I giardini di piazza Vittorio

giardini di piazza Vittorio

giardini di piazza Vittorio

Piazza Vittorio Emanuele II è la più grande piazza di Roma. Però non si trova nelle guide della città perché non è proprio un’attrazione per turisti e in mezzo a tutte  le altre piazze famose, piazza San Pietro, piazza Navona, piazza di Spagna, piazza Trastevere e chi più ne ha più ne metta, parrebbe sfigurare. Ma anche piazza Vittorio ha una storia avvincente, che è la storia di tante vite. Situata nel cuore del quartiere Esquilino, negli ultimi decenni è diventata crogiolo di razze e crocevia di culture, cuore pulsante e luogo di aggregazione del rione più multietnico del centro, popolato da persone provenienti da ogni parte del mondo.

piazza Vittorio

giardini di piazza Vittorio

La piazza fu progettata dopo il 1870, nell’ambito dell’ambizioso piano di sviluppo urbanistico pensato per far diventare Roma degna del ruolo di capitale d’Italia. Il progetto prevedeva la costruzione di edifici di rappresentanza, uffici ed efficienti infrastrutture destinati alle nuove classi dirigenti. Al centro della piazza poi venne collocato un vasto giardino rettangolare, delimitato da una imponente cancellata, ideato dall’architetto Carlo Tenerani e inaugurato l’8 luglio 1888. Si trattava di un elegante giardino, concepito come un’oasi di verde dal gusto esotico e romantico, sviluppato in una serie di vialetti sinuosi con aiuole fiorite di rose, caprifogli, rare piante ornamentali, un laghetto di ninfee, una cascata e un piccolo ponte di legno.

Aesculus carnea

Palma e Aesculus carnea in fiore

Aesculus hippocastanum e la cancellata del parco

Vennero piantumati esemplari di platani, cedri del Libano,magnolie e palme, dono, queste ultime, della regina Margherita, alcuni ancora presenti nell’attuale giardino.

Strelitzia reginae

Strelitzia reginae davanti ai ruderi del cosiddetto Trofeo di Mario.

Nel 1900 la piazza ha ospitato un grande mercato di generi alimentari e non, che si allargava in una miriade di bancarelle lungo i portici che circondano la piazza, dove si poteva acquistare merce di ogni genere. La piazza allora conobbe un periodo di incuria e degrado, con la demolizione della cancellata nel 1937 e poi negli anni ‘70 con i lavori per la realizzazione della metropolitana.
Solo nel 2020 un nuovo progetto ha permesso il recupero del giardino ridisegnato con linguaggio contemporaneo, ma fedele al progetto originario, con la piantumazione di 42 nuovi alberi, 450 arbusti e piante da fiore provenienti da tutto il mondo.

Platanus × hispanica

Platanus × hispanica a fianco della Porta Magica o Alchemica

I giardini ospitano monumenti di interesse storico e archeologico come il Ninfeo di Alessandro Severo, conosciuto come Trofei di Mario, una fontana monumentale e castello di distribuzione dell’acqua (222-235 d.c.), la misteriosa Porta Magica o Alchemica, proveniente dalla seicentesca Villa Palombara, fiancheggiata da due divinità mostruose di età romana raffiguranti la divinità egizia Bes; il gruppo scultoreo di Mario Rutelli, bozzetto creato originariamente per la fontana delle Naiadi di piazza della Repubblica, comunemente noto come “Fritto misto” e raffigurante un groviglio di corpi e mostri marini; il Monumento ai Caduti della guerra 1915-1918 dei Rioni Esquilino, Viminale e Macao, progettato dall’architetto Guido Caraffa nel 1925 e realizzato da Enrico Brai.

scultura Rutelli

Gruppo scultoreo di Mario Rutelli, noto come ‘Fritto misto’.

Podocarpus nerifolia

A pochi passi dalla piazza, si incontrano gli esercizi commerciali più disparati, supermercati genuinamente cinesi e la più antica e famosa gelateria di Roma, il palazzo del Freddo di Giovanni Fassi in via Principe Eugenio. L’atmosfera del rione Esquilino, il suo carattere multietnico, inclusivo e resiliente è anche raccontato recenti opere cinematografiche, come il film documentario Piazza Vittorio del 2017 di Abel Ferrara e il film La città proibita di Gabriele Mainetti (2025). I giardini sono oggi intitolati a Nicola Callipari, il militare del SISMI ucciso in Iraq il 4 marzo 2005 durante la liberazione dal sequestro della giornalista Giuliana Sgrena e sono stati inseriti nel censimento dei “Luoghi del Cuore” del FAI come patrimonio meritevole di attenzione e cura.

Salvia microphylla

La cancellata del parco di piazza Vittorio Emanuele

La cancellata del parco

Aspidistra

Aspidistra eliator

Aspidistra eliator
via IV Novembre 5, Genova

E’ stato grazie al romanzo di George Orwell “Keep the Aspidistra Flying” (tradotto in italiano come ‘Fiorirà l’aspidistra’) che un bel giorno mi sono cominciata a guardare intorno e mi sono accorta che davvero queste piante sono un po’ dappertutto, in città e negli androni dei palazzi, nei parchi, ma anche negli appartamenti. Una pianta modesta e terribilmente resistente, da meritarsi in inglese il nome di “Iron plant”, pianta di ferro, che in italiano è diventato ghisa o piombo e, oltre alla proverbiale resistenza, ci fa pensare al colore delle larghe foglie, quel verde così scuro e brillante che pare lucidato. Proprio per la loro eccezionale resistenza a condizioni inclementi, la bassa temperatura (resistono egregiamente fino a -15° C), la scarsa illuminazione e l’aria malsana di piccoli ambienti riscaldati con stufe a carbone, le aspidistre erano e sono assai comuni nelle gelide, buie e fumose dimore della piccola borghesia inglese, dove, come descrive Orwell, trascorrono un’esistenza languente e malaticcia dentro piccoli vasi verniciati di verde vetroso.

Aspidistra eliator

Aspidistra elatior
Orto botanico di Padova

Ma certamente l’Aspidistra merita molta più considerazione. Il genere, della famiglia delle Asparagaceae, è assai complesso dal punto di vista morfologico, con una ricchezza di forme e di specie molto interessante per i collezionisti.
La specie più comune, quella per cui è così famosa, è Aspidistra eliator, una pianta rizomatosa con grandi foglie radicali persistenti che nascono su lunghi piccioli direttamente dal terreno e che si può facilmente moltiplicare per divisione dei cespi in primavera. Originaria delle foreste sud est asiatico, in alcune regioni italiane è addirittura naturalizzata come alloctona casuale. La sua diffusione nelle case borghesi un po’ all’antica le ha meritato la fama di pianta noiosa e fuori moda. Ma ciò che la rende splendida è il fatto che sopravvive nelle più ingrate condizioni, proprio in quegli ambienti dove non potrebbe crescere nient’altro. Sempre conserva il suo aspetto presentabile e rispettabile, e talvolta, seppur raramente, alla base sbocciano piccoli fiori rosa e crema, quasi nascosti dall’ampio fogliame.
Ho incontrato la pianta della fotografia in alto presso l’ingresso del Museo dei Cappuccini (via IV Novembre,5) in pieno centro di Genova, placida e rigogliosa nel suo vaso abbandonato in mezzo al selciato. Più sorprendente il viale di Aspidistre che mi ha accolto in un vialetto laterale del magnifico orto botanico di Padova, spesse e ondeggianti come il flusso oscuro di un torrente che scorre sui bordi del cammino.

Erbe sotto la pioggia

Ormai è tempo, la primavera è qui, a un passo. E, ovviamente, piove. Quando il sole fa capolino è anche troppo caldo, ma si ferma poco. Già tuona di nuovo.  La strada è bagnata, la terra è bagnata, sul bordo della crêuza  (via Livello, Bavari) tutte le erbe sono bagnate, più verdi del verde. La prima che incontro è una piccola erba medica, con una macchia nera sulle foglie, e poi due veroniche, un aglio, un’euforbia, la cicoria che già prepara fiori, il lamio macchiato, il becco di gru, chiunque può aggiungere la sua, se guarda, cerca e osserva ai lati del suo cammino. Eccole qui, per questa volta cambio formato e  i commenti sono nelle didascalie.

Medicago arabica è una piccola erba medica, con una macchia nera al centro delle foglioline. Anche se non è pregiata, sarà certamente gradita a qualche erbivoro e roditore.

Veronica persica è la più sfacciata delle veroniche, viene dalla Persia ed è arrivata da poco, diventando in poco tempo un’infestante, a tratti addirittura invasiva. Ma a quelle luminose corolle azzurre si perdonerebbe tutto.

Veronica cymbalaria è un’erbetta quasi strisciante che si insinua nelle crepe e si allarga sulla terra e sul selciato, sottile, tenace, instancabile.

Allium neapolitanum  è uno dei più comuni agli selvatici, che sboccia sui bordi delle strade e li illumina per qualche settimana del suo bianco smagliante. Erba preziosa, come tutti gli agli.

Euphorbia helioscopia è un’erba cattiva, come tutto il suo genere e un po’ tutta la famiglia. Se la spezzi, sanguina un lattice bianco e irritante. Ma le sue infiorescenze hanno un fascino arcano, un’attraente singolarità. Questa specie piuttosto diffusa, fiorita in tutte le stagioni, l’avevo chiamata erroneamente E.flavicoma nel vecchio post dell’11 maggio 2008.

Cichorium intybus non perde tempo e già prepara i fiori; e chi voleva le sue gustose foglie è arrivato tardi.

Lamium maculatum è inconfondibile con le sue striature pallide al centro delle foglie e ha fatto tanto parlare di sè in questo blog, come falsa ortica, ma anche come titolare di una grande e importante famiglia, quelle delle lamiaceae.

Erodium malacoides, becco di gru malvaceo, è un fratello del geranio, un po’ misconosciuto, un’erbetta caparbia e tenace con semi a spirale e fiorellini rosa, grande colonizzatrice degli angoli urbani.

Avocado

Avocado Persea americana

Persea americana

Un grande albero dal fogliame verde scuro, lucido, certamente persistente, se ne sta quasi in disparte in mezzo ai palazzoni del centro, fra un’autorimessa e il mercatino dell’usato in viale Sauli dietro via San Vincenzo. Mi avvicino incuriosita, mi stupisco, guardo meglio. E’ un albero di avocado (Persea americana) e ormai non mi stupisco più di tanto, perché non è la prima volta che lo scopro come protagonista dell’arredo urbano.

Persea americana

Persea americana
foglie dell’esemplare in viale Sauli

Già ne avevo incontrato uno nel giardinetto della scuola materna di santa Zita, un edificio che porta ancora in bella vista sulla facciata l’antica denominazione “Asilo infantile di Borgo Pila”. Proprio lì, dietro i giochi per bambini, nello scorso autunno, mi ero avvicinata sorpresa a quell’albero verdeggiante e sconosciuto. Il suo verde era più tenero di questo, forse a causa della stagione, forse a causa dell’età. Ma le foglie sono molto simili, ovali, robuste, lunghe fino a più di 20 centimetri.

Persea americana

Persea americana
foglie dell’esemplare nell’asilo borgo Pila

Avocado Santa Zita

Persea americana
asilo di Borgo Pila

In realtà mi sembra che il principale interesse per la pianta di avocado, originaria del Messico meridionale e diffusa in tutta la zona subtropicale, siano i suoi frutti commestibili, la cui polpa ha una golosa consistenza burrosa e viene impiegata sia come antipasto che nelle insalate miste.

Invece questi due esemplari sono piuttosto alberi da arredo urbano, anche perché, pur se il clima consentisse, non sarebbero adatti, in quelle posizioni, per la produzione alimentare. A volte vorrei poter interpellare un albero, chiedergli se è tollerabile per lui vivere lì dove lo hanno piazzato, se ha nostalgia di casa, se rimpiange la foresta, e magari anche che cosa pensa degli uomini.  E’ difficile per qualsiasi albero di città essere felice, quasi tutti creature perdute come ‘bambini di strada‘, ancora di più, credo, per queste grandi piante tropicali, equipaggiate per altri cieli e altre arie. Ma queste piante sembrano così maestose e soddisfatte che chissà, magari chiedendoglielo, si potrebbe avere qualche sorpresa.

Trachelio cittadino

Trachelium caeruleum

Il trachelio azzurro ha invaso le città. Non è la sua stagione, ma oggi ne ho scovato un piccolo germoglio, verde sgargiante, sul bordo di un aiuola, corso Dogali, nella zona dell’ Orto botanico. Là dove mi aspettavo solo qualche erbaccia, euforbie minori e parietarie, mi sorprende questo mazzetto di foglie sconosciuto, e quando scopro chi è, mi vengono in mente tutte le volte che l’avevo incontrato, a primavera, su qualche muro di città, proprio in questa zona. Questo trachelio in natura è classificata come neofita naturalizzata, invasiva in Calabria, e il suo nome comune sarebbe ‘trachelio coltivato’ quasi a significarne l’origine da qualche giardino.

Trachelium caeruleum
Corvetto – maggio 2022

Ho notato per la prima volta i suoi fiori rosa violetti, rigogliosi corimbi portati da snelli steli, due anni fa in piazza Corvetto, poco prima dell’ingresso della galleria Nino Bixio. Adesso quel muro dove li avevo scoperti è ingombrato da ponteggi e reticoli per lavori di ristrutturazione dell’area, cominciati poco dopo la mia foto e dei quali ancora non si vede la fine. Purtroppo per ora il trachelio non tornerà ad ornare della sua modesta bellezza quel muraglione.

Trachelium caeruleum

Trachelium caeruleum
maggio 2022 – scalinata Albergo dei poveri

E forse non tornerà neppure lungo la scalinata che sale dalla cima di via Brignole De Ferrari all’Albergo dei Poveri  dove, sempre nello stesso maggio 2022, cresceva spavaldo, contendendosi lo spazio con la valeriana rossa (Centranthus ruber) e qualche margherita da muro (Erigeron karvinskianus). Audace clandestino, i suoi mazzi di corolle disseminati fra reti e transenne facevano una bellissima figura.
Ma i germogli ci sono, e lo aspetteremo a primavera, a sorprenderci ancora su qualche muro negletto o all’angolo di un marciapiede, questa piantina facile facile, di poche pretese e eppure generosa di fiori sfavillanti.

Callistemon, l’albero dai begli stami

Callistemon Melaleuca viminalis

Melaleuca viminalis

Callistemon, che viene talvolta addirittura volgarizzato in callistemone, era il nome assegnato a un genere di piante tutte australiane i cui fiori hanno una forma singolare che ricorda le spazzole per bottiglie. Tuttavia, fin dall’inizio della storia delle classificazioni, il genere Callistemon è stato riconosciuto molto vicino al genere Melaleuca, anche questo australiano, tanto che ormai la maggior parte dei callistemoni sono attribuiti al genere Melaleuca (tranne, pare, tre o quattro irriducibili, ma è roba da specialisti). Però il nome originale, dal greco ‘kalos‘, che significa ‘bello’ e ‘stemon‘, cioè ‘stami’,  era più giustificato per descrivere questi singolarissimi fiori, che non hanno petali, ma una raggiera di stami, color rosso acceso, vagamente cangianti, che sporgono come setole, creando appunto la forma di scovolino. La sua bella fioritura prosegue fino ad autunno inoltrato e poi rimangono gruppi di bacche incastonate nel legno, in una forma che ricorda una pannocchia o una pigna, ma appressata al ramo (vedi qui).

Avevo conosciuto questo alberello sulla Coronado beach (spiaggia del Coronado) a San Diego in California, nel 2001. Pensavo di non averlo mai visto prima. Più probabilmente non l’avevo mai notato. O forse a quel tempo non era ancora così di moda dalle nostre parti, non quanto adesso che lo si incontra molto frequentemente nei giardini e nelle aiuole, specialmente vicino al mare. Così il “bottle brush”, come lo chiamano ovviamente gli americani, è rimasto nella mia immaginazione come una pianta vagamente esotica, il che certamente è, dato che viene da così lontano. Però ormai la sua diffusione come pianta ornamentale urbana lo ha fatto diventare uno di famiglia.

Portulaca fiorita

Portulaca oleracea

Portulaca oleracea

E’ estate e la portulaca è fiorita. Sul bordo del selciato in un viuzza che porta alla spiaggia di Sori, brilla sotto il sole a picco, fra le pietre ordinate e una grondaia di latta e plastica, lei così precisa ed esuberante, risplendente di corolle gialle. Cresce sul bordo dell’asfalto, fra il cemento e i mattoni, negli angoli dei marciapiedi e fra la spazzatura, indomabile infestante, grassoccia, morbida, appetitosa, classificata come criptogenica, cioè un’aliena, forse chissà, venuta da non si sa dove e non si sa quando. Ma lei è qui e non si può evitare di incontrarla con i suoi fusti rossicci e le sue foglioline lucide.

Portulaca oleracea

Portulaca oleracea

Ha conosciuto anche la gloria della coltivazione, e la nascita di una specie addomesticata, Portulaca sativa, da consumare in insalata o lessa. La famiglia è piuttosto esclusiva, portulacaceae, e fra i nomi volgari si trova erba porcellana, sportellacchia, erba da porci. Viene indicata spesso come cibo da maiali, mentre non a tutti gli umani è ugualmente gradita perché ‘mucillaginosa’. Io, confesso, non l’ho mai assaggiata veramente, masticate alcune foglie, sì, ma senza sincera intenzione. Ma il mio mentore per quanto riguarda le erbe selvatiche, Primo Boni, ne è addirittura invaghito.
“Se impariamo a conoscere quest’erba, dice, non la tratteremo più da intrusa, ma la desidereremo decisamente più infestante.”(1)
Per consumarla, occorrerebbe sceglierla un po’ più lontana dal catrame e dalla sporcizia, dagli scappamenti e dalla spazzatura. Per adesso mi limito ad ammirarla e a salutare la sua sorridente fioritura.

(1)Primo Boni – Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche – Ed.Paoline 1977 pg.77.

L’Amazzonia di Crevari

Sant'Eugenio di Crevari

Panorama verso il mare con la chiesa di Sant’Eugenio di Crevari

Crevari è un piccolo borgo elevato sopra la spiaggia di Voltri, nell’estremo ponente genovese, rinomato non solo per lo straordinario panorama, ma anche per le focaccette, deliziose frittelle di farina e patate, e per il presepe meccanizzato che viene allestito nel periodo natalizio vicino alla chiesa parrocchiale di Sant’Eugenio.
Salendo dal mare lungo la via Antica Romana, cioè la via Aurelia, si stacca quasi subito una piccola strada, via alla Soria, che costeggia un microscopico corso d’acqua e, lasciandosi indietro l’ingombrante presenza dell’autostrada A12 che sfreccia verso Arenzano e Savona, ci si trova ben presto immersi nella foresta. Lungo il torrentello, sotto i lecci, ornielli, ligustri, ontani e ombrelli di sambuco nero, l’aria è umida e spessa in un inizio d’estate che ci fa sentire quasi ai tropici.

Amazzonia Crevari

Il bosco di via alla Sora

Le sponde del ruscello sono ornate di edere e muschi, ma sono le felci a far da padrone, con un ampio cespuglio di Asplenium trichomanes che non ricordo di aver mai incontrato così lussureggiante. Le specie autoctone si alternano a nuovi arrivati, perfettamente a loro agio e rigogliosi, come Ligustrum japonicum, un’asiatica sempre più frequente nei boschetti suburbani.

Asplenium trichomanes

Asplenium trichomanes

La strada raggiunge ben presto le case Porcelletta, una piccola frazione di una decina di edifici, con orti e giardini un po’ selvatici che hanno contribuito ad arricchire il paesaggio di specie sfuggite alla coltivazione, cespi di ortensie blu in mezzo al bosco, tralci di cucurbitacee non identificate, belle di notte (Mirabilis jalapa),  iris e calle (Zantedeschia aethiopica) in mezzo all’erba dei prati.

Adiantum capillus-venerisBegonia grandis

Adiantum capillus-veneris
Begonia grandis

In basso serpeggia il rio e, fra i sassi e muschi, una piccola cascata forma un laghetto all’apparenza abbastanza limpido, ornato di capelvenere (Adiantum capillus-veneris) e begonia (Begonia grandis) come fosse un raffinato ninfeo dei palazzi dei Rolli.

Proseguo la strada più in alto e l’atmosfera tropicale si allontana. Scopro mirabili frammenti di primavera temperata, fiori interessanti, come la Jasione montana, un piumino azzurro della famiglia delle campanule che avevo incontrato per la prima volta sulle sponde del mar Baltico,  e la Blackstonia perfoliata, un grazioso fiore giallo della raffinatissima famiglia delle genziane, che deve il suo nome generico a un oscuro, anche se nobilissimo, farmacista e botanico inglese del diciottesimo secolo, John Blackstone, mentre il nome della specie descrive come le sue piccole foglioline grigio argentate abbracciano completamente il fusto.

Jasione montana

Jasione montana

Blackstonia perfoliata

Blackstonia perfoliata

Dopo un largo giro, sempre in prossimità di altre abitazioni e lungo tracciati più o meno carrabili, incontro il più grande albero di corbezzolo (Arbutus unedo) che abbia mai visto. Il tronco è veramente massiccio, quasi come quello di un albero monumentale, e le foglie incredibilmente piccole rispetto a quelle di un suo congenere di dimensioni normali; ma i tondi frutti bitorzoluti, benché ancora piccoli e verdi, non lasciano dubbio sulla sua identità.

Scendendo verso  la chiesa di Crevari, lungo l’antica mulattiera bordata da una distesa di pennacchi argentei di Trifolium arvensis, fa capolino un germoglio di giuggiolo (Ziziphus jujuba), albero tradizionale, dalla crescita lenta. Questo esemplare, abbandonato fra le pietre del selciato è ancora così piccino che  mi domando se in quella posizione diventerà mai abbastanza grande da maturare dei frutti.

 

Arbutus unedo

Arbutus unedo

Trifolium arvensis

Trifolium arvensis

 

Ziziphus jujuba

Ziziphus jujuba

Amazzonia di Crevari

Acanthus mollis
Carex pendula
Cyrtomium falcatum

Alla fine sono tornata sulle sponde del minuscolo rigagnolo dell’andata e la riva è ancora rigogliosa e densa di piante lussureggianti. Fra i robusti cespi di acanto (Acanthus mollis) già pronti per la gloriosa fioritura e folti ciuffi di carice (Carex pendula), fa capolino la lunga foglia sinuosa dell’elegante felce Cyrtomium falcatum, anche lei un’esotica naturalizzata.

Piazza Roma, Chiavari

piazza RomaJacaranda mimosifolia

Jacaranda mimosifolia

Una delle più grandi piazze di Chiavari, cittadina del Levante ligure, in giugno si colora di Sicilia, perché la vegetazione di cui si è ornata sembra competere con quella delle più lussureggianti strade di Palermo. Piazza Roma è ampia, di forma rettangolare, bordata di edifici con larghi portici e di vaste aiuole alberate. Brilla l’azzurro violetto della Jacaranda mimosifolia, una bignoniacea  subtropicale che non è così facile incontrare in Liguria. Gli alberi sono ancora piccoli a confronto con i loro fratelli del Sud, ma il colore è ancora più affascinante.

piazza RomaBrachychiton acerifolius

Brachychiton acerifolius

Poi basta attraversare la piazza con un po’ di attenzione per accorgersi che la Jacaranda non è che una delle bellezze in mostra.

Snello e rosseggiante, Brachychiton acerifolius una malvacea di origine australiana, ha larghe foglie palmate verde brillanti e fiori di un colore così intenso che gli hanno meritato il nome di albero fiamma. Una fiammata è la sua fioritura di giugno in una bella giornata di sole dello scorso anno. Quest’anno il sole si fa desiderare, ma non dubito che il Brachychiton  già sfoggi con orgoglio i suoi fiori purpurei.

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba

Ecco una vecchia conoscenza, il Ginkgo biloba,  albero immortale e fossile vivente, protagonista di molte leggende. Si dice per esempio che fosse reputato estinto,  per poi ricomparire quasi miracolosamente per opera di monaci buddisti. Effettivamente sembra che questa pianta abbia una grande capacità di risorgere da morte apparente, come è capitato ad alcuni di esemplari dopo l’esplosione atomica di Hiroshima, ma anche all’albero dell’orto botanico di Lucca più semplicemente colpito da un fulmine, una storia che ho già raccontato.

piazza RomaGinkgo biloba

Ginkgo biloba

Gli alberi di Gingko di piazza Roma sono imponenti, nobili di portamento e dal dolce fogliame, attraente anche nella stagione verde e certamente ammaliante quando le sue foglie bilobate diventeranno vivido giallo.

Cycas revoluta

Cycas revoluta
Jacaranda mimosifolia

Fra i complementi di arredo di una piazza così elegante non potevano mancare alcune massicce cycas, piante amatissime o talvolta odiate, a seconda dei gusti. Le cycas sono oggi più diffuse di qualche tempo fa perché recentemente, e in modo apparentemente inaspettato, gli esemplari maschili, un tempo piuttosto rari e indispensabili alla moltiplicazione, hanno cominciato a comparire sempre più numerosi, fecondando abbondantemente le femmine e rendendo queste piante più comuni e assai meno pregiate(1).

Schinus_molle

Schinus molle

Varie altre essenze completano il corredo, come l’elegante Schinus molle, il cosiddetto pepe rosa. Questa specie di Schinus è comune nei nostri giardini e le sue bacche, dapprima verdi poi sempre più viranti al rosso quando maturano, hanno un aroma affine a quello del pepe nero (che è una pianta assai diversa). La famiglia è quella delle Anacardiaceae, come il pistacchio, lentisco e terebinto. E come il pepe rosa brasiliano, un altro Schinus, ma non proprio comune, neppure a Chiavari.

(1) Agostino Muratori  – Collezione di spine Bompiani 2021, pag. 114