L’Amazzonia di Crevari

Sant'Eugenio di Crevari

Panorama verso il mare con la chiesa di Sant’Eugenio di Crevari

Crevari è un piccolo borgo elevato sopra la spiaggia di Voltri, nell’estremo ponente genovese, rinomato non solo per lo straordinario panorama, ma anche per le focaccette, deliziose frittelle di farina e patate, e per il presepe meccanizzato che viene allestito nel periodo natalizio vicino alla chiesa parrocchiale di Sant’Eugenio.
Salendo dal mare lungo la via Antica Romana, cioè la via Aurelia, si stacca quasi subito una piccola strada, via alla Soria, che costeggia un microscopico corso d’acqua e, lasciandosi indietro l’ingombrante presenza dell’autostrada A12 che sfreccia verso Arenzano e Savona, ci si trova ben presto immersi nella foresta. Lungo il torrentello, sotto i lecci, ornielli, ligustri, ontani e ombrelli di sambuco nero, l’aria è umida e spessa in un inizio d’estate che ci fa sentire quasi ai tropici.

Amazzonia Crevari

Il bosco di via alla Sora

Le sponde del ruscello sono ornate di edere e muschi, ma sono le felci a far da padrone, con un ampio cespuglio di Asplenium trichomanes che non ricordo di aver mai incontrato così lussureggiante. Le specie autoctone si alternano a nuovi arrivati, perfettamente a loro agio e rigogliosi, come Ligustrum japonicum, un’asiatica sempre più frequente nei boschetti suburbani.

Asplenium trichomanes

Asplenium trichomanes

La strada raggiunge ben presto le case Porcelletta, una piccola frazione di una decina di edifici, con orti e giardini un po’ selvatici che hanno contribuito ad arricchire il paesaggio di specie sfuggite alla coltivazione, cespi di ortensie blu in mezzo al bosco, tralci di cucurbitacee non identificate, belle di notte (Mirabilis jalapa),  iris e calle (Zantedeschia aethiopica) in mezzo all’erba dei prati.

Adiantum capillus-venerisBegonia grandis

Adiantum capillus-veneris
Begonia grandis

In basso serpeggia il rio e, fra i sassi e muschi, una piccola cascata forma un laghetto all’apparenza abbastanza limpido, ornato di capelvenere (Adiantum capillus-veneris) e begonia (Begonia grandis) come fosse un raffinato ninfeo dei palazzi dei Rolli.

Proseguo la strada più in alto e l’atmosfera tropicale si allontana. Scopro mirabili frammenti di primavera temperata, fiori interessanti, come la Jasione montana, un piumino azzurro della famiglia delle campanule che avevo incontrato per la prima volta sulle sponde del mar Baltico,  e la Blackstonia perfoliata, un grazioso fiore giallo della raffinatissima famiglia delle genziane, che deve il suo nome generico a un oscuro, anche se nobilissimo, farmacista e botanico inglese del diciottesimo secolo, John Blackstone, mentre il nome della specie descrive come le sue piccole foglioline grigio argentate abbracciano completamente il fusto.

Jasione montana

Jasione montana

Blackstonia perfoliata

Blackstonia perfoliata

Dopo un largo giro, sempre in prossimità di altre abitazioni e lungo tracciati più o meno carrabili, incontro il più grande albero di corbezzolo (Arbutus unedo) che abbia mai visto. Il tronco è veramente massiccio, quasi come quello di un albero monumentale, e le foglie incredibilmente piccole rispetto a quelle di un suo congenere di dimensioni normali; ma i tondi frutti bitorzoluti, benché ancora piccoli e verdi, non lasciano dubbio sulla sua identità.

 

 

 

Arbutus unedo

Arbutus unedo

Trifolium arvensis

Trifolium arvensis

Scendendo verso  la chiesa di Crevari, lungo l’antica mulattiera bordata da una distesa di pennacchi argentei di Trifolium arvensis, fa capolino un germoglio di giuggiolo (Ziziphus jujuba), albero tradizionale, dalla crescita lenta. Questo esemplare, abbandonato fra le pietre del selciato è ancora così piccino che  mi domando se in quella posizione diventerà mai abbastanza grande da maturare dei frutti.

Ziziphus jujuba

Ziziphus jujuba

Amazzonia di Crevari

Acanthus mollis
Carex pendula
Cyrtomium falcatum

Alla fine sono tornata sulle sponde del minuscolo rigagnolo dell’andata e la riva è ancora rigogliosa e densa di piante lussureggianti. Fra i robusti cespi di acanto (Acanthus mollis) già pronti per la gloriosa fioritura e folti ciuffi di carice (Carex pendula), fa capolino la lunga foglia sinuosa dell’elegante felce Cyrtomium falcatum, anche lei un’esotica naturalizzata.

Piazza Roma, Chiavari

piazza RomaJacaranda mimosifolia

Jacaranda mimosifolia

Una delle più grandi piazze di Chiavari, cittadina del Levante ligure, in giugno si colora di Sicilia, perché la vegetazione di cui si è ornata sembra competere con quella delle più lussureggianti strade di Palermo. Piazza Roma è ampia, di forma rettangolare, bordata di edifici con larghi portici e di vaste aiuole alberate. Brilla l’azzurro violetto della Jacaranda mimosifolia, una bignoniacea  subtropicale che non è così facile incontrare in Liguria. Gli alberi sono ancora piccoli a confronto con i loro fratelli del Sud, ma il colore è ancora più affascinante.

piazza RomaBrachychiton acerifolius

Brachychiton acerifolius

Poi basta attraversare la piazza con un po’ di attenzione per accorgersi che la Jacaranda non è che una delle bellezze in mostra.

Snello e rosseggiante, Brachychiton acerifolius una malvacea di origine australiana, ha larghe foglie palmate verde brillanti e fiori di un colore così intenso che gli hanno meritato il nome di albero fiamma. Una fiammata è la sua fioritura di giugno in una bella giornata di sole dello scorso anno. Quest’anno il sole si fa desiderare, ma non dubito che il Brachychiton  già sfoggi con orgoglio i suoi fiori purpurei.

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba

Ecco una vecchia conoscenza, il Ginkgo biloba,  albero immortale e fossile vivente, protagonista di molte leggende. Si dice per esempio che fosse reputato estinto,  per poi ricomparire quasi miracolosamente per opera di monaci buddisti. Effettivamente sembra che questa pianta abbia una grande capacità di risorgere da morte apparente, come è capitato ad alcuni di esemplari dopo l’esplosione atomica di Hiroshima, ma anche all’albero dell’orto botanico di Lucca più semplicemente colpito da un fulmine, una storia che ho già raccontato.

piazza RomaGinkgo biloba

Ginkgo biloba

Gli alberi di Gingko di piazza Roma sono imponenti, nobili di portamento e dal dolce fogliame, attraente anche nella stagione verde e certamente ammaliante quando le sue foglie bilobate diventeranno vivido giallo.

Cycas revoluta

Cycas revoluta
Jacaranda mimosifolia

Fra i complementi di arredo di una piazza così elegante non potevano mancare alcune massicce cycas, piante amatissime o talvolta odiate, a seconda dei gusti. Le cycas sono oggi più diffuse di qualche tempo fa perché recentemente, e in modo apparentemente inaspettato, gli esemplari maschili, un tempo piuttosto rari e indispensabili alla moltiplicazione, hanno cominciato a comparire sempre più numerosi, fecondando abbondantemente le femmine e rendendo queste piante più comuni e assai meno pregiate(1).

Schinus_molle

Schinus molle

Varie altre essenze completano il corredo, come l’elegante Schinus molle, il cosiddetto pepe rosa. Questa specie di Schinus è comune nei nostri giardini e le sue bacche, dapprima verdi poi sempre più viranti al rosso quando maturano, hanno un aroma affine a quello del pepe nero (che è una pianta assai diversa). La famiglia è quella delle Anacardiaceae, come il pistacchio, lentisco e terebinto. E come il pepe rosa brasiliano, un altro Schinus, ma non proprio comune, neppure a Chiavari.

(1) Agostino Muratori  – Collezione di spine Bompiani 2021, pag. 114

Le erbacce di Roma

Erbacce Allium

Shefflera heptaphylla
Allium triquetrum

Un giorno di nebbiosa primavera provo a contare le erbacce della strada, ed ecco che la strada, disordinata e lussureggiante, già offre materia per un piccolo erbario. All’ingresso di una bottega, oggi, ma chissà da quanto tempo, sprangata da una saracinesca, qualcuno ha collocato un massiccio vaso di cemento che accoglie una rigogliosa ed esotica Shefflera heptaphylla.

Allium_triquetrum

Allium triquetrum

Ma non è lei che mi interessa perché, al di là dello scarno verde da arredo urbano, quelle che cerco sempre sono le piante che vivono ai margini, che colonizzano i brandelli di terra morbida intrufolata fra le pietre e l’asfalto.

Erbacce

Allium triquetrum
Urtica urens

Proprio sul cammino di chi dentro questo negozio si apprestasse ad entrare fiorisce, sfrontato e delicatissimo, l’aglio triquetro (Allium triquetrum), con le sue graziose e timide campanelle.
Continua la sua fioritura lungo tutto il marciapiede di via Leopoldo Ruspoli, immerso fra rigogliose ortiche. Una delle specie più diffuse, l’ortica minore (Urtica urens) ha foglie leggermente più piccole delle altre, sempre verdissime nella primavera, e fusti più corti.

Erbacce Capsella

Capsella bursa-pastoris

Poco lontano, ai margini del marciapiede e ai piedi di qualsiasi paletto, cresce a cespi l’immancabile borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris), minuscola e coraggiosa pianticella, già fiorita e carica di frutti, le microscopiche siliquette a forma di cuore. Tutte erbacce, piante modeste, quasi invisibili, tutte piante alimurgiche e officinali, utili e benedette da una tradizione che le piante onorava e rispettava.

Antirrhinum majus

Antirrhinum majus

Forse coltivata, ma certamente a suo agio, la bocca di leone (Antirrhinum majus) spenzola le sue corolle sgargianti e lascive da un muretto privato. Un colore sfrontato, incurante della sporcizia che la circonda, ma non la sfiora. Pianta selvaggia e nobile, anche lei tiene strette le sue antiche proprietà medicinali.

Malva multiflora

Malva multiflora

Ora mi getto in un viuzza stretta, vicolo della Serpe; è a senso unico, ma non per questo meno trafficato e devo fare attenzione alle auto che sbucano sgommando da dietro la curva. Questa strada costeggia un grande parco di lecci, protetto da alti muri e credo abbastanza inaccessibile. Non si tratta di un parco privato, ma di un’area comunale dove trovano posto edifici di pubblica utilità, un presidio medico della Croce rossa e un altro adibito a ambulatorio SERT. Tuttavia non so se sia così facile entrare per chi volesse semplicemente godere di un po’ d’ombra.

Allium neapolitanum

Allium neapolitanum

Al margine del bosco fiorisce la malva, alta e brillante, quella che una volta si chiamava  Lavatera, oggi Malva multiflora. Le sue corolle soavemente rosate sono quasi commoventi; ma le ampie foglie palmate non lasciano dubbi sul vigore della pianta.

Alliaria petiolata

Alliaria petiolata

Ai suoi piedi cresce un altro aglio selvatico, assai comune, Allium neapolitanum, una specie diffusa soprattutto al Sud, come suggerisce il nome, ma ormai di casa ovunque in Italia. Dell’aglio invece condivide soltanto il profumo, e a questo deve il suo nome,  l’alliaria comune (Alliaria petiolata), una brassicacea (famiglia del cavolo e della rucola) assai diffusa negli incolti, dai timidi fiori bianchi.
Poco più in là incontro vecchie conoscenze, il caglio attaccavesti (Galium aparine), dalla sottili foglie appicicose, e il geranio purpureo (Geranium purpureum), dai minuti fiori rosati.

Erbacce

Galium aparine

Quest’ultimo è un geranio propriamente detto, a differenza della schiera di gerani da balcone che appartengono al genere Pelargonium.

Geraneum purpureum

Geranium purpureum

Ma proprio come i gerani da balcone, questo piccolo loro cugino ha la stessa proprietà di fiorire con costanza ininterrotta da marzo a novembre e talvolta anche di più. Piccole corolle instancabili si accendono senza sosta ai bordi delle strade e dei campi.

Carduus pycnocephalus

Su bordo del muraglione lungo la via Portuense si allunga insidioso e ruvido il cardo saettone (Carduus pycnocephalus), anche lui dominatore delle strade e degli incolti, con i suoi densi capolini rosa acceso e le lunghe foglie affusolate adorne di aguzze spine. Lo guardo senza avvicinarmi troppo, è lurido e infido, eppure anche lui, un tempo, era un’erba buona.

Kalanchoe, una nuova arrampicatrice

Kalanchoe

Kalanchoe daigremontiana
via Lunati, luglio 2023

Kalanchoe daigermontiana

Kalanchoe daigremontiana
via Lunati, marzo 2024

La Kalanchoe del Madagascar (Kalanchoe dagremontiana) è una rampante colonizzatrice e si prepara alla conquista delle città. Ho già raccontato le gesta di questa pianta straordinaria in varie occasioni, dal giorno in cui l’ho incontrata per la prima volta, fino a quando ho cominciato a sperimentare la sua incredibile vitalità, ritrovandola a crescere e fiorire in ogni vasetto e ogni buchetto in cui capitava uno dei suoi magici propaguli.

Kalanchoe daigremontiana

Kalanchoe daigremontiana
dietro il vetro della serra

E’ un’infestante sfacciata e incorreggibile la cui capacità di riprodursi ed espandersi con facilità è davvero sorprendente. Ha lasciato stupefatta una mia amica che l’ha scovata, eretta e meravigliosamente in fiore vicino a un cactus malaticcio, in un vaso senza terra, lei che con le piante, confessa, non ha mai avuto arte.
L’unica cosa di cui questa Kalanchoe ha bisogno è un clima sufficientemente mite. Ed è così che negli ultimi anni, forse complice l’aumento della temperatura media delle città, la scopro a crescere e fiorire negli anfratti dei muri, negli angoli dei marcapiani, fra piastrelle e cemento.  In questo palazzo di via Giuseppe Lunati, zona via Portuense a Roma, già quest’estate a luglio ne avevo adocchiato un robusto germoglio spenzolare fuori da un terrazzino, con tutte le fogliette già attrezzate con le loro cartucciere di propagoli. Non si è fatta pregare ed è cresciuta in altezza e bellezza, ornandosi di mazzi di campanule rosse. Ed ecco che, senza alcuna spesa, una grigia facciata si veste di colore. Certamente prima o poi qualche solerte abitante si preoccuperà di estirparla, ma non credo se ne libererà facilmente, perché la Kalanchoe non guarda in faccia a nessuno per prosperare rigogliosa e indomabile.

Da sempre sboccia inaspettata nella mia serra, spuntando da un buco dell’impiantito o in qualche vaso, una pianta negletta eppure felice, accanto a tante altre che sempre hanno bisogno di attenzioni e cure per dare assai meno di lei.

Mandarino cinese

Kumquat Mandarino cinese

Citrus japonica

Mi trovo per caso nel quartiere di Marassi, un affastellato di ripidi condomini che si inerpica sulla collina, e in un cortile di via Raffaele Ricca (ma chissà chi era costui), scopro un grande albero coperto di frutti molto colorati. E’ un kumquat di taglia decisamente grande e accanto a lui cresce l’immancabile ligustro (Ligustrum lucidum), leggermente oppressivo, e un timido sambuco nero (Sambucus nigra), almeno quest’ultimo specie selvatica e indigena delle nostre terre.

Kumquat, ligustro e sambuco

Citrus japonica
con Ligustrum lucidum e Sambucus nigra

Tre alberi in un piccolo giardino sul bordo di una piccola strada fra cemento e inferriate. Il kumquat viene chiamato mandarino cinese, nome curioso e necessariamente generico, dato che praticamente tutti gli agrumi, e il mandarino in particolare, vengono dalla Cina (1).  Una volta pensavo che il suo nome corretto fosse Fortunella japonica, nome curioso e divertente, ma oggi lo trovo sempre chiamato Citrus japonica, che vorrebbe dire agrume giapponese. Il sapore, è noto, non assomiglia al mandarino, ma è decisamente più acidulo e la polpa è gustosa, ma più dura. Forse i frutti di questo esemplare non saranno particolarmente appetibili e forse non era intenzione di chi l’ha collocato qui di utilizzarlo per dessert. Quest’albero mi ha stupito perché è molto grande e molto carico, assai di più di quelli che avevo visto anni fa in riviera, ma mi rallegra che sia così felice in un luogo in cui gli alberi certamente danno assai di più di quello che ricevono.

 

(1) Oggi ho soddisfatto una piccola curiosità chiarendo una volta per tutte che cosa abbiano in comune il gustoso frutto invernale, i funzionari e la loro lingua. La parola mandarino venne usata dai portoghesi per designare i funzionari dell’impero cinese che vestivano di arancione e usavano la lingua dotta ancora oggi nota come ‘cinese mandarino’. Quindi prima ancora dei kumquat e dei mandarini propriamente detti, i mandarini erano delle persone.

Esotiche da città

Schefflera heptaphylla

All’ingresso di uno dei parcheggi più centrali della città, poco sotto quella piazza Piccapietra dove crescono le lantane, una pianta si fa notare, ampia e rigogliosa. Le foglie si reggono su lunghi piccioli, e sono composte da una raggiera di foglioline, cinque, o meglio sette, ma anche otto o più, lucide e color verde brillante, ciascuna a sua volta dotata di un corto picciolo. Mi ricorda qualche cosa, certamente una pianta da appartamento, ma il nome non lo conosco. Indago. E’ una pianta subtropicale, e viene dal Sud Est asiatico, importata prevalentemente in qualità di pianta da appartamento, resistente e facile da coltivare in casa. Il suo nome è Schefflera, in onore del botanico Johann Peter Ernst von Scheffler, nativo di Danzica e quindi un po’ tedesco e un po’ polacco. La specie dovrebbe essere S.heptaphylla, ovvero con foglie composte da sette foglioline (e se sono di più tanto meglio) e la sua famiglia è quella delle Araliaceae, la famiglia delle calle e dei gigari.

Schefflera heptaphylla

Dopo aver fatto tanta strada, la rigogliosa Schefflera non ha certo fatto fatica ad uscire dagli appartamenti e ad adattarsi all’angusto terriccio di un’aiuola di cemento sul bordo della strada. Nei suoi luoghi di origine (Indocina, Cina sudorientale, Taiwan e isole giapponesi Ryukyu) è utilizzata come pianta medicinale e sforna grappoli di bacche arancioni, che quest’esemplare di città forse non ci mostrerà mai. Pazienza. Dobbiamo accontentarci del suo verde intenso, della magia delle sue foglie che resistono all’inverno, ormai più umido che freddo, ma sempre inverno e avaro di sole. E magari stupirci di un’altra intrusa, esotica e straniera, che conquista il suo spazio nelle microscopiche e asfittiche aiuole di città.

Boschi suburbani

Bosco suburbanoSono sempre alla ricerca di qualche brandello di bosco non troppo lontano da casa e poiché abito veramente in periferia, qualcuno la definirebbe perfino ‘campagna’, nei boschi mi immergo non appena possibile. Ma lungo le stradine secondarie e i tratturi che si allontanano, ma non troppo, dall’attività umana, a volte faccio incontri singolari. Mi chiedo quale messaggi comunichi un frigorifero abbandonato in mezzo al sentiero, all’ombra di carpini e castagni. Pigrizia? Sciatteria? Disprezzo per la natura? Sono stupita, è certamente più faticoso portarlo fino a qui che a uno dei civici punti di ritiro per i rifiuti ingombranti. Sembra invece che, costi quello che costi, l’uomo debba lasciare sempre la traccia, sporca, pesante, del suo passaggio.

Bosco suburbano

Ruscus aculeatus

La natura resiste e contrattacca con la sua fiera bellezza. Anche nel cuore dell’inverno contrappone le sue nitide forme pulite allo scempio della spazzatura. Il pungitopo (Ruscus aculeatus) ha punteggiato il bosco spoglio di lucide perle rosse e non si lascia certamente intimidire da questo sordido resto della cosiddetta civiltà umana. Perché se è indubbio che le latrine rappresentino un importante conquista per l’organizzazione sociale, abbandonare la ceramica usata nel magico sottobosco semi dormiente di gennaio non è propriamente un gesto di grande eleganza. Che bel contrasto quelle bacche scarlatte con l’insipido candore di un vecchio manufatto umano.

Il carrubo di via Posalunga

Carrubo - Ceratonia siliqua

Ceratonia siliqua

Le città di mare, e soprattutto le città mediterranee, hanno il privilegio di ospitare piante che le altre città non possono permettersi. Allora succede che a Genova sul margine di una strada urbana si incontri uno strano albero, con la chioma rotonda, verde scuro e le foglie lucide, che, forse, meriterebbe un po’ più di attenzione. Il carrubo non è un albero raro, ma neppure banale. Qui all’inizio di via Posalunga, in valle Sturla, nel centro est della città, cresce sopra al marciapiede, in prossimità di un semaforo che è molto improbabile trovare verde. Così gli automobilisti sono costretti a fermarsi proprio di fronte al carrubo. Ma c’è qualcuno che lo guarda? Direi proprio di no, sono tutti troppo occupati a fissare nervosamente quella luce rossa che sta inesorabilmente rallentando i loro programmi. Altre persone si affollano alle fermate dell’autobus, sotto il carrubo e di fronte al carrubo, sono stanche o irrequiete, se ne stanno in silenzio, guardano il cellulare oppure chiacchierano animatamente. No, non c’è proprio nessuno che mostra alcun interesse per quell’albero.

CaruboCeratonia siliqua

Ceratonia siliqua – foglie e baccelli

Il carrubo, Ceratonia siliqua, famiglia Fabaceae, è un sempreverde originario della fascia più calda e arida della costa sud orientale del Mediterraneo. Come e quando esattamente sia arrivato nelle regioni italiane non si sa con precisione e per questo viene classificato come archeofita naturalizzata. Il carrubo ha piccoli fiori insignificanti, ma i suoi frutti, legumi, sono invece  assai celebri, i bruni baccelli delle carrube. I semi vengono utilizzati come mangime per il bestiame, ma sono commestibili anche per l’uomo e sono protagonisti di molte leggende. Vengono impiegati per preparare succhi zuccherini con proprietà curative per le affezioni dello stomaco e dell’intestino. I semi essiccati hanno un peso uniforme e questa caratteristica ha suggerito in passato di utilizzarli come unità di misura di peso (karato) per le pietre e i metalli preziosi.

Ligustrum lucidum

L’ingresso del Centro Civico e Ligustrum lucidum

 

Il carrubo di via Posalunga si trova vicino al numero 12, sede del Centro Civico comunale Valle Sturla, uno “spazio di aggregazione per attività ricreative, culturali e del tempo libero”. Cresce insieme a un gruppetto di svariati alberi, lecci, pini, olivi, ligustri, che formano una piccola macchia di essenze mediterranee. E’ molto probabile quindi che sia stato scelto insieme agli altri per abbellire questo terrazzamento che è esagerato chiamare giardino. Una breve scaletta sale verso via Copernico ed è tutta coperta dei bruni baccelli che contengono i preziosi semi. Naturalmente un albero urbano non è il più adatto a fornire frutti commestibili, ma viene comunque voglia di raccoglierli, magari soltanto per tenerli in mano, per osservarli un po’.

Ailanthus altissima

Ailanthus altissima
(in alto si intravede il carrubo)

 

Scendendo oltre l’incrocio verso la via Timavo, dentro un piccolo spiazzo che ospita un parcheggio privato, sta crescendo però un vero e proprio bosco. Un bosco di alberi tutti uguali, allampanati e verde pallido, che hanno ancora l’aspetto di giovani arbusti, ma avanzano conquistando spazio e luce. Sono gli ailanti e niente è capace di fermarli anche perché sono in grado di produrre sostanze, dette allelopatiche, che frenano la crescita e lo sviluppo di piante concorrenti vicine. Così l’ailanto ha un successo spietato nel formare popolamenti puri. Certamente già sono intervenute le motoseghe e le ruspe per difendere quella piazzetta per automobili e perfino sono state posizionate delle ringhiere, come se quelle misere inferriate fossero di qualche utilità per fermare la rampante avanzata dei polloni e dei germogli.
Proprio al di sopra della macchia degli ailanti, fa capolino quel piccolo gruppetto di alberi autoctoni, il carrubo, e i suoi vicini, quasi un baluardo di strenua resistenza contro l’invasione dello straniero.

Datura vagabonda

Datura wrightii

Datura wrightii

La Datura wrightii , pianta immacolata e suggestiva, faceva capolino ogni anno in un angolo del mio giardino. Nata in vaso da semi recuperati in qualche orto botanico, ogni anno rispuntava immancabilmente con abbondanti fioriture. Perenne, forse, o più probabilmente annuale, negli ultimi tempi cresceva al margine di un’aiuola sopra la strada, con le grandi campane bianche che penzolavano coraggiosamente dal muraglione. Per molto tempo è tornata, ma poi è sparita, e da alcuni anni non si era più fatta viva.  Gli alberi, un grosso ginepro e due forsizie, erano cresciuti ancora e l’angolo che si era scelto forse era diventato troppo angusto ed oscuro. Perduta, pensavo, e progettavo di riseminarla. Finché ieri, quasi per caso, la scopro sul bordo della strada, ai margini di un piccolo terrapieno di cemento dove alcuni vicini parcheggiano le auto. Fierissima e in piena fioritura, cresce alla base di un palo di sostegno, incurante della vicinanza invadente delle invasive più comuni, la morella (Solanum chenopodioides) e l’inula (Dittrichia viscosa).

Morella & Inula

Solanum chenopodioides
Dittrichia viscosa

Datura wrightii, stramonio di Wright, viene dall’America e certamente è stata introdotta come pianta ornamentale. In inglese le piante del genere Datura vengono dette devil’s trumpets, tromba del diavolo, mentre il più angelico nome di angel’s trumpet (tromba dell’angelo) è riservato, chissà perché, a una pianta molto simile, la Brugmansia, che con Datura ha veramente molto in comune, compresa la forma dei fiori e la tossicità, ma ha fusti legnosi e aspetto arbustivo.

Questa pianta mi ha mostrato in modo semplice il significato della definizione ‘alloctona naturalizzata perché sfuggita alla coltivazione’ e questa volta devo ammettere che ho contribuito anch’io a diffondere una specie estranea alla nostra flora. Ora so che Datura wrightii è una pianta annuale e quindi ricrescerà, se ne avrà voglia, dai semi sparsi dai rigidi frutti, capsule con aculei sporgenti, vere spine quando si seccano. E magari, chissà, ne crescerà un gruppetto.

Datura wrightii

Datura wrightii

Il nome Datura deriva dal sanscrito e  significa appunto ‘mela spinosa’, come spiegato da Linneo (vedi questa pagina), con riferimento alla curiosa forma dei frutti  e come indica uno dei nomignoli inglesi di questa pianta, thornapple. La specie D. wrightii, dedicata al famoso esploratore botanico americano  Charles Wright, si distingue perché le antere sono visivamente più corte dello stilo (vedi foto ravvicinata), mentre dovrebbero essere della stessa lunghezza nella specie simile D.innoxia.