Dalla val Trebbia alla val Roya, l’estate risplende di verbaschi, piante selvatiche e leggiadre, di antica rinomanza farmaceutica.
Il più famoso è il tasso barbasso, Verbascum thapsus, che colpisce l’immaginazione subito a causa del nome, tanto singolare quanto ovvio, semplice trasposizione in lingua italiana del latino. Verbascum deriva da barbáscum, che a sua volta probabilmente derivato da barba, con riferimento alle foglie pelose, o da vérber verga, per la verticalità del fusto che regge i fiori. Da ragazzina non conoscevo il nome delle piante e avevo dato loro dei soprannomi, il tasso barbasso era il fiore campanile, allampanato e inconfondibile, dai fiori profondamente gialli. Ho già parlato di questa pianta tanti anni fa, agli albori del blog (25 giugno 2008), ricordando come nei tempi passati i contadini ne usassero le morbide e larghe foglie per imbottire le scarpe, scarpe di pezza, o legno, rigide come pietre e abbondanti di misura, e renderle più morbide.
Ha il cuore viola porporino il fiore dell’altro verbasco, Verbascum nigrum, che ha foglie più lisce e dal peduncolo scuro. I suoi ‘campanili’ sono un po’ più bassi, con contrafforti meno possenti di quelli del tasso barbasso, ma ugualmente si stagliano vivaci e nobili sull’argento della roccia. Questa specie viene impiegata dalla medicina popolare come diuretico e quest’azione è effettivamente confermata dall’efficacia di particolari flavonoidi contenuti nella parte aerea.
Della famiglia della Scrophulariaceae, tanti verbaschi popolano la nostra estate. In città soprattutto incontriamo il Verbascum sinuatum (vedi anche 29 giugno 2009). Fiori stupendi, ma fragili; come quasi tutti i fiori selvatici, la loro schietta vitalità si spegne molto velocemente se recisi.