Trachelio cittadino

Trachelium caeruleum

Il trachelio azzurro ha invaso le città. Non è la sua stagione, ma oggi ne ho scovato un piccolo germoglio, verde sgargiante, sul bordo di un aiuola, corso Dogali, nella zona dell’ Orto botanico. Là dove mi aspettavo solo qualche erbaccia, euforbie minori e parietarie, mi sorprende questo mazzetto di foglie sconosciuto, e quando scopro chi è, mi vengono in mente tutte le volte che l’avevo incontrato, a primavera, su qualche muro di città, proprio in questa zona. Questo trachelio in natura è classificata come neofita naturalizzata, invasiva in Calabria, e il suo nome comune sarebbe ‘trachelio coltivato’ quasi a significarne l’origine da qualche giardino.

Trachelium caeruleum
Corvetto – maggio 2022

Ho notato per la prima volta i suoi fiori rosa violetti, rigogliosi corimbi portati da snelli steli, due anni fa in piazza Corvetto, poco prima dell’ingresso della galleria Nino Bixio. Adesso quel muro dove li avevo scoperti è ingombrato da ponteggi e reticoli per lavori di ristrutturazione dell’area, cominciati poco dopo la mia foto e dei quali ancora non si vede la fine. Purtroppo per ora il trachelio non tornerà ad ornare della sua modesta bellezza quel muraglione.

Trachelium caeruleum

Trachelium caeruleum
maggio 2022 – scalinata Albergo dei poveri

E forse non tornerà neppure lungo la scalinata che sale dalla cima di via Brignole De Ferrari all’Albergo dei Poveri  dove, sempre nello stesso maggio 2022, cresceva spavaldo, contendendosi lo spazio con la valeriana rossa (Centranthus ruber) e qualche margherita da muro (Erigeron karvinskianus). Audace clandestino, i suoi mazzi di corolle disseminati fra reti e transenne facevano una bellissima figura.
Ma i germogli ci sono, e lo aspetteremo a primavera, a sorprenderci ancora su qualche muro negletto o all’angolo di un marciapiede, questa piantina facile facile, di poche pretese e eppure generosa di fiori sfavillanti.

Callistemon, l’albero dai begli stami

Callistemon Melaleuca viminalis

Melaleuca viminalis

Callistemon, che viene talvolta addirittura volgarizzato in callistemone, era il nome assegnato a un genere di piante tutte australiane i cui fiori hanno una forma singolare che ricorda le spazzole per bottiglie. Tuttavia, fin dall’inizio della storia delle classificazioni, il genere Callistemon è stato riconosciuto molto vicino al genere Melaleuca, anche questo australiano, tanto che ormai la maggior parte dei callistemoni sono attribuiti al genere Melaleuca (tranne, pare, tre o quattro irriducibili, ma è roba da specialisti). Però il nome originale, dal greco ‘kalos‘, che significa ‘bello’ e ‘stemon‘, cioè ‘stami’,  era più giustificato per descrivere questi singolarissimi fiori, che non hanno petali, ma una raggiera di stami, color rosso acceso, vagamente cangianti, che sporgono come setole, creando appunto la forma di scovolino. La sua bella fioritura prosegue fino ad autunno inoltrato e poi rimangono gruppi di bacche incastonate nel legno, in una forma che ricorda una pannocchia o una pigna, ma appressata al ramo (vedi qui).

Avevo conosciuto questo alberello sulla Coronado beach (spiaggia del Coronado) a San Diego in California, nel 2001. Pensavo di non averlo mai visto prima. Più probabilmente non l’avevo mai notato. O forse a quel tempo non era ancora così di moda dalle nostre parti, non quanto adesso che lo si incontra molto frequentemente nei giardini e nelle aiuole, specialmente vicino al mare. Così il “bottle brush”, come lo chiamano ovviamente gli americani, è rimasto nella mia immaginazione come una pianta vagamente esotica, il che certamente è, dato che viene da così lontano. Però ormai la sua diffusione come pianta ornamentale urbana lo ha fatto diventare uno di famiglia.

Esotiche da città

Schefflera heptaphylla

All’ingresso di uno dei parcheggi più centrali della città, poco sotto quella piazza Piccapietra dove crescono le lantane, una pianta si fa notare, ampia e rigogliosa. Le foglie si reggono su lunghi piccioli, e sono composte da una raggiera di foglioline, cinque, o meglio sette, ma anche otto o più, lucide e color verde brillante, ciascuna a sua volta dotata di un corto picciolo. Mi ricorda qualche cosa, certamente una pianta da appartamento, ma il nome non lo conosco. Indago. E’ una pianta subtropicale, e viene dal Sud Est asiatico, importata prevalentemente in qualità di pianta da appartamento, resistente e facile da coltivare in casa. Il suo nome è Schefflera, in onore del botanico Johann Peter Ernst von Scheffler, nativo di Danzica e quindi un po’ tedesco e un po’ polacco. La specie dovrebbe essere S.heptaphylla, ovvero con foglie composte da sette foglioline (e se sono di più tanto meglio) e la sua famiglia è quella delle Araliaceae, la famiglia delle calle e dei gigari.

Schefflera heptaphylla

Dopo aver fatto tanta strada, la rigogliosa Schefflera non ha certo fatto fatica ad uscire dagli appartamenti e ad adattarsi all’angusto terriccio di un’aiuola di cemento sul bordo della strada. Nei suoi luoghi di origine (Indocina, Cina sudorientale, Taiwan e isole giapponesi Ryukyu) è utilizzata come pianta medicinale e sforna grappoli di bacche arancioni, che quest’esemplare di città forse non ci mostrerà mai. Pazienza. Dobbiamo accontentarci del suo verde intenso, della magia delle sue foglie che resistono all’inverno, ormai più umido che freddo, ma sempre inverno e avaro di sole. E magari stupirci di un’altra intrusa, esotica e straniera, che conquista il suo spazio nelle microscopiche e asfittiche aiuole di città.

Bambini di strada

 

Ficus carica

Ficus carica
Porto antico

I bambini di strada sono ragazzi e ragazze, poveri, giovanissimi, soli, che non hanno una vera casa né si accompagnano per protezione e sorveglianza a una figura adulta di fiducia. Bambini per i quali la strada, un’abitazione abbandonata, un terreno incolto, è divenuta il luogo dove vivere, ogni giorno e ogni notte, senza una vera famiglia e sufficienti a se stessi.

Così gli alberi delle città sono i bambini di strada del bosco, dice  Peter Wohlleben(1), che degli alberi e dei boschi è grande amante e conoscitore. La definizione è veramente calzante perché molti alberi crescono proprio direttamente sulla strada. Come il largo fico chissà come finito davanti all’ingresso del porto antico di Genova, sotto la sopraelevata, che accoglie sempre una folla chiassosa sotto le sue fronde. Senza casa, senza famiglia, senza terra, ma grande dispensatore di riparo e frescura.

Pino di Brignole

Pino in via Cadorna
Pinus halepensis (forse)

Un bambino davvero cresciuto troppo è l’esemplare solitario di pino che si eleva oltre tutti gli altri, banali pini domestici (Pinus pinea) intorno a lui, e si fa notare per il suo tronco doppio sul margine dei giardini di viale Luigi Cadorna a Genova Brignole. Lo credevo un pino d’Aleppo, per il portamento slanciato e la chioma vaporosa, ma quasi certamente mi sbagliavo. Solo è solo, diverso dai suoi vicini, diverso dalle torri di acciaio e cemento che lo sovrastano.

Gli alberi di città, come i bambini di strada, sono diventati adulti senza aver avuto il tempo e l’energia per crescere veramente, senza essere accolti e coccolati dal pane fertile della terra.  Anche se crescono in altezza, faticosamente, costretti, potati, capitozzati, rimangono sempre immaturi, senza la certezza del bosco.  Stretti nel cemento, contorcono le radici fra cavi e cavità sotterranee, le allungano in spazi freddi e sterili, si piegano, si adattano, sopravvivono.

Aesculus hippocastanum

Aesculus hippocastanum
via Bobbio

Gli abitanti della città guardano gli alberi con sentimenti contrastanti. Si lamentano delle radici che li fanno inciampare, delle foglie che ingombrano il marciapiede, dei pollini che li fanno starnutire, dei rami pericolanti che potrebbero colpirli; ma sanno che non potrebbero fare a meno della loro ombra, del loro riparo.
Li vedono mutare con le stagioni, come dice il poeta.
A primavera fioriscono con disperata vitalità, ma spesso cambiano colore prematuramente, alla fine della torrida estate urbana.

Tiglio di Largo Lanfranco

Tiglio – agosto 2023
Tilia x europaea

Il più grande, il più caro dei miei bambini, il tiglio di largo Lanfranco, proprio di fronte al palazzo Doria Spinola della prefettura, ha già molte foglie ingiallite a fine agosto e un poco mi preoccupa. Tuttavia se persino gli alberi dei boschi soffrono in questi mesi bollenti, come può proteggersi dalla calura questo ragazzo abbandonato che solo da molti metri di distanza scorge qualche suo simile nella piazza vicina?  Come sarebbe più felice se potesse scambiare messaggi sotterranei con qualcuno, comunicare con le sue radichette e spingerle avanti fin dove hanno voglia di arrivare, senza scontrarsi con i tubi di ghisa e le fondamenta bituminose di qualche artefatto umano.

(1) Peter Wohlleben – La vita segreta degli alberi – Gruppo Editoriale Macro – 2016

Molto prima dell’inverno

Bouganville via FoscoloL’inverno si sta avvicinando. Arriva inaspettato, dopo un’estate infinita, che ci ha deliziato e torturato da maggio a ottobre, calda come una promessa, inesorabile come una profezia. Eppure l’inverno sta arrivando, con il suo grigiore gelato, e anche gli alberi ormai si rassegnano a cambiare colore.
Ma non proprio, non ancora.
Questa piccola strada che sale dal ponte monumentale verso la piazza Corvetto, via Ugo Foscolo, è ripida e poco trafficata, ma affollata di giovani studenti universitari che frequentano il Dipartimento di Scienze della Formazione.
Lungo il muro si arrampica una Bougainvillea rosso fuoco, si allunga, incornicia e supera il cancelletto di ingresso di un palazzo, accompagnata con discrezione da un roseto ancora fiorito. Esplosione di colori invincibili e vagamente inebrianti.

Erodium malacoides

Erodium moschatum

Cammino con gli occhi bassi scrutando fra le pietre del selciato. Gli erodi, o becco di gru, sono fra i protagonisti della flora da marciapiede in questa città, parenti poveri dei gerani e dei pelargoni, come loro dotati di frutti lunghi e affusolati come il becco di un trampoliere. Non è più stagione di frutti, né di abbondanti fiorellini, e le piante si sfogano con ciuffi di nuove foglie, rinvigorite dalle recenti piogge finalmente abbondanti, e contendono il posto e la scena all’immancabile parietaria. Erodium malacoides, becco di gru malvaceo, ha foglie leggermente lobate, mentre Erodium moschatum, becco di grù aromatico, ha foglie pennate e finemente frastagliate. Ma tutte verdi, molto verdi e felici di verdeggiare anche  fra i massi e l’asfalto.

Leccio di campagna e leccio di città

Leccio

Quercus ilex

Sul bordo del bosco ho incontrato un germoglio di foglie nuove e verdi che riconosco come un piccolo leccio. Quercus ilex, la più comune delle querce sempreverdi mediterranee, viene ampiamente utilizzato e sfruttato nel verde metropolitano. Qui dove la città finisce, ai confini di quel verde suburbano che non è più prigioniero ma neppure completamente libero, nel versante settentrionale che al mare volta le spalle, i lecci non vengono dal bosco, ma dalla città. Grandi lecci di fronte ad ogni chiesa, a Bavari, punta di valico, di fronte alla chiesa di San Giorgio, un albero possente fa ombra a tutto il sagrato, così come a Montesignano, quartiere popolare per niente campestre.

Leccio Bavari

Quercus ilex
chiesa di San Giorgio di Bavari

Scendendo più giù, verso il centro della città, nei giardini pubblici di piazza Martinez di fronte alla chiesa di San Fruttuoso, sono sempre i lecci a bordare i marciapiedi, più piccoli e dimessi perché probabilmente sottoposti a incessanti quanto impietose potature. Altri viali di lecci ornano le periferie, fra palazzoni e centri commerciali.
Albero solido, a volte imponente, severo, resiliente, coriaceo come la sue foglie, il leccio non è mai bello. La sua scorza è ruvida, il suo verde è oscuro e le sue foglie cadute sono polverose e rigide. Non potrebbe essere altrimenti per sopportare il nostro clima mediterraneo, asciutto e intensamente soleggiato, e anche l’aria pesante e torrida della città.

Leccio piazza Martinez

Quercus ilex
piazza Martinez

Un’altra quercia mediterranea, la sughera, sa farsi prediligere e desiderare per la sua unicità, perché ha sviluppato uno strato di corteccia di eccezionale porosità e leggerezza che si presta agli usi più disparati. Invece il leccio, che cosa ha da dare? Null’altro che quell’ombra opaca che  dona sollievo dalla calura, ma non vera e propria frescura. Vero è che le sue piccole ghiande appuntite sono più appetibili di quelle delle altre querce. Dice il poeta Virgilio che prima dell’avvento dell’agricoltura (prima che ‘Cerere insegnasse ai mortali a rivoltar la terra con l’aratro’), la sacra selva forniva corbezzoli e ghiande, che certo venivano usate per farne farina, soprattutto le ghiande del leccio più dolci e meno astringenti. Si dice che nella Spagna quest’uso continuò fino a tempi relativamente recenti, ma i nostri antenati, si sa, avevano esigenze alimentari meno sofisticate e più schiette delle nostre.

Leccio Piazzale Bligny

Quercus ilex
Piazzale Bligny

Ora che i boschi costieri sono stati sterminati, il leccio sopravvive come inevitabile compagno di strada, torvo signore dei marciapiedi, aggrovigliato testimone delle lordure urbane.

Però come tutte le creature, anche quelle meno attraenti, i giovani virgulti, come i cuccioli, sono teneri e nobili. Il loro verde è brillante e luminoso, la loro scorza più morbida. Chissà se questo piccolo germoglio cresciuto fra essenze diverse, allori, carpini, robinie e pioppi, diventerà mai un albero. Ad arricchire e impreziosire un bosco che potrebbe tornare alle sue origini più genuine.

leccio ghiande

Quecus ilex
ghiande (10 novembre 2008)

Leccio fiori

Quercus ilex
fiori (28 aprile 2010)

 

Fico rampante

Fico

Ficus carica

Su questi rami spogli, due piccoli frutti di fico commestibile (Ficus carica) resistono chissà come al freddo dell’inverno, che non è mai gelo, ma sempre fastidioso. L’albero certamente si trova lì per caso, come la maggior parte dei fichi commestibili, piante selvatiche e indomabili, scarsamente ornamentali.

Diversa la vocazione e diverso il destino di molti dei suoi parenti del genere Ficus (famiglia delle Moraceae, come il gelso). Molte sono le specie, per lo più tropicali,  spesso velenose, che, lontano dai loro luoghi di origine, vivono un’esistenza difficile, rinchiusi negli interni delle abitazioni, sacrificando la loro esuberanza in angusti contenitori e temperature artificiali.

Fico

Ficus pumilia

Temperamento rampicante, il furbo Ficus pumilia non cresce bene in appartamento, perchè preferisce non farsi rinchiudere, anche se si adatta con estrema disinvoltura alle circostanze. Si abbarbica voracemente ai muri con tenaci radici avventizie e li ricopre di piccole foglie persistenti, aderendo alla superficie delle pietre con rampante caparbietà. Ma quando decide di fruttificare, cambia portamento. Si alza in piedi, su piccoli fusti eretti, le foglie diventano più larghe, più separate, pur rimanendo coriacee come legno, e allora sembra un arbusto vero, libero e indipendente. Qui i suoi rami sempreverdi si allungano verso le signorili finestre di un edificio residenziale decorato di motivi art nouveau, in via Francesco Pozzo, a Genova.

Fico

Ficus pumilia

I fichi sono verdi, tendenti al blu scuro e al nero quando sono maturi, e non sono, è noto, veri frutti, ma sorta di contenitori, detti siconi, che racchiudono tanti piccoli fiori, soggetti, negli esemplari femminili, a una complicata impollinazione entomofila.
Rampicante o eretto, il F.pumilia si incontra molto frequentemente nei giardini, ricercato, gradito o mal tollerato. Foglie e fusti contengono un liquido, un lattice piuttosto velenoso, o comunque irritante, mentre quelli che chiamiamo frutti non sono veramente tossici, seppure scarsamente appetibili.

Violacciocca allo sbaraglio

Violacciocca Matthiola incana

Violacciocca (Matthiola incana)
ponte di Carignano

Ho coltivato la violacciocca (Matthiola incana) per diversi anni nel mio giardino, ed è pianta semplice e  generosa, di colore intenso e attecchimento prepotente. In città la trovo in posizioni impervie, come si addice al suo habitat, pianta da rupi marittime e vecchi muri.

Sulle rovine di via Madre di Dio, storico quartiere della Genova anteguerra, è cresciuto un universo di cemento noto come Giardini Baltimora, o meglio giardini di plastica. Tutto sovrasta l’antico ponte, oggi via Eugenia Ravasco, che unisce le due colline di Sarzano e Carignano, dove si eleva uno dei gioielli della Genova rinascimentale, la basilica di Santa Maria Assunta disegnata da Galeazzo Alessi. Ponte di CarignanoIl ponte fu costruito intorno al 1720 su progetto di Gherardo de Langlade e  finanziato  dalla nobile famiglia Sauli, perchè, si dice,  l’aristocratica signora aveva espresso il desiderio di raggiungere più agevolmente la chiesa dai suoi palazzi. Nel 1878 fu provvisto di altissime inferriate perchè “non passi in consuetudine l’esempio antico e recente di gettare disperatamente la vita dai ponti di Carignano”, come ricorda un’iscrizione sul muro. In questo caso il benefattore, e protettore di aspiranti suicidi, fu  Giulio Cesare Drago, che volle rimanere anonimo fino alla morte.
Sprezzante dello strapiombo, si affaccia senza ritegno, ancorata a falde di cemento, il cespuglio di violacciocca che allunga le corolle violacee dal ponte verso i giardini Baltimora.

Violacciocca Matthiola incana

Matthiola incana
Strada Aldo Moro

Altrettanto disdegnoso del pericolo  un altro grande cespo di violacciocca è fiorito sul ciglio della famosa strada a scorrimento veloce, strada Aldo Moro, meglio nota come sopraelevata. Per giorni ne ho visto sfrecciare il colore acceso sul bordo dell’asfalto, stupefatta come di un’apparizione. Fiori che si possono veder passare, ma osservare e fotografare soltanto da molto molto lontano.

Quando fiorisce la mimosa

 

Mimosa in val Bisagno

Acacia dealbata
val Bisagno

Non è certo una pianta originale, ma passa inosservata per la maggior parte dell’anno, finchè, fra gennaio e marzo, le sue nuvole gialle esplodono ad ogni angolo di strada. Febbraio è sempre stata la sua stagione. Qui sul bordo del Mediterraneo, molto prima di primavera, appar dovunque la mimosa effimera(1).

Ci sorprende quanto ne abbiamo bisogno, proprio adesso, di questo colore caldo, spesso, dolciastro. In quest’inverno fradicio e nebbioso, sono sempre i fiori a salvarci.

Mimosa in via San Vincenzo

Acacia dealbata
via San Vincenzo

Si incontra dappertutto, nella crosa che corre alta sulla val Bisagno, sopra il cimitero di Staglieno, come nel campo Rom della val Polcevera, e poi di fronte all’arco di ingresso di una corte nella centrale via San Vincenzo. Pronto a sbocciare perfino un gracile alberello,  alloggiato in una giara di coccio, sul retro di un palazzo di edilizia popolare. Effimera, ma resiliente, già poco dopo Natale, i rami verdolini cominciavano ad impallidire verso il paglierino. Sopporta grandine e vento, talvolta anche la neve, e il suo colore brilla.

Mimosa

Acacia dealbata

Spesso viene accusata di essere arrivata troppo presto, di essere, con la sua fioritura anticipata, uno scherzo del clima impazzito. Ma a torto, perchè non è vero. Da gennaio fiorirà fino a marzo per poi andarsene, in sordina, tornarsene in un anonimo letargo per dieci lunghi mesi. Oggi è il suo tempo e il suo colore è oro.

(1)Vincenzo Cardarelli ‘Liguria