Il giardino abbandonato

Non ho talento con le rose. Sono fiori che mi mettono sempre alla prova, riluttanti alle mie cure e premure. “Le rose sono i fiori della maturità, perchè soltanto la pazienza e l’esperienza sono in grado di badare alle pretese di questa pianta difficile”(1).
Oppure facilissima. Se si osserva come splendide tanto spesso sboccino, rigogliose e tenaci, nei giardini abbandonati. Le erbacce non le turbano, contemplano dall’alto della loro incommensurabile bellezza i cespi selvaggi di parietaria che nessuno riuscirà mai ad estirpare e confondono il loro giallo sublime, screziato d’oro e di miele, con le corolle volgari di qualche grespino di passaggio. Sembrano felici di essere lasciate in pace, felici del luogo in cui si trovano, sia esso un sofisticato roseto o l’angolo di una scala in periferia.
Mi trovo a passare di frequente sul limitare di questo piccolo giardino. Fino a poche settimane fa era costantemente presidiato da due grigi cani riottosi la cui vigile attenzione era impossibile eludere. Oggi invece è silenzioso, nel suo disordine ridondante, e, come si conviene alla stagione, ricco di fiori meravigliosi.

Salvia elegans

Salvia elegans

Lungo la staccionata in basso, fanno capolino le corolle smaglianti della Salvia elegans, detta salvia ananas per quel profumo esotico che amana dalle sue foglie. L’avevo coltivata anch’io, per un tempo breve, stroncata poi da un inverno troppo rigido. Qui cresce rigogliosa ed alta, intrecciata alla siepe di fotinia, alla ricerca della sua luce.

Poco più su, la ringhiera arruggunita non riesce a contenere l’esuberanza di un “verde melograno dai bei vermigli fior” (Punica granatum). E fra la mirabile rosa gialla e un’altra, rossa a corolla semplice, al riparo di un lucido e puntuto cespuglio di agrifoglio (Ilex aquifolium), un’ortensia (Hydrangea macrophylla) già prepara un’abbondante fioritura.

Come devo chiamare questo giardinetto? E’ verde urbano o terzo paesaggio? E quanti giardinetti più o meno abbandonati si incontrano lungo la strada, intricati e oscuri, sudici e vagamente inquietanti, ma pronti a ricoprirsi di fiori inaspettati nel mese più ricco e generoso dell’anno? In fondo anche il mio giardino, a cui pure dedico tanto del mio tempo libero, può, da certe angolazioni, sembrare un incolto. Se lasciata a prosperare da sola, la vita verde trova la sua strada e gli espedienti migliori per sopravvivere, fra acqua e sole, l’unico cibo di cui ha bisogno, e se riesce a mantenersi al riparo dai veleni più insidiosi dell’attività umana, per riprodursi, tanti e tanti anni ancora.

(1)Eliana Bouchard – Louise. Canzone senza pause, Bollati Boringhieri, 2007

I fiori del nespolo

Eriobotrya japonica - nespolo del Giappone

Eriobotrya japonica – Fontanegli

Diversi anni fa, in primavera, i miei gentili vicini, due fratelli d’altri tempi, veri appassionati di orti e giardini, mi portarono in regalo una cassetta di frutti singolari: piccole nespole dalla polpa quasi bianca, morbide e saporite, una vera rarità dalle nostre parti. Era stato un anno particolarmente mite e loro erano i primi ad essere stupefatti di quell’abbondante raccolto. Le nespole che si trovano al mercato già a marzo provengono dalla Spagna o dal Sud Italia, mentre è raro che i nespoli portino frutti a maturazione alle nostre latitudini. Invece fiori se ne vedono tanti, da novembre a febbraio, carnosi e profumati in pannocchiette bianche fra le foglie lucide e spesse. I fiori dell’inverno.
Il nome volgare dell’albero è nespolo del Giappone e già qui si incespica in due inesattezze che confondono un poco.

Eriobotrya japonica

Eriobotrya japonica – Castelletto

Eriobotrya japonica è soltanto lontano parente di quel Mespilus germanicus a cui si deve più correttamente il nome di nespolo (vedi 5 ottobre 2009).
Certo, appartengono alle stessa famiglia delle rosaceae, e certo i frutti hanno una vaga somiglianza; ma nulla di più. Il ‘falso nespolo’ poi non è neppure giapponese, ma cinese. Una storia complicata, e lunghi viaggi, hanno imbrogliato le sue vere origini.
Se in Campania e in Sicilia, nel sud della Spagna e in Algeria, Eriobotrya japonica ha trovato una seconda patria, adattandosi perfettamente e producendo ottimi frutti, nei giardini della città gli alberi di nespolo sembrano un po’ spaesati, con le loro lunghe foglie persistenti, sferzate e macchiate dalle intemperie, con quei fiori invadenti, eppure invisibili nella nebbia invernale, miracolo sprecato, sempre troppo ‘fuori stagione’.

Primavera in casa

Spirea ulmaria

Spirea ulmaria

Kerria japonica

Kerria japonica

Non mi allontano molto da casa, non è permesso nè prudente in questi giorni, limpidi e surreali. Dobbiamo isolarci e vivere un po’ in gabbia. Così non mi allontano dal mio giardino, ma soltanto allungo quattro passi in su, verso gli incolti abbandonati che circondano la vuota casa vicina, ingombri di vegetazione opulenta, reminiscente delle cure affettuose dei proprietari scomparsi. Dietro la casa c’è un lussureggiante cespuglio di spirea bianca, l’elegante cugina della gloriosa olmaria che sto cercando di crescere nel mio orto. Il verde acerbo e delicato del prato si specchia nei vetri chiusi. Macerie e detriti ingombrano il giardino e i ruderi di serre e gazebi, ma impallidiscono accanto alle fioriture che avanzano, sotto le ultime grandi corolle della magnolia nufìdiflora, ormai coperta di foglie, e le prime esili pannocchie pendenti di glicine rosazzurro. Appoggiata ai vecchi vetri di una veranda che ha visto tempi migliori, la kerria, solare rosa del Giappone, non si  risparmia e si sbraccia, disperdendo una pioggia di bottoni gialli sulle pareti corrose.

Primavera

Lunaria annua e Urtica dioica

Poco più in là, sulla fascia, è tutta una distesa di violetto e rosa, in tanti minuscoli fiori di campo, il lamio, l’ellera terrestre (15 aprile 2009) e la bugola (18 aprile 2009), ma soprattuto l’esile e flessuosa lunaria, quattro petali rosa disposti a croce, da cui matureranno i traslucidi “medaglioni del papa”. Eccola ai piedi di una scala a pioli abbandonata, seminascosta nell’erba,  fianco a fianco all’ortica, protagoniste della stagione che si rinnova.

Hedera helix

Hedera helix

 

In fondo è stata una bella passeggiata, ho incontrato tanti vecchi amici che avevo perso di vista per un po’, perchè la maggior parte di loro non si incontrano d’estate, autunno e inverno, e alcuni hanno una stagione così breve che bisogna sbrigarsi a salutarli prima che scompaiano di nuovo.
Tenace e stabile invece, ricercata e negletta, si allunga testarda su un pezzo di muro l’edera, quella vera. Ma neppure lei si lascia scappare l’incontro con la primavera e cresce foglie tenere e delicate, forme bizzarre che ornano la parete come ricami.

L’Amelanchier, quest’anno

Amelanchier

Amelanchier canadensis
28 marzo 2020

 

Ma la primavera quest’anno è davvero in anticipo? Sembrava proprio di sì, dopo un inverno quasi inesistente, e un caldo febbraio. Marzo, poi, quasi non l’abbiamo vissuto e chissà che ne è stato della primavera…

Non è ancora pronto il piccolo Amelanchierpero corvino che un anno fa era già riccamente fiorito e oggi mostra solo grappolini di boccioli, seminascosti ancora fra le foglie.

Amelanchier canadensis
30 marzo 2019

 

No, la primavera non è in anticipo. Così pensavamo certo fino a qualche giorno fa, ma poi si è alzato un vento gelido e teso che ha portato la neve sulle colline. Così per qualche giorno starcene tutti chiusi in casa come marmotte in letargo non sembrava neppure una cattiva idea.

Oggi la primavera è tornata, ma niente da fare, quest’anno si sta a casa. Niente gitarelle per borghi, per scoprire le prime fioriture fra campagna e città. E occhieggiare nei giardini piccoli e grandi per rubare colori e idee. Niente scampagnate nei prati e fiere di stagione per incontrare e conoscere nuove piante. Quest’anno si sta a casa, anche se è primavera e il giardino lo sa. Il giardino è pieno di fiori, e anche l’Amelanchier non si farà attendere. Sono stupita però che quest’anno sia così in ritardo …

Primavera in gabbia

Cotogno da fiore

Chaenomeles speciosa

Guardo il magnifico cotogno da fiore in un giardino sul bordo della strada. Sì, sono per strada, anche se per poco ovviamente, in questa surreale primavera in gabbia. E no, non ho con me la macchina fotografica. Così per un istante il cellulare esce dalla tasca e fa un piccolo scatto veloce, oltre la ringhiera, quasi vergognandosi (il cellulare è anziano e poco attento, la fotografia è scadente).

Me le ricordo nelle primavere passate, le generose fioriture dei Chaenomeles per le fasce o negli orti, o dietro le inferriate di qualche semplice giardinetto, quei groppi di fiori perfetti, rosa acceso o rossi, una macchia di colore sgargiante che sfonda il grigio medio di fine inverno.

Quest’anno come sempre la natura fiorisce e nulla la ferma, neppure il vento teso che questa mattina ha raggelato il sole. Difficile trovare parole non scontate per descrivere il nostro isolamento. Preferisco non cercarle, e guardare i fiori.

Vedi anche :
Cotogno da fiore
Primavera in gabbia

L’evonimo e le ville di Fontanegli

Euonymus europeus

Euonymus europeus

Fontanegli è una piccola frazione del comune di Genova abbarbicata sulla collina. Un gruppo di case vecchiotte, fra cui la mia, circondano la chiesa di San Pietro e l’oratorio di San Giacinto. Ci sono anche tre antiche ville nobiliari che risalgono al XVI e XVII secolo ed erano le residenze estive di famiglie nobili che durante l’anno risiedevano nei palazzi di città.
La villa più alta e anche quella più in alto di tutte, villa Raggi, si trova a due passi dalla chiesa parrocchiale ed è stata ristrutturata nel 1994, con modifiche profonde dell’interno per ricavarne più appartamenti. Quella più in basso, più a valle delle tre, è la più nascosta, ed è la storica villa Thellung, dove si narra Goffredo Mameli compose il suo inno.
A metà costa, poco sotto la chiesa  scendendo per salita superiore alla Chiesa di Fontanegli e per la carrozzabile via Giovanni da Verrazzano, ecco villa Ferretto, la più vasta di tutte. Attualmente è una casa di riposo per anziani, ma nel 1500 era una residenza privata. Di proprietà delle suore domenicane, fu convento, asilo, collegio e scuola. La villa possiede una cappella dove veniva celebrata privatamente la messa, ed è proprio questa cappella che appare in questa foto, dietro ai tranci secchi dell’evonimo, ornati di bacche rosa scuro. Ho visto questa cappella aperta solo in occasione delle cerimonie funebri per qualche ospite della casa di riposo, una porta aperta invece del portone mezzo chiuso che usava nei palazzi ai tempi della mia infanzia per testimoniare il lutto del condominio.

Euonymus europeus

Euonymus europeus


Pianta singolare, selvatica e raffinata, l’evonimo, con le sue bacche, velenose, a quattro scomparti come il berretto dei preti (da cui il suo secondo nome), con il suo legno duro e particolare con cui si fabbricavano i fusi per filare la lana (da cui il suo terzo nome, fusaggine).

Le notizie sulle ville le ho lette su un cartello illustrativo che si trova a Bavari all’inizio della discesa di via San Colombano, scritto a cura dagli alunni della scuola elementare di Fontanegli anni scolastici 2000, 2001 e 2002. Ho fatto bene a fotografarlo e ricopiarlo per bene perchè la pioggia lo ha ormai completamente cancellato, e non so neppure se esiste ancora la scuola elementare.

Altri post sull’evonimo:
fiori dell’evonimo
12 agosto 2008
31 dicembre 2009

Principessa vitalba

Clematis vitalba

Clematis vitalba

Le sue parenti più strette, le clematidi, sono fra le più raffinate interpreti dei romantici giardini inglesi. Hanno petali sottili e lisci come seta dai ricercati colori pastello. Avvinghiano con circospezione i loro esili steli su ordinati tutori, allungando garbatamente verso il cielo i loro germogli.
La vitalba, invece, è una ragazzaccia scapestrata, disordinata, impudente, vorace.

Come è risaputo, le brave ragazze vanno in paradiso, ma quelle cattive vanno dappertutto. Ed ecco che la vitalba si diffonde invadente in ogni angolo verde, in ogni giardino, campo o bosco. Si arrampica sugli alberi secolari e li avvinghia, gettando liane possenti fra tronco e tronco.Tesse trame robuste nel folto delle foreste e nelle siepi, e non disdegna affatto le recinzioni e le ringhiere di città.
Come scrive Mirna Medri nella scheda che ha curato per actaplantarum, si adatta alla maggior parte dei suoli, e, seppure ora appaia in regresso a seguito alla scomparsa di siepi e di arbusteti, ha la capacità di ricolonizzarsi repentinamente, sui muri abbandonati, in luoghi selvatici, al margine di fossati e canali.

Più che una protagonista della flora urbana, la vitalba ne è la principessa. Delle sue sorelle clematidi da giardino ha mantenuto gran parte della bellezza. D’estate si copre di profumatissimi fiori bianchi, dai petali, o per meglio dire sepali petaloidi, vellutati, e d’autunno di curiosi frutti piumosi (10 agosto 2008), che formano nuvole impalpabili sugli steli nudi. Si spoglia d’inverno. Ma resistono i suoi lunghissimi fusti bruni, possenti come cavi d’acciaio.
Qui la incontro, fiorita, lungo una crosa di collina, ad allietare un magazzino quasi abbandonato.