinola della prefettura, ha già molte foglie ingiallite a fine agosto e un poco mi preoccupa. Tuttavia se persino gli alberi dei boschi soffrono in questi mesi bollenti, come può proteggersi dalla calura questo ragazzo abbandonato che solo da molti metri di distanza scorge qualche suo simile nella piazza vicina? Come sarebbe più felice se potesse scambiare messaggi sotterranei con qualcuno, comunicare con le sue radichette e spingerle avanti fin dove hanno voglia di arrivare, senza scontrarsi con i tubi di ghisa e le fondamenta bituminose di qualche artefatto umano.
(1) Peter Wohlleben – La vita segreta degli alberi – Gruppo Editoriale Macro – 2016