Le parole di strada crescono come le erbe selvatiche. Sono capitate lì per caso, per sfida o per gioco, caparbie nel difendere la propria posizione. Disordinate e insolenti, fastidiose, sguaiate, irreverenti. Noiose, spesso, anche se talvolta inaspettate, commuovono. Troppo pallone, troppa violenza, un po’ d’amore, tanta vernice, poca grammatica. Ci sono proclami e poesie, invettive e sarcasmo, buoni propositi e amore esagerato. Belle, ma per lo più brutte, le parole imbrattano i muri come le erbacce imbrattano le aiuole. Come l’erba cattiva, che poi così cattiva non è mai.
Il sole secca l’erba, la pioggia dilava le parole. Tornano sempre, libere come gatti randagi, aggrappate alle pareti, esposte alle intemperie e agli sguardi. Ogni tanto una mano di vernice, la falciatrice o la zappa, le sradica e le estirpa per un poco. Quanto dura? Ho visto scritte riemergere sotto una mano di pittura troppo sottile. Le erbacce, come è noto, non muoiono mai.
Stanno lì, al limitare del nostro percorso, all’altezza dei nostri occhi. Dovrebbe essere impossibile non vederle, non accorgersi di loro. Eppure, come i fiori di strada, sono ignorate e neglette. Disprezzate. Ci si passa sopra. Si guarda al di là, più lontano, verso gli orizzonti dei nostri inutili pensieri.
Eppure, come quei fiori spontanei che nella loro migliore stagione sono belli come quelli dei vivai, a volte le parole di strada sono doni al passante, briciole di luce, messaggi. Invenzioni. Citazioni. Ricordi d’infanzia. Sussurri. Sberleffi. Esagerazioni.