Le erbacce di Roma

Erbacce Allium

Shefflera heptaphylla
Allium triquetrum

Un giorno di nebbiosa primavera provo a contare le erbacce della strada, ed ecco che la strada, disordinata e lussureggiante, già offre materia per un piccolo erbario. All’ingresso di una bottega, oggi, ma chissà da quanto tempo, sprangata da una saracinesca, qualcuno ha collocato un massiccio vaso di cemento che accoglie una rigogliosa ed esotica Shefflera heptaphylla.

Allium_triquetrum

Allium triquetrum

Ma non è lei che mi interessa perché, al di là dello scarno verde da arredo urbano, quelle che cerco sempre sono le piante che vivono ai margini, che colonizzano i brandelli di terra morbida intrufolata fra le pietre e l’asfalto.

Erbacce

Allium triquetrum
Urtica urens

Proprio sul cammino di chi dentro questo negozio si apprestasse ad entrare fiorisce, sfrontato e delicatissimo, l’aglio triquetro (Allium triquetrum), con le sue graziose e timide campanelle.
Continua la sua fioritura lungo tutto il marciapiede di via Leopoldo Ruspoli, immerso fra rigogliose ortiche. Una delle specie più diffuse, l’ortica minore (Urtica urens) ha foglie leggermente più piccole delle altre, sempre verdissime nella primavera, e fusti più corti.

Erbacce Capsella

Capsella bursa-pastoris

Poco lontano, ai margini del marciapiede e ai piedi di qualsiasi paletto, cresce a cespi l’immancabile borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris), minuscola e coraggiosa pianticella, già fiorita e carica di frutti, le microscopiche siliquette a forma di cuore. Tutte erbacce, piante modeste, quasi invisibili, tutte piante alimurgiche e officinali, utili e benedette da una tradizione che le piante onorava e rispettava.

Antirrhinum majus

Antirrhinum majus

Forse coltivata, ma certamente a suo agio, la bocca di leone (Antirrhinum majus) spenzola le sue corolle sgargianti e lascive da un muretto privato. Un colore sfrontato, incurante della sporcizia che la circonda, ma non la sfiora. Pianta selvaggia e nobile, anche lei tiene strette le sue antiche proprietà medicinali.

Malva multiflora

Malva multiflora

Ora mi getto in un viuzza stretta, vicolo della Serpe; è a senso unico, ma non per questo meno trafficato e devo fare attenzione alle auto che sbucano sgommando da dietro la curva. Questa strada costeggia un grande parco di lecci, protetto da alti muri e credo abbastanza inaccessibile. Non si tratta di un parco privato, ma di un’area comunale dove trovano posto edifici di pubblica utilità, un presidio medico della Croce rossa e un altro adibito a ambulatorio SERT. Tuttavia non so se sia così facile entrare per chi volesse semplicemente godere di un po’ d’ombra.

Allium neapolitanum

Allium neapolitanum

Al margine del bosco fiorisce la malva, alta e brillante, quella che una volta si chiamava  Lavatera, oggi Malva multiflora. Le sue corolle soavemente rosate sono quasi commoventi; ma le ampie foglie palmate non lasciano dubbi sul vigore della pianta.

Alliaria petiolata

Alliaria petiolata

Ai suoi piedi cresce un altro aglio selvatico, assai comune, Allium neapolitanum, una specie diffusa soprattutto al Sud, come suggerisce il nome, ma ormai di casa ovunque in Italia. Dell’aglio invece condivide soltanto il profumo, e a questo deve il suo nome,  l’alliaria comune (Alliaria petiolata), una brassicacea (famiglia del cavolo e della rucola) assai diffusa negli incolti, dai timidi fiori bianchi.
Poco più in là incontro vecchie conoscenze, il caglio attaccavesti (Galium aparine), dalla sottili foglie appicicose, e il geranio purpureo (Geranium purpureum), dai minuti fiori rosati.

Erbacce

Galium aparine

Quest’ultimo è un geranio propriamente detto, a differenza della schiera di gerani da balcone che appartengono al genere Pelargonium.

Geraneum purpureum

Geranium purpureum

Ma proprio come i gerani da balcone, questo piccolo loro cugino ha la stessa proprietà di fiorire con costanza ininterrotta da marzo a novembre e talvolta anche di più. Piccole corolle instancabili si accendono senza sosta ai bordi delle strade e dei campi.

Carduus pycnocephalus

Su bordo del muraglione lungo la via Portuense si allunga insidioso e ruvido il cardo saettone (Carduus pycnocephalus), anche lui dominatore delle strade e degli incolti, con i suoi densi capolini rosa acceso e le lunghe foglie affusolate adorne di aguzze spine. Lo guardo senza avvicinarmi troppo, è lurido e infido, eppure anche lui, un tempo, era un’erba buona.

Kalanchoe, una nuova arrampicatrice

Kalanchoe

Kalanchoe daigremontiana
via Lunati, luglio 2023

Kalanchoe daigermontiana

Kalanchoe daigremontiana
via Lunati, marzo 2024

La Kalanchoe del Madagascar (Kalanchoe dagremontiana) è una rampante colonizzatrice e si prepara alla conquista delle città. Ho già raccontato le gesta di questa pianta straordinaria in varie occasioni, dal giorno in cui l’ho incontrata per la prima volta, fino a quando ho cominciato a sperimentare la sua incredibile vitalità, ritrovandola a crescere e fiorire in ogni vasetto e ogni buchetto in cui capitava uno dei suoi magici propaguli.

Kalanchoe daigremontiana

Kalanchoe daigremontiana
dietro il vetro della serra

E’ un’infestante sfacciata e incorreggibile la cui capacità di riprodursi ed espandersi con facilità è davvero sorprendente. Ha lasciato stupefatta una mia amica che l’ha scovata, eretta e meravigliosamente in fiore vicino a un cactus malaticcio, in un vaso senza terra, lei che con le piante, confessa, non ha mai avuto arte.
L’unica cosa di cui questa Kalanchoe ha bisogno è un clima sufficientemente mite. Ed è così che negli ultimi anni, forse complice l’aumento della temperatura media delle città, la scopro a crescere e fiorire negli anfratti dei muri, negli angoli dei marcapiani, fra piastrelle e cemento.  In questo palazzo di via Giuseppe Lunati, zona via Portuense a Roma, già quest’estate a luglio ne avevo adocchiato un robusto germoglio spenzolare fuori da un terrazzino, con tutte le fogliette già attrezzate con le loro cartucciere di propagoli. Non si è fatta pregare ed è cresciuta in altezza e bellezza, ornandosi di mazzi di campanule rosse. Ed ecco che, senza alcuna spesa, una grigia facciata si veste di colore. Certamente prima o poi qualche solerte abitante si preoccuperà di estirparla, ma non credo se ne libererà facilmente, perché la Kalanchoe non guarda in faccia a nessuno per prosperare rigogliosa e indomabile.

Da sempre sboccia inaspettata nella mia serra, spuntando da un buco dell’impiantito o in qualche vaso, una pianta negletta eppure felice, accanto a tante altre che sempre hanno bisogno di attenzioni e cure per dare assai meno di lei.

Il bosco di Parco Ruspoli

Eucalyptus globulus parco Ruspoli

Eucalyptus globulus

Anche se il parco Ruspoli in realtà non esiste, gli alberi ci sono. Anzi c’è un bosco. Lecci e allori, soprattutto, ma lungo via Cruciani Alibrandi crescono anche alcune massicce piante di eucalipto e gruppi di olmo comune. Come è noto, l’eucalipto è un’essenza australiana che fu importata all’inizio del ventesimo secolo nelle regioni costiere della penisola per la  capacità di assorbire in maniera cospicua acqua dal terreno e quindi probabilmente contribuire ad asciugare le paludi infestate dalla zanzara della malaria. Belli e maestosi, questi alberi si sono naturalizzati, ma conservano un’aura di esoticità, nobili e goffi insieme, come tutti i diversi.
Più snelli, anche se di dimensioni rispettabili, gli olmi sono alberi indigeni, campestri. L’aggettivo minor che identifica la specie più comune non si riferisce alle proporzioni della pianta, ma piuttosto alle dimensioni delle foglie rispetto a quelle di altri olmi. Incontrare l’olmo, in questa giungla disordinata e sudicia, mi rincuora un pochino, come quando si distingue un volto noto in una folla anonima e vagamente ostile.

Ulmus minor

Ulmus minor

Naturalmente poi c’è il sottobosco, arbusti minori, erbacce, sterpaglie, e le rampicanti che si avvinghiano agli alberi coraggiosi. Poco distante dall’invasione dell’ipomea di cui ho già parlato,  ecco un’altra straniera che sta velocemente colonizzando ogni anfratto dove trovi appiglio per abbarbicarsi. E’ Araujia sericifera, una sempreverde originaria del Sud America che si è diffusa dai giardini all’ambiente, prima nelle regioni del nostro Sud, ma ormai quasi dappertutto per la penisola e si incontra molto frequentemente inselvatichita. Velenosa, ricca di lattice bianco, a primavera sfoggia morbidi fiori rosati, che la rendono attraente e per questo può essere scelta per ricoprire i muri. Salvo poi immancabilmente pentirsene quando la si ritrovi dappertutto.

Pianta della seta - Araujia sericifera

Araujia sericifera

Qui si distingue per le foglie, verdissime e tenaci, e, a fioritura ormai finita, i suoi tralci sostengono curiosi frutti in forma di follicoli globosi, che contengono numerosi semi avvolti nella bambagia.
Da noi è conosciuta come pianta della seta, proprio a causa del piumaggio dei semi, che gli ha meritato anche un altro nome comune, quello di falso kapok. In inglese ha nomi meno poetici, come ‘moth plant’ o pianta delle falene, o addirittura ‘moth catcher plant’, pianta attira falene. Si suppone infatti che questa pianta venga impollinata dalle falene e proprio l’esistenza di differenti impollinatori, attivi in diverse ore del giorno, potrebbe essere una spiegazione del successo riproduttivo di questa specie, ormai conosciuta in tutto il mondo come liana tropicale invasiva. Viene anche detta ‘cruel vine’, liana crudele, ma in questo caso probabilmente a causa della sua tossicità, con l’aggravante delle allergie che può provocare.
Qui se ne sta tranquilla e in disparte, ma certamente sa difendere i suoi spazi.

Municipio XI

Acero - Municipio XI

Acer campestre

Continuo il mio vagabondaggio nella città trasandata, zona Portuense, Municipio XI, fra sterpi e buche, facendo attenzione a dove poggio le scarpe, alla ricerca di tracce di storia e natura. Ce ne sono dappertutto, solo molto ben camuffate, sepolte fra gli avanzi di un’umanità invadente e disordinata.
Da piazza Filippo Andrea Doria Pamphili, principe antifascista e sindaco di Roma dopo la liberazione dal 1944 al 1946, imbocco via Enrico Cruciani Alibrandi, che fu anch’egli sindaco di Roma, ma molti anni prima. Siamo  nella prima periferia, fra il quartiere della Magliana e i grandi ospedali Forlanini e Spallanzani, chi ha buone gambe in un’oretta arriva a Trastetevere.

Graminacea - Municipio XI

Graminacea da strada

Le aiuole, ritagli di terra inaridita strappati all’asfissia dell’asfalto, ospitano magri aceri campestri, che spesso cedono spazio a erbe dai lunghi steli e fiori con corolle variopinte. Le sottili spighe cariche di semi immaturi di una graminacea, forse un tipo di miglio selvatico, brillano al sole più dei cerchioni delle auto, e quasi intralciano il passo. In altre aiuole, ormai vuote di alberi, le belle di notte (Mirabilis jalapa) fanno immaginare i colori che sfoggeranno nel pomeriggio.

Mirabilis jalapa

Mirabilis jalapa

D’improvviso, al di là di un alto recinto che delimita un grande prato incolto, oltre i ciuffi allampanati delle canne (Arundo donax),  mi sorprende una cascata azzurra di ipomea (Ipomoea indica), neofita naturalizzata, spesso invasiva. L’ipomea qui ha colonizzato tutto e sovrasta le erbe giallastre dell’abbandono, supera la recinzione, adorna pali stradali e auto.

Ipomea

Ipomoea indica
in via Enrico Cruciani Alibrandi

Tutti questi spazi verdi abbandonati, a destra e sinistra di via Cruciani Alibrandi, raccontano una storia antica e recente di degrado e disinteresse. Questa zona era compresa in un progetto di riqualificazione del verde urbano, con area giochi e posti per le auto, denominato Parco Ruspoli, perseguito con grande impegno, ma oggi apparentemente disatteso e dimenticato. Il fallimento è legato alla pressione degli speculatori che da sempre governano ogni metro quadro della città. Nel frattempo qualcuno gestisce un parcheggio abusivo, mentre alcuni proprietari hanno deciso di acquistare direttamente le aree per realizzare in autonomia i parcheggi privati di cui avevano necessità.

via Alibrandi

Ipomea indica

 

Io seguo la recinzione sulla destra di via Alibrandi verso via Anselmo Ciappi.

via Anselmo Ciappi

via Anselmo Ciappi

Oltre la rete, qui cresce un bosco di allori e ai suoi piedi spuntano le snelle foglie di iris, chissà se a primavera qualcuno fiorirà. Su un vecchio legno di sostegno, un solerte artigiano ‘italiano’ promuove la sua attività. Più avanti, verso via dei Grottoni e il quartiere della Magliana, è ancora vivo e sostenuto dalla mobilitazione pubblica il progetto Parco della Gioia , un parco urbano inclusivo a energia rinnovabile, con possibile sviluppo storico-archeologico. Le idee e le energie non mancano, ma gli ostacoli sono sempre gli stessi.

Ailanto - Municipio XI

Ailanthus altissima

Ora torno sui miei passi, di nuovo su via Alibrandi, alla ricerca di un passaggio che dovrebbe portarmi a un supermercato di quartiere, e da lì alla parallela via Francesco Pallavicini (anche lui, per la storia, fu sindaco di Roma).

Raggiungo così una vasta costruzione di cemento, dove il verde sembra scomparso, o soffocato, da scale, terrapieni e parcheggi, tutto livido e incolore, salvo i segni cupamente variopinti di qualche writer di periferia. E salvo l’immancabile boschetto di ailanti, quelli se la cavano dappertutto.

Eppure qualche velata intenzione di trovare un posto per le piante anche in questa squallida struttura ci deve essere stata, dato che qua e là spuntano degli alloggiamenti rettangolari di una certa profondità che potrebbero assomigliare a delle aiuole.
Là dentro, sulla  terra polverosa e disfatta, al principio distinguo solo i ciuffi di amaranto verde, fra sterpi secchi di dubbia identificazione. Ma c’è dell’altro, ortiche, parietaria, geranio, grespino, e un’intera distesa verdissima di un tipo di caglio, che identifico con Galium verrucosum. Sorrido un poco pensando alla primavera, quando il geranio mostrerà spavaldo le sue minuscole corolle rosa e il caglio aprirà una miriade di stelline bianche in mezzo alla spazzatura.

Amaranto - Municipio XI

Amaranthus deflexus

Galium - Municipio XI

Galium verrucosum

Urtica sp,  Parietaria judaica, Geranium rotundifoliumSonchus oleraceus

Roma trasandata

Ficus benjamina

Ligustrum lucidum variegato

Roma è la città più bella del mondo.  La sua storia millenaria si riflette limpida sul fiume dorato, l’aria delle sue piccole vie del centro è sempre leggera in ogni stagione, la magnificenza dei suoi giardini e dei suoi panorami sono esperienze introvabili e inimitabili.

Ma Roma è una città trasandata e vive la sua sciatteria come fosse il maleficio di qualche strega o di qualche spirito maligno. Appena fuori, e neppure tanto, dal cerchio magico del centro storico, le sue ampie strade si accartocciano in voragini e si ricoprono di sporcizia.

Acer negundo

Acer negundo

 

E’ una metropoli così disseminata di ‘terzo paesaggio’ che sembra quasi che Gilles Clement debba essersi ispirato a Roma per definirlo. Nobili giardini abbandonati si affiancano a sterminati terreni incolti, tracciati disertati da auto e treni sono colonizzati da ogni genere di sterpaglia, intercapedini barcollanti accolgono innumerevoli specie vegetali autoctone e non e sostengono fatiscenti brandelli di cemento ricoperti di frasche e rovo. Quasi tutte le strade di Roma, dalla più aristocratica alla più miserabile, sono viali e si adornano di alberi rigogliosi, ai cui piedi in risicate aiuolette crescono erbacce lussureggianti e si ammucchiano cartacce e rifiuti.
Ecco un viale di Ligustrum lucidum variegato, con lucide foglie striate di bianco crema, mentre nella via accanto cresce Acer negundo, l’acero americano che ha foglie composte, con tre o più foglioline irregolarmente dentellate (vedi 9 maggio 2009) e fioriture dall’aspetto esotico.

Roma trasandata

Mercatino ecosolidale di Sant’Egidio
via del Porto Fluviale, 2

Le specie si accavallano, le piante amano vivere tutte insieme, strette le une alle altre, contendendosi terra e sole. Un nespolo del Giappone (Rhaphiolepis bibas) sovrasta un alloro (Laurus nobilis) , che cresce sopra la cycas (Cycas revoluta), quella che tutti chiamano palma nana, inciampando in un errore botanico, ma anche storico, perchè la cycas delle palme non ha nulla ed è molto molto più antica di loro. Ci troviamo nel cortile del mercatino di Sant’Egidio, in via del Porto Fluviale, e alla base di queste piante spunta un cespuglio dai lunghi rami con foglie rotonde, e non è un arbusto qualsiasi, ma un getto di albero di Giuda (Cercis siliquastrum) che fra qualche anno, forse, chissà, potrebbe donarci una delle sue strabilianti fioriture rosa.

L’oleandro (Nerium oleander) ci prova, ovunque, a fiorire. Anche sull’insegna arrugginita di un vecchio cinema abbandonato. Una volta c’erano molti cinema di quartiere, affollati, economici. Ora è rimasto un grigio edificio di cemento appena mimetizzato sul retro dall’immancabile Rhaphiolepis bibas  a fianco di un Ligustrum lucidum a foglia verde.

Roma trasandata Nespolo e ligustro

Retro del cinema
Rhaphiolepis bibas e
Ligustrum lucidum

Oleandro - Roma trasandata

Insegna del cinema
Nerium oleander

Ortiche sulla Cristoforo Colombo

Roma, via Cristoforo Colombo 444. La larga aiuola di fronte alla banca è ornata di piante rigogliose, sempreverdi, che anche nell’umido inverno si ostinano a riempire di colore il grigio livido della città. Sul terreno macerano lentamente le larghe foglie dei platani, giganti ostinati e pazienti, ormai spogli e gelati. Ma per terra, fra lantane, piracante, fotinie, nandine, e persino qualche gelsomino, il verde più verde, magico e luminoso, è quello delle ortiche. Randagie e clandestine, vittoriose sulla fradicia pacciamatura che dovrebbe tenere a bada le erbacce, le ortiche sfoggiano le pannocchiette variopinte dei loro fiori, giallo verdi e rossicci.

Ortiche fiori

Urtica dioica

Tecnicamente l’infiorescenza dell’ortica è un racemo e i fiori maschili e femminili crescono su piante diverse, da cui l’attributo specifico di dioica; si distinguono ad occhio per il portamento, un po’ penzolanti quelli delle piante femminili, generalmente patenti, cioè a squadra con il fusto in quelle maschili, anche se più intima e importante è la differenza anatomica e fisiologica. Slanciati e rigidi, azzardo che questi siano fiori maschili.

Lantana & ortiche

Lantana camara
Urtica dioica

Nandina & ortiche

Nandina domestica
Urtica dioica

 

Non c’è angolo di strada che non sia invaso dalle ortiche, rinvigorite e ubriache della pioggia abbondante di dicembre. Questa pianta ha abili armi di autodifesa e  non tollera di essere colta distrattamente, neppure quando è bagnata, lasciando fastidiosi bruciori sulla pelle di chi si azzarda a farlo. Solo le donne di medicina quando la usano per frizionare muscoli doloranti, hanno salve le mani. In tutti gli altri casi basta sfiorarla per sapere a che deve la sua cattiva fama. Eppure è una pianta alimurgica, officinale, terapeutica e magica e i suoi impieghi alimentari, medici e pratici  sono infiniti. Cibo e concime, medicina e insetticida,  l’ortica è la pianta degli orti, cresce su suoli arricchiti dal pascolo delle bestie. Preziosa, questa semplice pianta, che cavalca gli inverni. Eppure se la vedi la estirpi, con le mani guantate, strappandola senza pietà dalla terra.
Ma in città cresce incontrastata, vagabonda inutilizzabile, ma meravigliosamente trionfante.

Bambina d’inverno

Mi guarda sempre imbronciata e severa la bambina sul muro delle case popolari di Tor Marancia.Tor Marancia
L’inverno ha spogliato la robinia e la pioggia lucidato la yucca. Più sfavillante e nitida l’avevo ammirata sei anni fa in un ottobre tiepido e traballante (era l’anno del terremoto di Amatrice). Ora nuove rughe giocano con i tratti del dipinto, il tempo scava sull’intonaco nuove storie impreviste.
Il nome Tor Marancia deriva probabilmente dalla deformazione medioevale di Amaranthus, il nome di un liberto a cui nel II secolo DC era stata data in gestione la tenuta e la villa di proprietà della nobile famiglia Numisia Procula. Con l’editto di Costantino del 313 d.C. il cristianesimo era diventato religione dell’impero e la chiesa assunse un enorme potere politico ed economico che investì anche la campagna romana. Nacquero così le Domuscultae vere e proprie aziende agricole e vinicole facenti capo alla diocesi. Accanto ad esse furono innalzate per tutta la campagna romana centinaia di torri che avevano il compito di avvisare l’urbe in caso di minaccia dei pirati. Infatti erano frequenti le incursioni dal mare da parte dei saraceni. Memorabili nell’830 e nell’842 i saccheggi della basilica di San Pietro, di San Paolo e dell’abbazia della tre fontane.

Torre San Tommaso - Tor Marancia

Torre San Tommaso

Fra le antiche torri, l’unica sopravvissuta fino ai giorni nostri è la torre di San Tommaso che da oltre ottocento anni svetta in cima a una collinetta, poco prima che viale Tor Marancia incroci la via Cristoforo Colombo.

Trovo queste informazioni, e altre più recenti e importanti, su due pannelli in bella mostra ai piedi della torre. Questi pannelli sono una risorsa per il viandante indagatore di curiosità locali. Alcuni abbandonati e negletti bisogna sbrigarsi a fotografarli, altri per fortuna ancora pienamente leggibili e accurati. Questi, curati dall’Associazione Parco della Torre di Tor Marancia, sono datati 30 novembre 2019 e sono ancora in buono stato. Il font utilizzato per la scrittura è stato realizzato per agevolare la lettura ai dislessici e casi di disturbi specifici dell’apprendimento. E anche agli stranieri aggiungerei io, tutti quelli che chiedono, per favore, di scrivere sempre  in stampatello.
Nel maggio del 1933, sotto il regime fascista, cominciò la costruzione della borgata Tor Marancia (conosciuta anche come Tormarancio) affidati alla ditta Giovannetti. Erano gli anni della grande disoccupazione e della liberalizzazione degli affitti, anni in cui l’urbe e il suo centro subirono opere di trasformazione profonda, veri e propri sventramenti con l’allontanamento dal centro di tutte quelle persone che vivevano in condizioni precarie e di povertà, disagio da nascondere, lontano dagli occhi che dovevano osservare la grandezza di una città e di un regime, quello fascista che preferiva deportare i suoi cittadini in borgate fatiscenti pur di mostrare un’illusoria e falsa potenza. Roma era grande, o almeno doveva sembrarlo.

Tor Marancia
ottobre 2016

Trasferiti in massa in queste borgate erette frettolosamente, fatte di case tutte uguali, con materiali di poca durata e di scarto, furono abbandonati a loro stessi, senza i servizi minimi come strade, fogne, scuole, pronto soccorso e mezzi pubblici. Tor Marancia nacque per accogliere alcuni di questi disperati e tutte le loro tragedie. La borgata fu edificata all’interno di una buca vicino alla “Marrana” e ad ogni pioggia di allagava proprio come al passaggio di un monsone asiatico e per questo soprannominata Sciangai.

Tor Marancia

“Ebbene io vivo a Tor Marancia con mia moglie e sei figli, in una stanza che è tutta una distesa di materassi e quando piove l’acqua ci va e viene come sulle banchine di Ripetta,” lamentava il protagonista di una dei racconti romani di Alberto Moravia (Il Pupo 1954), mentre Ugo Zatterin nel suo romanzo Rivolta a Sciangai nel 1948 descriveva così la borgata:
“Nessuno saprà dire quale caratteristiche di Sciangai abbia particolarmente ispirato l’ignoto che battezzò con questo nomignolo esotico un rifiuto periferico di metropoli incastrato in un valloncello, tolto alla vista dei civili. Se la guardate dall’alto, appena fuori dalle siepi di more e rose selvatiche, Sciangai ha l’aspetto di una fabbrica di esplosivi, fatta razionalmente di casupole leggere, che sembrano pronte ad andarsene con il vento di marzo, allineate militarmente simmetriche; e i tetti sono tutti rossi quando c’è il sole…”

Tor Marancia
ottobre 2016

La costruzione delle attuali case popolari iniziò nel 1947 per intercessione di due senatori del PCI Edoardo D’Onofrio e Emilio Sereni, a seguito della legge De Gasperi sul risanamento delle borgate, conclusasi nel 1960.
Ma dal 2015 un’altra città è cresciuta a Tor Marancia, la città dell’arte di strada e dei murales più straordinari del mondo. Dopo sei anni, i segni del tempo cominciano a mostrarsi sui muri dipinti e consumati dalle intemperie. Sarebbe bello poter sperare in un restauro, chissà se in questi tempi difficili spunterà ancora una volta la primavera.

Storie di piante non illustri

Piante non illustri

Verbena officinalis

Da settimane la vedo lungo la mia passeggiata del mattino, eretta e sottile sul bordo della strada, con i suoi microscopici fiori quasi invisibili. Pianta nobilissima nei tempi antichi, celebrata per le virtù afrodisiache, protagonista di decotti e pozioni essenziali, erba magica e sacra, oggi la verbena cresce soprattutto in zone antropizzate e vive praticamente sconosciuta. Non è veramente commestibile, perché ha solo piccole foglie amare, ma incontrarla è un’emozione, perché la sua semplicità evoca rispetto. Le sue forme sono così esili e sfuggenti che fotografarla è difficile  (vedi anche 11 agosto 2009). A dispetto dell’apparenza, è una pianta robusta e molto tenace. I vivai vendono vasi variopinti delle sue sorelle ornamentali, ma è solo lei, la piccola verbena selvatica, la responsabile della fama millenaria.

Piante non illustri

Silene alba

Poco lontano, in mezzo all’erba lucida di pioggia, i fiori bianchi della silene, sbrindellati, ma ancora saldi, sbocciano incuranti di essere fuori stagione. Più tardiva, ma molto simile alla silene rigonfia (Silene vulgaris), anche questa pianta ha calici a forma di piccoli otri, che si sgonfiano con un piccolo fischio.  Erba commestibile ed ingrediente frequente delle zuppe tradizionali, no, non è un’erba illustre, decisamente popolare direi.

Piante non illustri

Diplotaxis tenuifolia
Malva sylvestris

Intanto la rucola selvatica e le malve del prato non sembrano avvilirsi nel fresco di novembre, nel parco urbano dell’Appia Antica (Roma). Piante non illustri, ma preziose, più  verdi del verde, si godono l’aria ricca di umidità. La rughetta selvatica (Diplotaxis tenuifolia) è una specie perenne e comune quasi dappertutto, fresca e piccante, saporitissima se piace, da consumare cruda per chi ama le insalate aromatiche. I suoi sgargianti fiorellini gialli rallegrano il pallido sole. Non ha bisogno di presentazioni la malva, commestibile in insalate e zuppe, le cui foglie e fiori hanno innumerevoli utilizzi medicinali.

Viene da lontano la galinsoga, nativa delle zone montagnose del centro America e deve il suo nome al medico botanico spagnolo del 18° secolo Martinez de Galinsoga. E’ una margheritina poco appariscente, ormai naturalizzata quasi in ogni regione d’Italia e spesso disprezzata come infestante.

Piante non illustri

Galinsoga parviflora

Di erbaccia fastidiosa, in campagna e città, ha davvero tutte le caratteristiche, produce moltissimi semi, sempre pronti a germogliare nelle circostanze più varie, si riproduce facilmente anche per propagazione vegetativa, e poi cresce velocemente, fiorisce sempre e per diverse stagioni(1).
Ma non è vero che non serva a niente, e se raramente si trova nei manuali di fitoterapia, è perché è poco conosciuta, e snobbata, nel vecchio continente. Nei suoi luoghi di origine e habitat più congeniali, cioè le zone tropicali, viene impiegata come pianta medicinale per vari malanni, oltre che come cicatrizzante sulle ferite. Infatti contiene principi attivi che le conferiscono proprietà antibatteriche,antimicotiche, antiossidanti, antinfiammatorie e vermifughe (2). Non è tossica, anzi è un’erba alimentare sia per gli animali che per le persone. In città si trova soprattutto nei giardinetti, in qualche piccola aiuola rugiadosa, ma per le insalate la preferirei campestre.

Piante non illustri, ma ricche di storia, che per caso incrociano il mio cammino in un giorno di fine autunno.

(1) Damalas CA (2008) Distribution, biology, and agricultural importance of Galinsoga parviflora (Asteraceae)-  Weed Biology and Management 8:147-153.
(2) Ali S et al. (2017) Ethnobotanical, phytochemical and pharmacological properties of Galinsoga parviflora (Asteraceae) – Tropical Journal of Pharmaceutical Research 16:3023-3033.

Cucurbite da strada

Cucurbita

Cucurbita  in viale Trastevere

Le piante alimentari non crescono solo negli orti, anzi proprio perchè sono così diffuse sulle tavole, i loro semi facilmente attecchiscono dove meno le si aspetta. Magari lungo i binari del treno, oppure in un’aiuola spartitraffico accanto al ceppo morto di un albero. Non hanno i fiori, nè frutti, ma al riparo nell’ombra polverosa dei grandi platani del viale, le  loro larghe foglie pungenti non si sono ancora arrese alla calura.

Cucurbita

Cucurbita alla Garbatella

 

 

 

Ovunque l’estate è la stagione del raccolto e del disfacimento. Una pianta di zucca si arrampica sulla ringhiera di un cortile, guardata a vista dal murales che ricorda un cantante popolare. Inutilmente cerco qualche frutto. Qualcuno li vede? A volte le cucurbitacee li nascondono gelosamente e non è raro scoprirli quando hanno ormai raggiunto dimensioni eccellenti e sono buoni solo per semenza. Solo? Anche se forse non sono più appetibili per il palato umano, la madre ha raggiunto lo scopo della propria vita e potrà sperare di riprodursi.

Fiori da parcheggio

Parcheggio AnagninaLa primavera riserva sorprese ovunque, anche ai margini dei parcheggi, dove d’inverno si trovano soltanto erbacce incatramate e un po’ di spazzatura. Nei pressi della stazione Anagnina, capolinea della linea A della metropolitana di Roma, una prato di tarassaco e malva contende la vista alla sterminata  distesa di automobili in sosta. Ammiro il coraggio e la saggezza di questi prati urbani.
Da sempre occhieggio nei quadratini di terra, che vorrebbero essere aiuole, di qualche centro commerciale alla ricerca dei più temerari fiori di campo. Dopo aver scoperto la draba primaverile (Erophila verna) e la sua breve fioritura, più a lungo si possono incontrare i becchi di gru (Erodium sp), stretti parenti dei gerani, piccoli fiori a corolle delicate e frutti appuntiti che assomigliano al becco di trampoliere.
Il becco di gru comune, Erodium cicutarium, così detto perchè le foglie hanno l’aspetto prezzemoloso della cicuta, ha un modo di propagazione geniale e potente; la pianta lancia i semi fino a mezzo metro di distanza ed essi possono seppellirsi letteralmente scavando nel terreno, torcendosi e srotolandosi in risposta ai cambiamenti di umidità. Non c’è da stupirsi se sia così diffuso anche in ambienti abbastanza ostili come i margini polverosi delle piazzole di sosta.

Erodium malacoides

Erodium malacoides
con Urtica dioica

Più gentile, ma altrettanto rampante, suo fratello il becco di gru malvaceo, Erodium malacoides, si contende lo spazio con la purissima ortica (Urtica dioica) e già mostra mazzetti di frutti appuntiti. Tutte le specie di Erodium utilizzano irruenti metodi  di dispersione dei semi, che sono dotati di peluria uncinata che si attacca al pelo degli animali e favorisce anche la penetrazione nel terreno.

Galium aparine

Galium aparine

In questa stagione, anche le aiuole urbane più trascurate si ricoprono di verde intenso, quasi impenetrabile.  In mezzo all’erba cresce il gallio attaccaveste (Galium aparine), parente povero e un po’ volgare del caglio zolfino (Galium verum) a fiori gialli, che si dice venisse usato nei tempi passati per cagliare il latte. Nonostante l’aspetto esile, l’attaccaveste è veramente appiccicoso e aggressivo, un’alta strategia vincente per fronteggiare la dura lotta per l’esistenza.

Campanula medium

Campanula medium

Ma sullo spartitraffico, fra le auto che fuggono troppo in fretta anche per un’occhiata furtiva, talvolta si scopre qualche cosa di veramente inaspettato. E bisogna fermarsi, scendere dal cavallo di latta, avventurarsi per le impervie strade moderne, dove osano solo gli pneumatici, per cercare di vedere, capire, immortalare il miracolo, seppure da debita distanza. Un grappolo di grandi campanule azzurre (Campanula medium), che starebbero davvero meglio al margine di un bosco, sbocciano all’ombra dei rigidi cespugli di pittosporo, accanto a qualche immancabile grespino della strada, trascinate da chi e da che cosa fin qui davvero non saprei.