Giardino per gli acquisti

Mercato Corso SardegnaC’era una volta il mercato generale dove tutti i fruttivendoli, o meglio i besagnini, di Genova si rifornivano ogni giorno, il mercato di corso Sardegna, dal 1926 presenza storica e ingombrante in quartiere affollato e  congestionato. Così nel 2009 fra esitazioni e polemiche, incertezze e necessità, il mercato all’ingrosso si è trasferito altrove, in una sede più ampia e decentrata, lasciandosi dietro uno spazio ampio, nel cuore più attivo della città, vuoto e buio per quasi dieci anni. Finché è stato ristrutturato completamente e riaperto al pubblico come giardino, ovviamente un giardino per gli acquisti.

Mercato Corso Sardegna

Prunus serrulata

Il vecchio cancello in ferro battuto, proprio quello originale, conduce adesso in una vasta piazza assolata, con aiuole e panchine, un campo da gioco, un parchetto per bimbi e spazio per passeggiare. Protagonisti i potenti operatori del consumismo, non botteghe, ma atelier di commercio, ristorazione soprattutto, e grande distribuzione. Tutt’intorno aiuole e alberelli che compongono un giardino piuttosto freddo, quasi finto, sorta di installazioni botaniche, accurate e pulite, potate e irrigate, di indefinibili colori che variano dal verde al rosa al marroncino.
Queste essenze ricercate e straniere sono creature capitate per caso in un luogo non scelto, e fra i visitatori nessuno ci fa caso. Sono una presenza necessaria, ma senza importanza, che andranno e verranno come le pozzanghere e le nuvole.

Giardino marassi

Westringia fruticosa

Cornus sericea

Cornus sericea

Già avevo fatto conoscenza con il falso rosmarino Westringia fructicosa, pianta australiana della famiglia della Lamiaceae, adatta a climi miti e salmastri, che ricopre generosamente la prima aiuola che si incontra con i suoi luminosi fiorellini bianchi.
Bianchi sfavillanti sono anche i fiori dell’arbusto nell’aiuola accanto, Cornus sericea, corniolo serico, che viene dall’America del Nord. I cornioli sono piante sempre molto attraenti e gioiosamente robuste, una garanzia per i progettisti di giardini per gli acquisti.
Veri e propri alberi non ce ne sono, ma forse val bene attendere. Come per la Koelreuteria paniculata, il coraggioso alberello delle lanterne cinesi, che già ho visto crescere in un viale di città. Similmente diritti e costretti nella forma scelta dall’architetto, i ciliegi ornamentali (Prunus serrulata) forse fioriranno a primavera con tutta la grazie straordinario della loro volontà. Mi piace sperarlo, fosse soltanto perché in quell’occasione più di uno sguardo si alzerà finalmente ad osservarli.

Koelreuteria paniculata

Koelreuteria paniculata

 

La vita del piccolo centro commerciale scorre ai piedi dei sottili aceri variopinti di qualche varietà che ha avuto in sorte foglie più rossicce che verdi, con le antocianine quasi sempre vincenti sulla clorofilla, almeno quando la luce è abbondante. D’autunno si colorano di elegante rossiccio anche le foglie del nobile Liquidambar styraciflua e il colore si accende anche nelle bacche rossicce di qualche ibrido del biancospino.

Sorbo

 Crataegus crus-galli  (ibrido)

Le piante rimangono oggetti incompresi in un ambiente come questo, come testimonia la scelta di un ristoratore (no, non ho guardato neppure che locale fosse, e in ogni caso non lo direi), che ha scelto di guarnire le fioriere di orride piante finte per non rischiare di dover perder tempo e denaro ad accudire degli esseri viventi. Sotto i contenitori di plastica, sul tappeto dell’aiuola, cercano la loro strada serpentelli verdi che assomigliano  a qualche cotoneaster. Loro hanno conquistato quel posto dopo aver fornito innumerevoli referenze di resistenza a ogni sorta di avversità, prima fra tutte l’incuria e l’indifferenza.

Giardino Marassi

Liquidambar styraciflua

Piante finte e piante vere

 

Per piacere, non fotografate gli epilobi

Sul margine delle creuze vicino a casa, fra campagna e città, sbocciano caparbi fiorellini tardivi, o forse solo in ritardo. Creuze molto asfaltate, ma pur sempre creuze, costellate di cancelli chiusi e presidiate da cani molto solerti. Il cane non sa tacere e denuncia la mia presenza sempre. Faccio finta di niente, accelero il passo.

Epilobium hirsutum

Epilobium hirsutum

Ma poi invariabilmente c’è un fiore che attira la mia attenzione. In fondo sono qui per questo, per osservare e immortalare i fiori, anche e soprattutto quelli semplici e randagi. La macchina fotografica è ancora nello zaino, forse l’ho appena riposta, ma eccola di nuovo pronta all’inquadratura migliore, o almeno la meno peggio.

L’epilobio irsuto è una pianticella slanciata e modesta, presente dappertutto in Italia, vicino ai fossati e ai ruscelli, ovunque dove scorre una vena d’acqua. Non ha nulla della sfacciata eleganza di altri epilobi, l’epilobio a foglie sottili, l’epilobio di Dodonaeus o a foglie di rosmarino e l’alpino epilobio di Fleischer, specie protetta. Tutti e tre questi nobili parenti sono stati trasferiti nel genere Chamaenerion, diventando rispettivamente Chamaenerion angustifolium, C.dodonaei e C. fleischeri. L’irsuto no, è rimasto Epilobium, nome che deriva dalla fusione di tre radici greche e significa che il fiore (violetta) sta sopra al frutto e credo derivi dal fatto che questo fiore, come tutte le onogranaceae, ha ovario infero.

Reichardia picroides

Reichardia picroides

Il cane continua ad abbaiare, anzi ora sono due, si rincorrono oltre la cancellata, saltano e mi puntano con aggressività. Anche loro sono qui per questo. Al terzo scatto, la cagnara allerta la padrona che si affaccia guardinga dalla porta di casa e poi esce decisa verso il cancello. Dapprima sembra scusarsi, si sorprende che io stia fotografando i fiori, neppure i fiori di casa sua, dei volgarissimi fiori di strada. Cerco di essere cordiale, di renderla partecipe dei miei interessi. Ma niente da fare. Mi liquida con un “Beh sa, quando si vede una macchina fotografica, uno si allarma un po’ “. Allora sbotto “E’ una macchina fotografica, mica una mitragliatrice.” Che di questi tempi non sarebbe neppure tanto esotica.

E mi allontano, non senza bofonchiare qualche inutile rimostranza sul fatto che quando uso con il cellulare nessuno si scompone o preoccupa. Per fortuna la Reichardia, esuberante colonizzatrice di sterrati e orli di muretti, l’avevo già fotografata.

Scarpata ferroviaria

” … quasi triste come i fiori e l’erba di scarpata ferroviaria”

Scarpata ferroviaria

Trigonella officinalis
Papaver rhoeas

In primavera accade che persino le scarpate ferroviarie non siano affatto tristi, ma coperte di sfavillanti colori. Qui siamo a Chiavari, non lontano dalla foce del fiume Entella, fra la strada statale Aurelia e i binari. Mi corre incontro una distesa di erbe e fiori, fra i quali all’inizio riconosco gli steli glabri di equiseto immaturo, le spighe invadenti dell’avena selvatica (Avena fatua) e di qualche forasacco rossiccio che non riesco a identificare.
Nel bel mezzo dell’erba alta, che presto diventerà sterpaglia, si alzano i cespi di meliloto giallo, Melilotus officinalis, recentemente rinominata Trigonella officinalis, pianta dalle accreditate virtù medicinali. Come suggerisce il nome originale, si tratta di una pianta mellifera e, come molte fabaceae, ottima foraggera. Utilizzata tradizionalmente come antiinfiammatorio, diuretico e sedativo, la pianta contiene cumarina, che le conferisce un odore tipico, ma la rende anche leggermente tossica e quindi deve essere somministrata con cautela perché può causare nausea e mal di testa. L’uso esterno invece non ho controindicazioni e l’estratto della pianta è utile per contrastare l’invecchiamento della pelle(1).
Sul limitare della ferrovia, il meliloto si sbraccia aperto e felice, con il suo pallido giallo, sovrastando il prorompente scarlatto dei papaveri.

Scarpata ferroviaria

Papaver rhoes
Echium vulgare

I papaveri sono dappertutto. Ma anche l’azzurro vuole la sua parte, l’azzurro cupo, quasi violaceo, dell’erba viperina (Echium vulgare). Il nome di questa pianta deriverebbe dalla forma del fiore, triangolare come la testa della vipera e per conseguenza la leggenda tramanda che essa contenga un antidoto al veleno della pericolosa serpe. Certamente è specie alimentare e officinale, anche se come al solito non sarebbe una buona idea raccoglierla in un territorio così urbanizzato.
E’ difficile immaginare una scarpata ferroviaria più colorata, ma non c’è da sorprendersi, perché questo miracolo si chiama primavera. Fra un mese o poco più, fra queste pietre e questo cemento rimarrà forse soltanto qualche ciuffo scomposto di erba secca e la scarpata tornerà alla tristezza che ci ha cantato il poeta. La sua sorte non è diversa da quella di qualsiasi giardino, bisogna goderla adesso, non lasciarsela sfuggire, anche se è soltanto un lurido bordo di strada.

(1) Pastorino G et al. (2017). Biological activities of the legume crops Melilotus officinalis and Lespedeza capitata for skin care and pharmaceutical applications. ICP, 96:158-164

Asfodelo alla riscossa

Asfodelo fistoloso

Asphodelus fistulosus

E’ passato solo un anno da quando l’avevo incontrato sul bordo di una strada in collina e ora l’asfodelo fistoloso è arrivato nel cuore della città. Non so quanto gli piaccia crescere i suoi steli sottili e aprire le candide corolle immerso nei miasmi del traffico urbano. Ma qui è germogliato e, da vegetale obbediente, qui è cresciuto. Affonda le sue radici nello spartitraffico di corso Europa, poco lontano dal pronto soccorso dell’ospedale San Martino e dalla sede regionale della RAI, fra due inarrestabili correnti di veicoli rumorosi e puzzolenti. Divide con i gialli e impudenti grespini un’insignificante striscia di terra che neppure i piedi umani osano calpestare.

Un po’ stupefatta, lo contemplo sfidare, eretto e rigoglioso, autobus e camion, le brusche sterzate delle motociclette e gli ingombranti pneumatici dei suv di passaggio. Ma le sue corolle stellate passano inosservate perché la città non lo vede e soprattutto non lo guarda. L’anno scorso ho già parlato delle infinite storie e tradizioni che circondano i fiori di asfodelo. La sua è una bellezza algida, tetra. Fiore degli inferi per Omero, il suo rigido stelo fiorito consacrò Giuseppe sposo di Maria e padre putativo di Cristo. Sfuggito ai campi e agli inferi, si riscopre, in questa calda primavera, novello fiore di città.

(Per vederlo un po’ meglio, aprite l’immagine qui sopra)

Anticipi di primavera

Mandorli

Prunus dulcis

Ormai divampa la fioritura dei mandorli di Borgoratti, sulle terrazze sopra la strada, via Cadighiara, nei pressi di una strettoia così angusta che ha richiesto l’installazione di un semaforo. Divampa a ridosso di uno scosceso pendio, da anni squarciato dalle ruspe e guardato a vista dalle gru, senza che i lavori per la costruzione di fantomatici garage avanzino ancora.  Divampa sotto il colossale viadotto dell’autostrada, le sue zampe grigie fanno sembrare il cielo ancora più lontano.

Via Cadighiara

mandorli

Prunus dulcis

Sono nuvole di rosa questi alberi, tanto che sospetto si tratti di una varietà da fiore, tipo Prunus triloba. Per averne la certezza bisognerebbe osservarli quando la stagione avanza e vedere che frutti producono. Il Prunus triloba produce piccole ciliegie non appetibili, mentre il vero mandorlo Prunus dulcis le note drupe con mandorla, cioè il seme con guscio legnoso ricoperto da un mallo verde. Essendo ormai un boschetto, può anche darsi che queste piante, che richiedono l’impollinazione incrociata, fruttifichino .

Bergenia cordifolia

Ma non solo solo i mandorli, da fiore o da frutto che siano, a riempire di luce e colore questo angolino dimenticato di città, infossato fra le ripide colline e i pilastri di cemento. Testarda fiorisce ancora l’euryops, macchie di giallo per tutte le stagioni, mentre dietro i mandorli fanno capolino i pomi dorati degli agrumi.
Alla base di una scaletta è fiorita la bergenia, una pianta che vive proprio in questo periodo dell’anno la sua breve, esuberante stagione. I fiori sono copiosi e di colore acceso, ma terminato lo spettacolo rimarranno, dopo, solo le larghe foglie grassocce, anonime e per lo più ignorate .

Oggi ho più immagini che parole, la primavera non si farà attendere.

Leccio di campagna e leccio di città

Leccio

Quercus ilex

Sul bordo del bosco ho incontrato un germoglio di foglie nuove e verdi che riconosco come un piccolo leccio. Quercus ilex, la più comune delle querce sempreverdi mediterranee, viene ampiamente utilizzato e sfruttato nel verde metropolitano. Qui dove la città finisce, ai confini di quel verde suburbano che non è più prigioniero ma neppure completamente libero, nel versante settentrionale che al mare volta le spalle, i lecci non vengono dal bosco, ma dalla città. Grandi lecci di fronte ad ogni chiesa, a Bavari, punta di valico, di fronte alla chiesa di San Giorgio, un albero possente fa ombra a tutto il sagrato, così come a Montesignano, quartiere popolare per niente campestre.

Leccio Bavari

Quercus ilex
chiesa di San Giorgio di Bavari

Scendendo più giù, verso il centro della città, nei giardini pubblici di piazza Martinez di fronte alla chiesa di San Fruttuoso, sono sempre i lecci a bordare i marciapiedi, più piccoli e dimessi perché probabilmente sottoposti a incessanti quanto impietose potature. Altri viali di lecci ornano le periferie, fra palazzoni e centri commerciali.
Albero solido, a volte imponente, severo, resiliente, coriaceo come la sue foglie, il leccio non è mai bello. La sua scorza è ruvida, il suo verde è oscuro e le sue foglie cadute sono polverose e rigide. Non potrebbe essere altrimenti per sopportare il nostro clima mediterraneo, asciutto e intensamente soleggiato, e anche l’aria pesante e torrida della città.

Leccio piazza Martinez

Quercus ilex
piazza Martinez

Un’altra quercia mediterranea, la sughera, sa farsi prediligere e desiderare per la sua unicità, perché ha sviluppato uno strato di corteccia di eccezionale porosità e leggerezza che si presta agli usi più disparati. Invece il leccio, che cosa ha da dare? Null’altro che quell’ombra opaca che  dona sollievo dalla calura, ma non vera e propria frescura. Vero è che le sue piccole ghiande appuntite sono più appetibili di quelle delle altre querce. Dice il poeta Virgilio che prima dell’avvento dell’agricoltura (prima che ‘Cerere insegnasse ai mortali a rivoltar la terra con l’aratro’), la sacra selva forniva corbezzoli e ghiande, che certo venivano usate per farne farina, soprattutto le ghiande del leccio più dolci e meno astringenti. Si dice che nella Spagna quest’uso continuò fino a tempi relativamente recenti, ma i nostri antenati, si sa, avevano esigenze alimentari meno sofisticate e più schiette delle nostre.

Leccio Piazzale Bligny

Quercus ilex
Piazzale Bligny

Ora che i boschi costieri sono stati sterminati, il leccio sopravvive come inevitabile compagno di strada, torvo signore dei marciapiedi, aggrovigliato testimone delle lordure urbane.

Però come tutte le creature, anche quelle meno attraenti, i giovani virgulti, come i cuccioli, sono teneri e nobili. Il loro verde è brillante e luminoso, la loro scorza più morbida. Chissà se questo piccolo germoglio cresciuto fra essenze diverse, allori, carpini, robinie e pioppi, diventerà mai un albero. Ad arricchire e impreziosire un bosco che potrebbe tornare alle sue origini più genuine.

leccio ghiande

Quecus ilex
ghiande (10 novembre 2008)

Leccio fiori

Quercus ilex
fiori (28 aprile 2010)

 

Fico rampante

Fico

Ficus carica

Su questi rami spogli, due piccoli frutti di fico commestibile (Ficus carica) resistono chissà come al freddo dell’inverno, che non è mai gelo, ma sempre fastidioso. L’albero certamente si trova lì per caso, come la maggior parte dei fichi commestibili, piante selvatiche e indomabili, scarsamente ornamentali.

Diversa la vocazione e diverso il destino di molti dei suoi parenti del genere Ficus (famiglia delle Moraceae, come il gelso). Molte sono le specie, per lo più tropicali,  spesso velenose, che, lontano dai loro luoghi di origine, vivono un’esistenza difficile, rinchiusi negli interni delle abitazioni, sacrificando la loro esuberanza in angusti contenitori e temperature artificiali.

Fico

Ficus pumilia

Temperamento rampicante, il furbo Ficus pumilia non cresce bene in appartamento, perchè preferisce non farsi rinchiudere, anche se si adatta con estrema disinvoltura alle circostanze. Si abbarbica voracemente ai muri con tenaci radici avventizie e li ricopre di piccole foglie persistenti, aderendo alla superficie delle pietre con rampante caparbietà. Ma quando decide di fruttificare, cambia portamento. Si alza in piedi, su piccoli fusti eretti, le foglie diventano più larghe, più separate, pur rimanendo coriacee come legno, e allora sembra un arbusto vero, libero e indipendente. Qui i suoi rami sempreverdi si allungano verso le signorili finestre di un edificio residenziale decorato di motivi art nouveau, in via Francesco Pozzo, a Genova.

Fico

Ficus pumilia

I fichi sono verdi, tendenti al blu scuro e al nero quando sono maturi, e non sono, è noto, veri frutti, ma sorta di contenitori, detti siconi, che racchiudono tanti piccoli fiori, soggetti, negli esemplari femminili, a una complicata impollinazione entomofila.
Rampicante o eretto, il F.pumilia si incontra molto frequentemente nei giardini, ricercato, gradito o mal tollerato. Foglie e fusti contengono un liquido, un lattice piuttosto velenoso, o comunque irritante, mentre quelli che chiamiamo frutti non sono veramente tossici, seppure scarsamente appetibili.

Verde balcone

Asparagus sprengeri

Asparagus sprengeri

Un balcone fiorito in maggio è un esercizio quasi obbligatorio per chi ama le piante, e non è difficile da realizzare per chiunque abbia voglia di frequentare con assiduità qualche vivaio e non dimenticare le innaffiature. Ma una cascata di verde lussureggiante nel cuore dell’inverno cittadino colpisce l’immaginazione e fa correre  la fantasia a qualche nobildonna che con  attenzione e cura si preoccupa del rispetto delle tradizioni. Ma anche se non è così, certo è che queste piante non sono capitate e si sono mantenute qui così per caso.  La protagonista del primo balcone è un asparago ornamentale,  spesso chiamata asparagina, con i suoi lunghi fusti flessuosi, le minuscole foglie a squama e i piccoli e verdissimi cladodi, che sono rametti trasformati. Talvolta il verde si punteggia di bacche rosse arancio, e qualcuna occhieggia in mezzo alla cascata di rami, come si vede ingrandendo l’immagine (selezionandola con un click si apre in un’altra pagina) e osservando con attenzione. In questo luogo e in questo tempo, non si può davvero pretendere di più. Dove si trova di preciso questo balcone non lo so. L’ho fotografato fra piazza Santa Caterina della Rota e piazza de’ Ricci, forse lungo la via di Monserrato che le unisce.

Balcone fiorito

Nephrolepis cordifolia – Hedera helix – Trachelospermum jasminoides

Certa è invece la localizzazione del secondo balcone verdeggiante, immortalato sempre in un pomeriggio d’inverno, nella stessa zona. Siamo in piazza Farnese, che si raggiunge percorrendo fino in fondo quella stessa via di Monserrato, e questo edificio è dirimpetto all’immacolato  palazzo omonimo, che è sede dell’Ambasciata di Francia. Non so quanto nobile sia questa costruzione, che si fregia di reggere la targa del luogo, ma da nobili è circondato, ad angolo con il convento e la chiesa di Santa Brigida e con alla destra, oltre il vicolo dei Baullari, il palazzo del Gallo di Roccagiovane.  Fra le piante si riconoscono i cespi dalle lunghe fronde della felce Nephrolepis cordifolia, che spuntano a frange direttamente dal rizoma sotterraneo,  l’edera maculata (Hedera helix) dalle sfumature bianche, e perfino un falso gelsomino (Trachelospermum jasminoides) con le sue foglie persistenti e coriacee, e i fusti che si arrampicano sul muro. Ne avrà tempo per fiorire e inebriarci con i suoi effluvi più o meno gradevoli. Per ora verdeggia.
A quando un concorso per balconi lussureggianti nel cuore dell’inverno?

Paulownia, solitaria regina

Paulownia tomentosa
piazza della Chiesa Nuova

Gli alberi in città sono spesso individui solitari, condannati all’isolamento austero e talvolta negletto all’ombra di monumenti ed edifici che essi nobilitano con la loro discreta ed elegante presenza.

In questa piazza, nelle vicinanze di corso Vittorio Emanuele a Roma, magnificenza e bellezza non mancano, fra la chiesa di santa Maria in Vallicella, fatta edificare a metà del 16° secolo da San Filippo Neri e l’oratorio dei Filippini, in stile barocco, opera di circa cent’anni dopo dell’architetto Francesco Borromini.

Paulownia tomentosa

Paulownia tomentosa
d’inverno

La paulownia, a volte chiamata pawlonia o volgarmente paulonia, è un grande albero originario dell’Oriente, con ampie, larghissime foglie e straordinari fiori dal colore azzurro e lilla. Il  nome stesso suggerisce la sua natura aristocratica perché deriva da Anna Paulowna (o Pavlovna), la figlia dello zar di Russia Paolo I. Naturalmente fu battezzata così in onore dello sponsor, perché con la Russia non ha nulla a che fare, essendo originaria del Giappone e laggiù scoperta da Carl Thunberg, discepolo di Linneo.

Paulownia tomentosa

Paulownia tomentosa
frutti estivi

Pianta attraente, ma anche resiliente e tollerante dell’aria malsana delle metropoli, viene largamente utilizzata nel verde urbano. Scoprirne la fioritura in città è affascinante, ma questa purtroppo dura molto poco e questi che rimangono sugli invernali rami spogli sono i frutti, anzi gli involucri dei frutti, che già hanno rilasciato i semi. Scarno e nobile ornamento dell’inverno.
I vasti rami carichi lasciano immaginare quale macchia di verde generoso quest’albero sarà nella bella stagione, nella piazza inondata di sole.

 

Gigaro

Gigaro

Arum italicum
parco di Villa Serra Comago
Serrà Riccò (Genova)
gennaio 2009

Il gigaro è una calla selvatica, una piantaccia velenosa ed infestante con foglie a forma di freccia, di un bel verde intenso, spesso maculate di bianco.  Il mio giardino è costellato dei suoi tuberi, di ogni dimensione e profondità.  Ogni inverno mi impegno molto ad estirparli, scavando alla ricerca del rizoma senza grande successo; nella maggior parte dei casi strappo la foglia, e il suo gambo, senza riuscire a sradicare un bel niente. Così, a primavera, qualche fiore di gigaro spunta fuori, non privo di un fascino un po’ inquietante.

Gigaro Spadice e spata

Arum italicum
spadice e spata

I fiori veri e propri sono molto piccoli e crescono alla base di una colonna, detta spadice, di color giallo arancio parzialmente racchiusa in un cappuccio. Questo è la spata, la parte appariscente del fiore, lunga fino a 40 centimetri. La magia di questa composizione floreale sta nel fatto che certi insetti, principalmente ditteri, cioè mosche, vengono intrappolati alla base della spata e si riempiono di polline; più tardi sfuggono, permettendo così l’impollinazione incrociata quando resteranno intrappolati in un altro fiore. Maturano così i frutti, bacche disposte a spiga, prima verdi, poi rosso arancio.

Gigaro bacche

Arum italicum
bacche

 

E’ tutto velenoso. Le lucide foglie astate, le infiorescenze, i bianchi cappucci, e naturalmente le bacche. Ci mette in guardia Primo Boni1, che lo chiama anche pan di serpe, e non manca di indulgere in particolari abbastanza agghiaccianti sugli effetti dell’intossicazione, nel caso un ignaro bambino, tentato da forme e colori così seducenti, se ne metta in bocca qualche pezzetto.
Il gigaro cresce dappertutto e le sue foglie alla fine dell’autunno formano cespi lucenti nei giardinetti sui prati spogli.

Primo Boni, Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche, Edizioni Paoline, 1977