Eliantemo

Elinatemo Helianthemum nummularium

Helianthemum nummularium
luglio 2025  Pratomollo (Borzonasca, GE)

Helianthemum significa letteralmente fiore del sole, una denominazione per niente originale che potrebbe essere attribuita a tante piante della prima estate. Oltre al caratteristico colore dorato dei petali, c’è chi suggerisce che questo nome potrebbe essere dovuto all’effimera e fugace vita dei fiori stessi(1), un’altra caratteristica comune a tanti esemplari che popolano i prati di giugno. L’epiteto specifico sottolinea le stesse proprietà, cogliendo la somiglianza di queste corolle dal giallo smagliante a monetine d’oro (nummulus diminutivo di nummus, moneta).
La famiglia delle Cistaceae annovera alcuni fra i fiori più appariscenti della macchia mediterranea, con vividi colori, dal rosa al giallo, spesso di discrete dimensioni, che li fanno assomigliare alle rose selvatiche. Ma a differenza della rose, i cisti non fanno cinorrodi, ovvero frutti a forma di pomodorino, ma capsule legnose, spesso di forma poliedrica, che si fessurano liberando numerosi semi.

Helianthemum nummularium

Helianthemum nummularium
giugno 2005 monte San Nicolao, passo del Bracco (SP).

L’eliantemo non appartiene al genere Cistus, ma del cisto ha molte caratteristiche essendo della stessa famiglia, i fiori di colore acceso a cinque petali spiegazzati, le foglie verde bruno pelose e coriacee, il frutto a capsula legnosa, che in questo caso ha forma ovoidale. E’ un arbusto strisciante, dal fusto breve e legnoso. Il suo aspetto, solido e delicato, fresco e arido insieme, rappresenta un po’ il simbolo della fioritura lungo le assolate spalliere dei pendii mediterranei. Cresce nei caldi pascoli, ma anche in ambienti montani, fino a sfiorare i 2000 metri di altezza. Si incontra nei prati, ma anche in mezzo alla roccia e alla brughiera. Molti suoi parenti, ma soprattutto ibridi, sono ricercate specie ornamentali che prosperano nei giardini assolati. per quanto riguarda le specie spontanee, in Italia esistono ben sette sottospecie e non azzardo qui una determinazione accurata. Mi pare solo che la sottospecie più probabile sia Helianthemum nummularium  subsp. obscurum, ma più che altro tiro a indovinare.

Questo post è un aggiornamento di quello del vecchio blog 27 giugno 2008.

(1) Nicolini G. & Moreschi A. Fiori di Liguria Ed. SIAG Genova 1982, pag.219

Vescicaria

VescicariaColutea arborescens

Colutea arborescens

Questo bellissimo arbusto della famiglia delle Fabaceae, chiamato vescicaria, ma anche talvolta vesiscaria, mi era praticamente sconosciuto fino a qualche giorno fa, quando mi è stato presentato in un ambiente naturale speciale, l’Arboreto Prandi presso Sale San Giovanni (CN), accompagnata da NicoNemoNoè, tre nomi inscindibili per una straordinaria guida forestale e geniale narratore. Eppure l’arbusto in questione dovrebbe essere relativamente comune in ambiente mediterraneo, come tutte le altre ginestre, specie dei generi Genista, Spartium (vedi anche 27 maggio 2008), Cytisus e Laburnum, solo per citarne alcuni. Particolare è il suo frutto, un baccello rigonfio e vescicoloso, lungo fino a 7 cm, che diviene di colore marrone rossiccio a maturazione. Colutea è il suo nome greco, perché da tempi immemorabili è conosciuto. Ma non è appetibile, anzi è velenoso, e, imitando la senna, funziona da violento purgante. La vescicaria però è ornamentale e ampiamente sfruttata nei giardini assolati, tanto da diffondersi anche come pianta sfuggita alla coltivazione.

Erbe di San Giovanni

Hypericum androsaemum

Hypericum androsaemum

Hypericum handrosaemum

Hypericum handrosaemum

 

Il più famoso è Hypericum perforatum, il fiore ritornello della mia infanzia, con le sue celebratissime proprietà officinali, soprattutto antidepressive. Delle sue meravigliose qualità, avevo parlato diffusamente nel post a lui dedicato.
Quest’anno sono molto orgogliosa della crescita dei bel cespuglio di Hypericum androsaemum, già in frutto in giardino dopo la semina di due anni fa. Questa specie arbustiva è certamente ornamentale anche perché sfoggia bacche rigonfie e cangianti come ornamenti colorati, che persistono sulla pianta anche a lungo, come avevo mostrato in questo post.
Ma tante specie di iperico esistono, che in questa stagione si incontrano fiorite spontanee al limitare del bosco, e nei giardini. In un post piuttosto antico (10 luglio 2009) avevo mostrato l’Hypericum calycinum, appariscente specie ornamentale da giardino.

Hypericum tetrapterum

Hypericum tetrapterum

Singolare è la specie Hypericum tetrapterum, fotografata nel giugno di qualche anno fa nel parco della villa Durazzo Pallavicini di Pegli, ai bordi dei prati incolti e nell’ombra del bosco di lecci. Il nome deriva dalla forma del fusto, vistosamente quadrangolare, come dotato di ali.

Hypericum richeri

Hypericum richeri

Salendo in montagna poi, incontro Hypericum richieri, una nuova conoscenza che forse in passato avevo confuso con la ruta caprina, Hypericum hircinum, che in Liguria non sembra confermato. Il nome di questo iperico, anche detto erba di San Giovanni di Belleval, è un omaggio a Pierre Richer de Belleval, il primo professore di botanica francese e fondatore di uno dei primi giardini botanici di Europa, il Jardin du Roi di Montpelier.

Ceci e cicerchie

Cece Cicer arietinum

Cicer arietinum

Ho seminato i ceci (Cicer arietinum)  di Merella e quelli di Nucetto, entrambe paesi del Piemonte, il primo in provincia di Alessandria, il secondo di Cuneo. Ho seminato anche i ceci neri, che come origine dovrebbero essere pugliesi della Murgia e che sono gustosissimi, se lasciati a bagno due giorni prima di cuocerli. Sono tutti insieme in questo cespuglio e aspetterò ancora un  mese circa prima di raccoglierli, perché i ceci  vanno utilizzati soltanto dopo che si sono seccati completamente e poi vengono fatti rinvenire con ammollo nell’acqua. La pianta è quanto di più semplice e frugale si possa immaginare, germoglia e cresce senza bisogno di alcuna cura particolare, e fa piccolissimi fiori bianchi e rosa e ridicoli baccelli verdi, un po’ gonfi. Si potrebbe dire che è molto generosa, ma subito si alzerebbero le lamentele dei soliti saputelli, ‘i ceci, che spreco, solo uno, massimo due semi per baccello, che noia!’ E invece i ceci rendono e danno molte soddisfazioni, senza richiedere fatica, sono piante divertenti, rigogliose, morbide, sempre umide nella mattina, generose per gli occhi e per il palato. ll nome scientifico Cicer arietinum deriva proprio dalla forma dei semi secchi e significa “verruca a forma di testa di ariete”.

Cicerchia Lathyrus sativus

Lathyrus sativus

Ho seminato anche tre cicerchie (Lathyrus sativus), tre semi di numero, ed è nata una pianta. Ha fatto dei fiori biancazzurri e ora qualche baccello, piatto e scavato ai bordi. Dovrei dire (cito da actaplantarum)  un legume glabro, subgloboso, con due ali ai lati delle suture dorsali, contenente fino 5 semi  (in realtà 5 la vedo dura), lisci a sezione quadrata o trapezoidale, bianchi o bruni. Questi semi sono commestibili, consumati in molte regioni del mondo, un cibo povero, ma provvidenziale. Parlando delle cicerchie, sempre mi è venuto in mente il latirismo, malattia potenzialmente grave, di cui avevo parlato nei miei precedenti post su piante del genere Lathyrus  (L.sylvestris e L.venetus ) e di cui si può leggere e documentarsi nei testi di neurologia.  Certamente una patologia grave, legata all’alimentazione poco variata di chi aveva come primo obbiettivo quello di sconfiggere la fame e non poteva permettersi di preoccuparsi troppo degli effetti collaterali. Qualsiasi cibo ha qualche controindicazione, ormai anche il gettonatissimo pisello è stato iscritto al genere Lathyrus e condivide il nome con tutti i suoi parenti selvatici di così dubbia fama. Qualche cicerchia non ha mai fatto male a nessuno, anche se quando arriverà il tempo della raccolta chissà se le assaggerò, piuttosto le conservo per divertirmi nella semina del prossimo anno.

Dittamo

Dittamo Dictamnus albus

Dictamnus albus

Sul bordo della strada, scendendo da Creto verso la val Bisagno, ecco una fioritura straordinaria, alti grappoli rosa che mi sfilano velocemente accanto in mezzo all’erba alta del pendio. Così devo fermarmi, tornare indietro, vedere, fotografare. Dictamnus albus, dittamo, è un fiore stupendo, dall’intenso profumo di limone.
L’aroma è dovuto a un’essenza estremamente volatile, che nel periodo di massima evaporazione, può essere facilmente incendiato accostando ai fiori una candela accesa. Lo stesso olio però può essere irritante per la pelle e per queste proprietà  gli inglesi lo chiamano ‘Burning bush’ cespuglio infiammabile, mentre l’emblematica floreale gli ha conferito il valore simbolico di ‘Fuoco d’amore’. A causa del suo aroma viene anche detto limonella, mentre la forma delle foglie, che ricorda quelle del frassino, ha suggerito il nome comune di frassinella.

Dittamo

Dictamnus albus

Appartiene alla famiglia della Rutaceae, quella stessa di Ruta chalepensis (vedi 11 maggio 2009) e Ruta graveolens, altra pianta dal forte odore, in questo caso non sempre così apprezzato da tutti. Il dittamo ha un fiore appariscente, ma delicato, nobile, elegante. In mezzo alla corolla, dieci lunghi stami si incurvano progressivamente via via che il fiore matura, mentre lo stilo e lo stimma continuano a nascondersi nel cavo dei petali, in modo da costringere gli insetti a scorrere sugli stami per raggiungere in nettare, assicurando così la preziosa fecondazione incrociata. Pianta abbastanza ricercata, e protetta, predilige i luoghi aridi e i pendii soleggiati.

Geranium sanguineum

Geranium sanguineum

Occorre che un fiore così bello serva a qualcosa? Conosco appassionati della flora che non hanno molta considerazione per le piante ‘non utili’ (la parola inutile per una pianta non esiste) e altri che disdegnano, quasi come volgari, gli usi officinali e alimurgici della flora e ne prediligono l’estetica.

Anthericum liliago

Anthericum liliago

Ebbene il dittamo, oltre essere bello e pur non essendo una pianta commestibile, ha conosciuto una notevole importanza come essenza medicinale e viene tuttora indicato come rimedio a crampi e spasmi dello stomaco, della mancanza di appetito e anemia, mentre le sue essenze profumate possono essere usate in liquoristica.
E per non smentire mai la varietà e ricchezza dei prati di maggio, ecco altre vecchie conoscenze che sempre mi rallegra a incontrare ancora: il geranio sanguigno (Geranium sanguineum), dalle sgargianti corolle, conosciuto tempo fa nel giardino botanico di Prato Rondanino, e il bianco lucido e perfetto del lilioasfodelo o giglio di San Brnardo (Anthericum liliago), che a un giglio assomiglia, ma giglio non è, ed è ormai stabilmente inserito nella famiglia della Asparagaceae.

Ancora il boccione maggiore

Boccione maggiore Urospermum dalechampii

Sulla coronaria
Urospermum dalechampii
Sochus oleraceus

Ecco la targa che avverte il distratto passante che non se ne fosse avveduto di trovarsi in mezzo a una zona verde. Si prega di non calpestare i fiori. Il prato, come già dicevo in un post precedente, è dominato dall’esuberanza rossa della sulla, ma numerose sono le specie di capolini gialli che si fanno notare. Certamente si distingue il Sonchus oleraceus, per tutti grespino comune, erba ubiquitaria e commestibile, che cresce anche nelle grondaie. Ma c’è anche  il boccione maggiore, Urospermum dalechampii, con le sue ampie infiorescenze giallo pallido brillante. Una prelibatezza per le torte di verdura, se raccolto quando ancora tenero e molto lontano dalla fioritura. Qui sboccia non soltanto nel folto dell’erba, ma anche proprio sul bordo dell’asfalto con quella sorprendente sfrontatezza delle piante spontanee e coraggiose.

Urospermum dalechampii

Urospermum dalechampii

I suoi capolini sembrano lampadine accese nel sole del mezzogiorno, e fra cemento, ghiaietta e bitume, può stupire che riesca a scovare nutrimento. Ma è proprio negli angoli delle strade che si accumula l’acqua piovana, insieme a minuti rifiuti organici che nutrono il terriccio nascosto. Così spuntano i cespi di fiori selvatici, prosperano e si moltiplicano, lasciando il solito distratto passante stupefatto della loro intraprendenza.

Vilucchio rosso

Convolvulus althaeoides

Il vilucchio rosso è un altro protagonista della sfilata delle meravigliose piante da strada alla periferia di Civitavecchia. Non è un vilucchio qualsiasi, anche se non è certo una rarità ed è diffuso un po’ ovunque. Il suo nome specifico lo avvicina all’altea, una delle malve più attraenti. Il suo colore è intenso, anche se non può competere, già lo dicevo il 16 luglio 2009, con le tinte appariscenti delle ipomee.

Convolvulus sepium


Strana razza quella dei convolvoli, volgarmente detti vilucchi, che poi vuol dire la stessa cosa.  Si attorcigliano e si avvinghiano a steli e tralci, e con perseveranza si arrotolano intorno a qualsiasi tubo o bastone verticale si presenti a loro disposizione. Preferibilmente, certo, intorno ad altre piante.Infestanti per definizione, eppure non si può non riconoscer loro intraprendenza e bellezza. Tanto le piante sono invadenti e tenaci, tanto le campane dei loro fiori sono leggiadre, forti e delicate. Si aprono al sole e si chiudono quando il cielo è nuvolo, arrotolate su se stessi prima di sbocciare, campane fesse, rinserrate a tappo prima di appassire.

Convolvulus arvensis

La più grande e sfacciata di tutte, chiamata fino a poco tempo fa Calistegia sepium, oggi Convolvulus sepium, per una volta per semplificare un po’ la vita dei botanici dilettanti, viene talvolta soprannominata, inappropriatamente e avventatamente, fagiolo selvatico per la rapidità con cui si arrampica, ma non ha proprio niente a che fare con i fagioli e neppure con le leguminose. L’aspetto singolare è che non tutti i convolvoli si avvolgono nello stesso senso, ma neppure a caso. Convolvulus sepium sale a spirale girando di solito verso destra, cioè in senso orario. Convolvulus arvensis, più piccolo, ma non meno sfrontato, si avvolge in senso antiorario. Non è proprio una regola, ma una preferenza.
Il vilucchio rosso, invece, si avvolge poco, preferisce strisciare prostrato, fra le altre erbe, con le sue belle campane rosate.

Scarlina

Scarlina Galactites tomentosa

Galactites tomentosa

Cattiva come tutti i cardi (sono soggetti da tenere a debita distanza), la scarlina è una ragazzaccia di strada e non si fa scrupoli a crescere al margine dell’asfalto, come su viottoli di campagna, fra i ruderi, negli incolti. Qui si accompagnava alla sgargiante buglossa, e neppure sfigurava con i suoi larghi capolini bianco rosati. Il suo vero nome è Galactites tomentosa perché appare tutta coperta di peluria biancastra. Le sue foglie, sormontate da spine alquanto minacciose, sono solcate da precise nervature bianche. E’ molto comune dal mare alla montagna, dalla Liguria alla Sicilia e Sardegna, ha un portamento altero e quasi minaccioso a causa delle spine aguzze che sormontano le sue foglie.

Galactites tomentosa Sulla coronaria

Galactites tomentosa
Sulla coronaria

La scarlina ha tutta la forma del fiordaliso, ma è pungente come un riccio di castagno. Qui cresce rigolgiosa, per niente intimidita dalla prorompente distesa rossa di Sulla coronaria che domina questa ‘zona verde’ sul bordo della strada, conferendo a un breve tratto di statale un aspetto inaspettato e lussureggiante. In questo momento dell’anno qui diverse specie, semplici ma particolari, competono in bellezza e colori. Poco importa se fra qualche mese il caldo estivo ridurrà tutto a un groviglio di sterpi secchi. Questa è la loro stagione e questa è la loro meraviglia.

Buglossa azzurra

Buglossa azzurra Anchusa azurea

Anchusa azurea

Si chiama Anchusa azurea, volgarmente detta buglossa azzurra, perché è talmente blu che è il suo colore il carattere più distintivo che possiede. Appartiene alla famiglia della borragine, le borraginaceae appunto, ed è una pianta eretta con steli robusti, setolosi e ramificati per tutta la lunghezza. Forma cespi spessi, leggeri e slanciati.  I fiori a cinque petali hanno ‘occhi’ bianchi formati da un gruppo di peli eretti al centro della corolla, che i botanici chiamano denti corollini. Buglossa, che significa lingua di bue e in questo modo è chiamata anche in vari dialetti, è  sorella maggiore del nontiscordardime, Myosotis, con cui condivide il colore, ma non la dimensione dei fiori.

Anchusa azurea

Anchusa azurea

E’ una pianta tintoria e il nome scientifico deriva dal termine greco ἄγχουσα che voleva dire ‘belletto’ perché le sostanze estratte dalle sue radici venivano usate anticamente dalle donne greche come cosmetico e tintura per stoffe. Come la sua parente  borragine, è specie commestibile, adatta a minestre, ripieni ed insalate, ma anche ingrediente di tisane e infusi curativi.

Siamo alla periferia di Civitavecchia, e queste buglosse crescono nelle aiuole che fiancheggiano la strada, poco lontano dal mare.  In mezzo al folto dell’erba fiorita, un cartello avverte “Zona verde. Vietato calpestare e danneggiare”. Il suo avvertimento è quasi commovente. In questo orizzonte di asfalto,  cemento, ciminiere e mare mi venuto incontro un tale tripudio di fiori che sono stata costretta a fermarmi e guardare, per osservarli uno ad uno, conoscerli, imparare. Come è possibile? viene da chiedersi. Si chiama primavera, è la risposta.

 

Viole

Viola odorata

Viola odorata

Viola reichenbachiana

Viola reichenbachiana

Viole. Viole dappertutto. Nel bosco fra le pietre e le foglie. Nell’aiuola degli ellebori e ai piedi del calicanto spoglio. Nelle crepe delle scale e sotto lo scarico della grondaia.
Viole, viole a ancora viole. Viole, cinque petali scompigliati, e una sperone appuntito. Viola.

Viola odorata

Viola odorata

Cuscinetti di foglie verdissime a forma di cuore. Quante viole nel prato e sul marciapiede.

Viole

Viola odorata

Nella loro famiglia, Violaceae, ci sono solo loro, le viole. Tutte le viole. Le altre più ricercate,  la viola tricolor e la rara viola di Bertoloni, tutte le altre arriveranno dopo.
Ora solo loro, le piccole viole. Viole dappertutto.