Fiori da parcheggio

Parcheggio AnagninaLa primavera riserva sorprese ovunque, anche ai margini dei parcheggi, dove d’inverno si trovano soltanto erbacce incatramate e un po’ di spazzatura. Nei pressi della stazione Anagnina, capolinea della linea A della metropolitana di Roma, una prato di tarassaco e malva contende la vista alla sterminata  distesa di automobili in sosta. Ammiro il coraggio e la saggezza di questi prati urbani.
Da sempre occhieggio nei quadratini di terra, che vorrebbero essere aiuole, di qualche centro commerciale alla ricerca dei più temerari fiori di campo. Dopo aver scoperto la draba primaverile (Erophila verna) e la sua breve fioritura, più a lungo si possono incontrare i becchi di gru (Erodium sp), stretti parenti dei gerani, piccoli fiori a corolle delicate e frutti appuntiti che assomigliano al becco di trampoliere.
Il becco di gru comune, Erodium cicutarium, così detto perchè le foglie hanno l’aspetto prezzemoloso della cicuta, ha un modo di propagazione geniale e potente; la pianta lancia i semi fino a mezzo metro di distanza ed essi possono seppellirsi letteralmente scavando nel terreno, torcendosi e srotolandosi in risposta ai cambiamenti di umidità. Non c’è da stupirsi se sia così diffuso anche in ambienti abbastanza ostili come i margini polverosi delle piazzole di sosta.

Erodium malacoides

Erodium malacoides
con Urtica dioica

Più gentile, ma altrettanto rampante, suo fratello il becco di gru malvaceo, Erodium malacoides, si contende lo spazio con la purissima ortica (Urtica dioica) e già mostra mazzetti di frutti appuntiti. Tutte le specie di Erodium utilizzano irruenti metodi  di dispersione dei semi, che sono dotati di peluria uncinata che si attacca al pelo degli animali e favorisce anche la penetrazione nel terreno.

Galium aparine

Galium aparine

In questa stagione, anche le aiuole urbane più trascurate si ricoprono di verde intenso, quasi impenetrabile.  In mezzo all’erba cresce il gallio attaccaveste (Galium aparine), parente povero e un po’ volgare del caglio zolfino (Galium verum) a fiori gialli, che si dice venisse usato nei tempi passati per cagliare il latte. Nonostante l’aspetto esile, l’attaccaveste è veramente appiccicoso e aggressivo, un’alta strategia vincente per fronteggiare la dura lotta per l’esistenza.

Campanula medium

Campanula medium

Ma sullo spartitraffico, fra le auto che fuggono troppo in fretta anche per un’occhiata furtiva, talvolta si scopre qualche cosa di veramente inaspettato. E bisogna fermarsi, scendere dal cavallo di latta, avventurarsi per le impervie strade moderne, dove osano solo gli pneumatici, per cercare di vedere, capire, immortalare il miracolo, seppure da debita distanza. Un grappolo di grandi campanule azzurre (Campanula medium), che starebbero davvero meglio al margine di un bosco, sbocciano all’ombra dei rigidi cespugli di pittosporo, accanto a qualche immancabile grespino della strada, trascinate da chi e da che cosa fin qui davvero non saprei.

Ancora Chaenomeles

Chaenomeles

Chaenomeles, via Struppa 250

Nel quartiere di Struppa, in una qualsiasi mattina di fine inverno, un po’ più grigia e lenta del solito, le persone si tengono a distanza, ma esplodono (c’è chi li chiama fuochi di artificio) le nuvole rosse dei cotogni da fiore. Ne scopro uno all’ingresso di un cortile, un parcheggio con basse costruzioni coperte di timidi murales colorati, dove forse in tempi migliori si svolgevano feste di quartiere. Siamo quasi a Prato, l’estremità più interna della val Bisagno genovese e nel vicino campo da tennis qualcuno si sta esercitando (il tennis è uno sport quasi individuale). Il cielo è irregolarmente nuvoloso, ma il sole dolcemente caldo. Sono cespugli quasi anonimi, tranne per la loro breve stagione di fioritura; ma molti si riscattano producendo anche frutti profumati, simili a mele cotogne, commestibili soltanto dopo la cottura (proprio come le mele cotogne). Sono uno degli altri appuntamenti che la primavera riserva, anche in città, e davvero bisogna stare attenti a non lasciarselo sfuggire.

Vedi anche :
Primavera in gabbia
Cotogno da fiore

Quando fiorisce la mimosa

 

Mimosa in val Bisagno

Acacia dealbata
val Bisagno

Non è certo una pianta originale, ma passa inosservata per la maggior parte dell’anno, finchè, fra gennaio e marzo, le sue nuvole gialle esplodono ad ogni angolo di strada. Febbraio è sempre stata la sua stagione. Qui sul bordo del Mediterraneo, molto prima di primavera, appar dovunque la mimosa effimera(1).

Ci sorprende quanto ne abbiamo bisogno, proprio adesso, di questo colore caldo, spesso, dolciastro. In quest’inverno fradicio e nebbioso, sono sempre i fiori a salvarci.

Mimosa in via San Vincenzo

Acacia dealbata
via San Vincenzo

Si incontra dappertutto, nella crosa che corre alta sulla val Bisagno, sopra il cimitero di Staglieno, come nel campo Rom della val Polcevera, e poi di fronte all’arco di ingresso di una corte nella centrale via San Vincenzo. Pronto a sbocciare perfino un gracile alberello,  alloggiato in una giara di coccio, sul retro di un palazzo di edilizia popolare. Effimera, ma resiliente, già poco dopo Natale, i rami verdolini cominciavano ad impallidire verso il paglierino. Sopporta grandine e vento, talvolta anche la neve, e il suo colore brilla.

Mimosa

Acacia dealbata

Spesso viene accusata di essere arrivata troppo presto, di essere, con la sua fioritura anticipata, uno scherzo del clima impazzito. Ma a torto, perchè non è vero. Da gennaio fiorirà fino a marzo per poi andarsene, in sordina, tornarsene in un anonimo letargo per dieci lunghi mesi. Oggi è il suo tempo e il suo colore è oro.

(1)Vincenzo Cardarelli ‘Liguria

L’invasione delle libellule

mareggiata a Celle LigureDa qualche giorno ne parlano tutti. Giornali, social media, tv. La Liguria è pacificamente invasa dalle libellule che ordinatamente sciamano a favore di vento. C’è chi le ha viste dirigersi verso Nord, quando tutti si sarebbero aspettati che andassero a Sud, chi ne ha ammirato le ali argentate, chi quelle dorate. Tutti le hanno salutate con allegria, fantastiche predatrici di molti generi di insetti molesti.

E’ finita che le ho viste anch’io, sulla costa sferzata dalla mareggiata, con vento birichino che voleva convincerle a fermarsi un po’. Siamo sul litorale di Celle Ligure e il gioco delle onde sta pian piano rallentando la sua forza.

LibellulaEcco una o due libellule, ma soprattutto una, appoggiata su uno stecco di finocchio marino, proprio a  due passi da me. Riesco a vederla fra luce ed ombra perchè le sue ali traslucide riflettono il sole. Fa un piccolo volo in tondo e torna sullo stecco. Il vento le impedisce per un po’ di migrare lontano. Solo per questo, credo, sono riuscita a fotografarla.

Per noi sempre frettolosi e approssimativi, le piante sono più facili, così tranquille e docili, sempre accondiscendenti. I fiori in questa stagione scarseggiano, ma il litorale è ancora generoso di colori.

Carpobrotus edulis

Carpobrotus edulis

Il fico degli ottentotti (Carpobrotus edulis) è ormai diventato uno di casa sulle nostre coste. Ne ha fatta di strada, dalla sua terra di origine, il Sud Africa, la patria degli ottentotti, che è il nomignolo vagamente canzonatorio dato dagli olandesi agli indigeni del luogo. Ora è neofita invasiva, ma ormai naturalizzata, fico di mare dal sapore acidino, si può assaggiare quando è maturo perchè, appunto come dice il nome C.edulis, è commestibile. Ringrazio questo fiore tardivo, e le sue foglie grassocce che non temono i venti salmastri e gli aridi declivi delle scogliere.

(vedi anche il mio primo blog 12 maggio 2009)

Il Bisagno, prima della pioggia

In attesa delle rovinose piene che sempre contraddistinguono la stagione autunnale e non solo, il greto del Bisagno viene sistematicamente ripulito non solo di carcasse e rifiuti della civiltà, ma anche di ciò che vi cresce, libero e spontaneo, un po’ troppo esuberante. Senza acqua diventa una strada grigia, ma velocemente ripopolata dalle frasche. Con il passare degli anni però, e gli studiosi di erbe pioniere potranno spiegarci perchè, le varietà di piante che crescono e prosperano nella ghiaia appena inumidita sono sempre meno diversificate.

All’inizio dell’autunno, l’inula, Dittrichia viscosa, la fa da padrona e colora di giallo intenso ogni angolo, arrivando anche a oscurare il morbido violetto della Buddleja. Ci sono altri fiori nascosti nel fogliame disordinato, saponaria (vedi 1 agosto 2009) certamente, e qualche malcapitata bella di notte (Mirabilis jalapa, vedi 18 settembre 2009), sfuggita da qualche giardino.

Xanthium strumarium

Xanthium strumarium

Ha larghe foglie palmate la nappola minore (Xanthium strumarium), cosidetta perchè i suoi frutti spinosi sono di dimensioni più piccole di quelli di Xanthium italicum, nappola italiana. E’ una pianta ruderale, pioniera, di nessuna utilità, nè avvenenza. Solo una bella macchia di verde sul grigiore polveroso del pietrisco. (Ma in Sardegna, nel distretto di Sarrubus, una specie affine, Xanthium spinosum, veniva impiegata dalla medicina tradizionale per curare la diarrea).

Persicaria maculosa

Persicaria maculosa

Poco più in là è fiorita la persicaria (Persicaria maculosa, vedi 13 agosto 2009), con le sue spighe rosa. Lei infestante irriducibile, abitatrice dei bassifondi, parente povera e sfrontata di specie nobili come la bistorta (Bistorta officinalis) e appetitose come il grano saraceno (Fagopyrum esculentum).

L’altra strada di casa

La strada da casa a Genova Prato è una ripida discesa di qualche chilometro su un dislivello di circa 200 metri. Cammino sulla via asfaltata, dedicata a San Colombano, il leggendario vescovo paleocristiano di Bobbio.

altra strada di casa Allium ampeloprasum

Allium ampeloprasum  ( A. polyanthum)

Sul ciglio della carreggiata è fiorito un porraccio (Allium ampeloprasum(1)). Le sue ingombranti teste rosate dondolano al vento, mentre cimici nere e gialle lo pascolano instancabili. Il porraccio è pianta commestibile, come tutto il genere Allium, si può raccogliere tutto l’anno, tranne che d’estate e se ne consuma la pianta intera sia cruda in insalata che cotta. Sconsiglio gli esemplari che crescono troppo vicini agli scappamenti delle auto.

Jasminum officinale

Jasminum officinale

Dall’altra parte della strada, nel canneto di Arundo donax, spunta un gelsomino, uno di quelli veri (Jasminum officinalis, 18 maggio 2009). Ormai sono rari, quasi preziosi, soppiantati dal sosia asiatico, Trachelospermum jasminoides, a foglia coriacea sempreverde, con la sua prorompente e inebriante fioritura (vedi 13 giugno 2009). Il gelsomino, quello vero, mi ricorda l’infanzia, quando cresceva rigoglioso lungo una scaletta di campagna, delicato, con una fioritura meno aggressiva e un profumo gentile. Che nostalgia.

Viburnum odoratissimum

Nei pressi della chiesa di San Pietro di Fontanegli, nel giardino dove d’estate si radunano i soci SOMS per raviolate e tombole, scopro un arbusto che non avevo mai notato e mi sorprende per le foglie robuste e lucide, ancora inumidite dal violento acquazzone di questa notte. E’ un viburno (Viburnum odoratissimum), ma ormai è tardi per verificare se il suo attributo specifico sia ben meritato. I fiori, forse odorosissimi, sono ormai sfioriti per lasciar posto a grappoli di bacche, verdi, poi rosse, e infine nere.
Questa volta nella discesa evito la parte più scoscesa della creuza, via alla Chiesa di Fontanegli, che dopo la pioggia è insidiosamente scivolosa. Scelgo la strada lunga, via Giovanni da Verrazzano, esploratore del 15° secolo.

Centaurea calcitrapa

Di fronte alla scuola materna, nei pressi della villa Ferretto, cresce in mezzo alle cancellate arrugunite una pianta spinosissima, coperta di rustici fiori. E’ la calcatreppola stellata, ovvero Centaurea calcitrapa, un fiordaliso molto spinoso, il cui nome significa qualche cosa come ‘trappola per il calcagno’, perchè le lunghe spine del capolino possono ferire le zampe o i piedi di chi la calpesta.

Da queste parti, al confine fra città e campagna, ogni fazzoletto di terra può diventare un orto casalingo. Proprio sull’orlo della strada, fra un nespolo del Giappone e un campetto di ortaggi, un buffo spaventapasseri difende il raccolto; ma forse è stato costruito più per divertire i bambini più che per scacciare gli uccelli.

Solanum tuberosum

Bisagno

 

Lungo la discesa più ripida, che avevo già mostrato in un post di tanti anni fa, accanto a costruzioni anonime, con curati e freddi giardini all’inglese, ecco una casupola con l’aria familiare di cascina, e davanti un rigoglioso campo di patate. Il cane avvisa la padrona che, come al solito, si informa preoccupata di perchè stia fotografando la sua casa.
“Perchè sa, di questi tempi, se ne sentono tante. ..”
No, non so. Ma penso sia tutta colpa della D90, un cellulare avrebbe dato meno nell’occhio.

Ed eccomi a fondo valle, dove scorre il torrente Bisagno, ingrossato dalle piogge, ma sempre molto molto diverso da un vero fiume. Sulle sponde, dragate e pulite alla bell’e meglio, crescono salici e pioppi e fiorisce lo sparzio.

E io sono arrivata in città.

(1)Secondo altri autori, questa specie sarebbe Allium polyanthum, mentre il vero Allium ampeloprasum sarebbe presente in Italia solo in Emilia Romagna e Lombardia come alloctona casuale o naturalizzata. Le due specie sono molto simili e l’attribuzione è controversav. Vedi scheda IPFI di actaplantarum.

I papaveri di palazzo Molinari

palazzo Molinari

palazzo Molinari di salita Mermi

Lungo la via Mogadiscio, poco sopra la scuola elementare Andersen, si incontra questo bel palazzo di nobile impianto, la villa Odetti, costruita nel 17° secolo, affiancato da un’imponente torre a pianta quadrata, la torre Molinari, che è invece di origini ottocentesche. L’intero complesso, noto come palazzo Molinari, è ristrutturato e mantenuto con cura. Sull’angolo dell’edificio, una piccola strada taglia la via principale e si inerpica per qualche decina di metri oltre al tornante. La targa ci dice che si chiama salita Mermi. Questa antica mulattiera fa parte di un tracciato molto antico che conduceva dal ponte Carrega sul Bisagno fino a Sant’Eusebio, località collinare dove si trova un’antica chiesa. Di Mermi già si parla in un editto del 1142, ove si chiedeva alla gente di Terpi, Mermi e Lugo (così si chiamava allora Sant’Eusebio) di contribuire a turno personale per la guardia del castelluccio di Molassana, costruito nel 935(1).  Il toponimo deriverebbe, secondo testimonianze medioevali, dal latino ‘Insula melmi’ (da melma, fango). E davvero la zona doveva essere paludosa, come testimonia la storia travagliata della chiesa di Mermi abbandonata, dopo vari tentativi di restauro e non senza litigi con le borgate vicine, perchè sempre soggetta a frane e smottamenti a causa dei numerosi corsi d’acqua.

Papaveri di palazzo Molinari

Papaveri di palazzo Molinari

Fra il palazzo e la torre, alle spalle di un piccolo posteggio, mi viene incontro un breve pendio erboso cosparso di papaveri scarlatti. Il colore inconfondibile, le dimensioni, le macchie scure alla base dei petali, i verdi frutti a capsula, questa volta sono proprio loro, i rosolacci, Papaver rhoes.

Papaveri

Papaver rhoeas
sullo sfondo Carduus pycnocephalus

Talvolta, sui bordi della strada, si incontrano gruppetti di papaveri aranciati, più piccoli e scarmigliati, con frutti a forma di piccole clave; si tratta di una specie diversa, dal nome che è un’onesta dichiarazione di incertezza Papaver dubium.

Un po’ tutti i papaveri si portano dietro la loro dose di mistero. I botanici li classificano come specie ‘criptogeniche’, cioè specie di cui si ignora la provenienza e la causa della comparsa. Come dire, da dove e come sono arrivati i papaveri a Sant’Eusebio, e peraltro in tutta la Liguria, non si sa. Ma arrivano, e, nel cuore della primavera, sbocciano, sgargianti ed effimeri, pronti a farsi stracciare dal vento. Tanto è fragile il fiore, tanto è robusto e indomito il frutto, con il suo succo stregato. Il rosolaccio non contiene l’oppio del Papaver somniferum, che ne ha fatto strumento di potere e dolore, ma più innocui alcaloidi blandamente sedativi e narcotici, che lo rendono ingrediente importante della medicina popolare.

(1) Queste informazioni si leggono su una targa nei pressi della torre, a cura degli scolari della classe III della limitrofa scuola elementare Andersen, durante l’anno scolastico 2000-2001. Questa targa era ancora leggibile nel 2013 quando l’ho fotografata per ricordarla, anche se non so quanto tempo ancora resisterà alle ingiurie del tempo, prima di scomparire per sempre, come è accaduto alla targa che a Bavari descriveva le ville di Fontanegli. Ora quei ragazzini saranno adulti, e chissà se si ricordano ancora di quelle storie che hanno contribuito a tramandare.

Robinie rosa al mercato

Robinia rosa

Robinia rosa a Terralba

L’arredo urbano è sempre alla ricerca di varietà originali e generose, di bella presenza e poche pretese. Lungo i marciapiedi cittadini non si troveranno mai rarità da vivaio, piuttosto specialità selezionate per resistenza e spavalderia, nobili e fiere bellezze da strada.
In questa stagione vicino al mercato coperto di piazza Terralba, nel quartiere di San Fruttuoso a Genova, fioriscono le robine rosa. Le ho fotografate diverse volte nelle primavere passate, come nel caso della foto postata nel vecchio blog il 5 maggio 2010. Le ho ritrovate in aprile del 2016, di nuovo durante una giornata grigia, di fronte allo stesso mercato. Quest’anno, più o meno confinata in casa, non frequento il mercato dall’inizio di marzo; ma gli alberi, a differenza degli uomini, non tradiscono le stagioni e sono certa che siano di nuovo fiorite.

Questi alberelli sono diversi dalle solite robinie, quelle che tutti chiamano acacie (24 aprile 2009). I rami non sono spinosi e per qualche settimana all’anno portano grappoli di fiori papilionacei, intensi e lussureggianti, di un rosa appena più delicato di quello degli alberi di Giuda (Cercis siliquaster), ma non per questo meno sfacciato. Secondo questo sito, si tratterebbe della varietà di Robinia pseudoacacia denominata “Casque Rouge”, niente spine, fiori rosso-lilla, stesse esigenze, ovvero stessa assenza di esigenze, colturali.  Robinia rosa
Esistono tuttavia anche due specie di Robinia dai fiori rosa, R. hispida e R. neomexicana, ovviamente originarie del Nord America e importate in Europa come ornamentali. Tutte e due queste specie, dallo stesso carattere adattabile e breve fioritura, sono presenti anche spontaineizzate, come alloctone casuali o naturalizzate, in varie regioni della penisola, anche se non in Liguria.
Così non ho certezze su come  chiamare le mie piccole Robinie da mercato, ma spero di reincontrarle ancora, in qualche futura primavera di libertà.

Primavera in casa

Spirea ulmaria

Spirea ulmaria

Kerria japonica

Kerria japonica

Non mi allontano molto da casa, non è permesso nè prudente in questi giorni, limpidi e surreali. Dobbiamo isolarci e vivere un po’ in gabbia. Così non mi allontano dal mio giardino, ma soltanto allungo quattro passi in su, verso gli incolti abbandonati che circondano la vuota casa vicina, ingombri di vegetazione opulenta, reminiscente delle cure affettuose dei proprietari scomparsi. Dietro la casa c’è un lussureggiante cespuglio di spirea bianca, l’elegante cugina della gloriosa olmaria che sto cercando di crescere nel mio orto. Il verde acerbo e delicato del prato si specchia nei vetri chiusi. Macerie e detriti ingombrano il giardino e i ruderi di serre e gazebi, ma impallidiscono accanto alle fioriture che avanzano, sotto le ultime grandi corolle della magnolia nufìdiflora, ormai coperta di foglie, e le prime esili pannocchie pendenti di glicine rosazzurro. Appoggiata ai vecchi vetri di una veranda che ha visto tempi migliori, la kerria, solare rosa del Giappone, non si  risparmia e si sbraccia, disperdendo una pioggia di bottoni gialli sulle pareti corrose.

Primavera

Lunaria annua e Urtica dioica

Poco più in là, sulla fascia, è tutta una distesa di violetto e rosa, in tanti minuscoli fiori di campo, il lamio, l’ellera terrestre (15 aprile 2009) e la bugola (18 aprile 2009), ma soprattuto l’esile e flessuosa lunaria, quattro petali rosa disposti a croce, da cui matureranno i traslucidi “medaglioni del papa”. Eccola ai piedi di una scala a pioli abbandonata, seminascosta nell’erba,  fianco a fianco all’ortica, protagoniste della stagione che si rinnova.

Hedera helix

Hedera helix

 

In fondo è stata una bella passeggiata, ho incontrato tanti vecchi amici che avevo perso di vista per un po’, perchè la maggior parte di loro non si incontrano d’estate, autunno e inverno, e alcuni hanno una stagione così breve che bisogna sbrigarsi a salutarli prima che scompaiano di nuovo.
Tenace e stabile invece, ricercata e negletta, si allunga testarda su un pezzo di muro l’edera, quella vera. Ma neppure lei si lascia scappare l’incontro con la primavera e cresce foglie tenere e delicate, forme bizzarre che ornano la parete come ricami.

L’Amelanchier, quest’anno

Amelanchier

Amelanchier canadensis
28 marzo 2020

 

Ma la primavera quest’anno è davvero in anticipo? Sembrava proprio di sì, dopo un inverno quasi inesistente, e un caldo febbraio. Marzo, poi, quasi non l’abbiamo vissuto e chissà che ne è stato della primavera…

Non è ancora pronto il piccolo Amelanchierpero corvino che un anno fa era già riccamente fiorito e oggi mostra solo grappolini di boccioli, seminascosti ancora fra le foglie.

Amelanchier canadensis
30 marzo 2019

 

No, la primavera non è in anticipo. Così pensavamo certo fino a qualche giorno fa, ma poi si è alzato un vento gelido e teso che ha portato la neve sulle colline. Così per qualche giorno starcene tutti chiusi in casa come marmotte in letargo non sembrava neppure una cattiva idea.

Oggi la primavera è tornata, ma niente da fare, quest’anno si sta a casa. Niente gitarelle per borghi, per scoprire le prime fioriture fra campagna e città. E occhieggiare nei giardini piccoli e grandi per rubare colori e idee. Niente scampagnate nei prati e fiere di stagione per incontrare e conoscere nuove piante. Quest’anno si sta a casa, anche se è primavera e il giardino lo sa. Il giardino è pieno di fiori, e anche l’Amelanchier non si farà attendere. Sono stupita però che quest’anno sia così in ritardo …