Vincetossico

Immersi nel sottobosco, i frutti del vincetossico (Vincetoxicum hirundinaria), sono follicoli fusiformi che brillano più lucidi più delle foglie.

Vincetossico

Vincetoxicum hirundinaria

Pianticella assai comune, alta fino a più di un metro, che cresce al limitare dei boschi e lungo le strade di campagna, già ne ho parlato nel vecchio blog (26 giugno 2009), mostrandone i fiori. In questa foto autunnale si intravedono sfioriti, biancastri, riuniti in gruppetti come piccole ombrelle.
Il nome dovrebbe suggerire che si tratti di una pianta velenosa, ma l’etimologia deriva invece da una credenza popolare che gli attribuiva proprietà di antidoto ai morsi di serpente. Primo Boni(1) descrive, con la solita ricchezza di particolari, coloriti e raccappriccianti, l’avvelenamento da vincetossico come ‘uno dei più gravi’ e anche actaplantarum conferma che la pianta contiene un alcaloide affine all’aconitina. Perchè allora avrebbe guadagnato la fama di antiveleno è difficile a dirsi, anche se spesso nella cosidetta cultura popolare si mescolano menzogne e verità, grandi invenzioni e pericolose sciocchezze. Per tutti valga l’esempio della scellerata diceria secondo cui masticare minuscoli pezzetti di Amanita phalloides sia una cura efficace contro le infezioni virali, come raffreddore e influenza. Peccato che anche a piccole dosi questo terribile fungo, forse il più tossico che esista, danneggi il fegato in in modo irreversibile e fatale.
Il vincetossico appartiene alla famiglia delle Apocynaceae, come l’oleandro e la pervinca. Il nome della specie hirundinaria ha indubbiamente a che fare con le rondini, a causa della forma biforcuta della radice (a coda di rondine).

(1) Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche – Ed. Paoline, 1977

Pervinca del Madagascar

Pervinca del Madagascar

Catharanthus roseus
Pervinca rosea o del Madagascar

La fioritura delle pervinche mi ha fatto venire in mente lei, Catharanthus roseus, detta pervinca rosea o del Madagascar, che non è una Vinca, anche se in passato era anche classificata in quel genere. Ha tanti nomi, attraverso la regione tropicale e sub tropicale dove si è naturalizzata con facilità, prendendo il volo dalla grande isola dell’oceano indiano.  In brasiliano si chiama ‘maria-sem-vergonha’ o ‘flor boa-noite’, fiore della buona notte, e curiosamente in portoghese si chiama anche ‘bom-dia’, buon giorno. Insomma una pianta adatta ad ogni momento della giornata. Questa pianta cresceva copiosa nel giardino di un amico nel Nord Est del Brasile. Ma credo che prosperi in molti giardini brasiliani.

Oltre i bei fiori e le belle foglie, questa specie ha  altri importanti segreti. Si tratta di una pianta tossica, ma anche di un farmaco potente,  già usato dagli africani per curare il diabete. Portata alla corte di Francia da esploratori nel 1757, venne presto impiegata per la cura di svariate affezioni, dal mal di gola alla pleurite, dalla dissenteria fino appunto al diabete.  Intorno agli anni 1950, proprio investigando le proprietà antidiabetiche della Vinca rosea, i ricercatori Robert Noble e Charles Thomas Beer scoprirono che conteneva alcaloidi capaci di disorganizzare l’apparato deputato alla replicazione e quindi contrastare la proliferazione cellulare nel cancro. Queste sostanze, che hanno preso il nome dalla pianta, sono la vincristina, la vinblastina e la vindesina e oggi vengono usate per la terapia delle leucemie acute e croniche e dei linfomi. Come tutti gli antiproliferativi,  gli alcaloidi della Vinca sono veleni perchè danneggiano e uccidono non soltanto le cellule tumorali, ma anche altre cellule capaci di  replicarsi velocemente.  Nondimeno il loro impiego ha salvato molte persone, soprattutto bambini.

Le sorelle pervinca

pervinca

Vinca major
Pervinca maggiore

pervinca

Vinca minor
Pervinca minore

Le sorelle pervinca non sono gemelle, eppure si assomigliano davvero, come due gocce d’acqua. Ma incontrandole insieme, con la loro stupenda e inaspettata fioritura, così precoce da sembrare finta (vedi anche 13 marzo 2009 ) non si può fare a meno che cercare le differenze.  Che ci sono, timide e sfumate, e per i botanici sarebbero essenzialmente tre.

I fiori e le foglie della sorella maggiore (a sinistra) sono più grandi, e questo lo sospettavamo.  Inoltre Vinca major  ha  calice con lacinie lesiniformi, e qui bisogna tradurre. L’involucro che sta alla base della corolla florale ha piccole punte, che però non sono appuntite, ma arrotondate.  Invece la minor, Vinca minor (a destra),  ha il calice con lacinie triangolari, quindi più appuntite. Difficile vederlo in queste foto, forse osservando i boccioli.  Ma per il momento  facciamo atto di fede. Terza differenza: le foglie della maggiore hanno margine ciliato, cioè il bordo delle foglie è sormontato da una leggera peluria, proprio leggera, ma c’è.  La minore invece ha foglie con margini perfettamente lisci.

Ma c’è anche una quarta differenza, che forse non è un carattere diacritico per gli studiosi di botanica, ma che a noi comuni mortali sembra davvero importante. La pervinca maggior ha corolle azzurro violacee, quel meraviglioso blu pervinca per intendersi, sempre;  invece la sua sorellina minore ha corolle azzurro violette, color pervinca, in molti casi, ma talvolta anche bianche o rosa. Così eccoci di fronte a una distesa di fiori preprimaverili, perfetti e identici fra di loro, con le foglie più verdi del verde, a forma di ovale perfetto (ovato-cordate dicono i botanici), e tante corolle, bianche sfumate di azzurro le più minute, e  blu intenso le più grandi, e il colpo d’occhio è magnifico.

Le pervinche fanno parte della famiglia della Apocynaceae, piante dai fiori particolarmente attraenti, come oleandro (Nerium oleander), Hoya carnosa, e falso gelsomino (Trachelospermum jasminoides, 13 giugno 2009).

Oltre alla bellezza, queste piante ricoprono un ruolo importante nella farmacologia tradizionale, e in parte anche in quella moderna.  La loro natura intima è tossica, quindi non sono piante da insalata, ma rimedi. La medicina popolare le ha impiegate come antiemorragiche, diuretiche, ipotensive. Il decotto di 50 grammi di foglie in un litro d’acqua risolve problemi gastrici e, utilizzato per sciacqui, lenisce afte e ferite della bocca; l’infusione di 15 grammi di foglie in mezzo litro di acqua bollente frena la montata lattea. Tutte ricette rigorosomente tramandate e scientificamente incerte.  Finchè non è arrivata  la pervinca del Madagascar… Ma lei merita un post tutto suo.

 

Il miracolo dell’Hoya carnosa, il fiore di cera

Hoya carnosa

Hoya carnosa
fiori immaturi

Hoya carnosa è entrata in casa mia in sordina, quasi per caso. Un’amica me ne ha regalato una piccola fronda, promettendomi fiori strabilianti. E’ successo sei anni fa, sei lunghi anni di attesa. La piccola fronda attecchisce subito, sviluppa nuove foglie, cresce, si allunga, i suoi fusti volubili cercano ovunque appigli verso il cielo. Le foglie, scure e coriacee, si colorano di verde, marrone, nero. Macchie bianche. Cresce, ma non sta bene. E soprattutto non fiorisce. Io sposto, rinvaso, bagno, spruzzo, concimo, divido. Ora sono tre piante,  sempre più folte, sempre più protese. Ma niente fiori. Quasi quasi ho rinunciato a vederli, persino ad immaginarli, anche se  ormai li conosco bene da tutte le illustrazioni scovate in giro, fra libri e web. Staranno meglio fuori o nella serra? Avranno abbastanza umidità? O troppa? Meglio sostenerli con decisione o lasciarli liberi di vagare alla ricerca dell’appiglio che più li aggrada? Una quarta pianta viene sacrificata a un esperimento di permanenza all’esterno in condizioni non proprio ottimali. Alla fine le altre tre se ne stanno tranquille tranquille, al riparo dei vetri, in luce costante, ma non diretta, annaffiature regolari, ma non eccessive, vasi medi. Rigogliose, ma sterili.

Hoya carnosa

Hoya carnosa
fiori maturi

Finchè un giorno di questo giugno, così tiepido ed umido, quasi leggero, in cui il giardino e la serra esplodono di vitalità, sorprendo questi mazzetti rosa appoggiati con noncuranza alle lunghe fronde sinuose e ricadenti. Non uno, ma tanti, lungo le propaggini, alle ascelle, sotto le solide foglie. Piccoli mazzetti crescono e si aprono in stelle bianche, con nel centro un punto rosso, veramente come modellati con la cera o creati con la porcellana.
E’ proprio una pianta esotica, essendo originaria di una zona del mondo fra Asia meridionale e Oceania. In passato inserita nelle Asclepiadaceae, è oggi classificata nella famiglia delle Apocinaceae, insieme ad altri fiori affascinanti, come la plumeria, l’oleandro, la carissa e la più domestica pervinca (13 marzo 2009).  Adesso che la fioritura è cominciata, dovrebbe continuare sicura e generosa per tutta l’estate.

Oleandro

nerium oleander
L’oleandro è una pianta comune e tutti l’hanno incontrata spesso nei giardinetti e ai bordi delle strade. I suoi splendidi splendidi fiori , rosa, bianco o rosso, e dal profumo intenso sbocciano all’inizio delle estate e caricano di bellezza anche le strade di periferia, come si vede in questa pagina. L’oleandro è una pianta sempreverde che non resiste al gelo prolungato, ma tollera freddo, intemperie e ingiurie molto di più di quello che vorrebbe. Ricordo quello che dice dell’oleandro Isabella Casali di Monticelli, raffinata architetta di giardini, nel suo ‘Nel giardino si incontrano gli dei‘ (Sperling & Kupfer, 2005, pg. 109). Che bisogna capire questa pianta, per imparare a considerarla qualcosa di più di una pianta da autostrada o da parco cittadino trascurato. Soffrire per il povero oleandro metropolitano la cui unica colpa è di essere pianta coriacea dalle foglie persistenti, pianta tenace e spessa, ornamentale ad oltranza. Così inossidabile e tollerante, per difendersi dalla sfruttamento può mettere in campo soltanto la sua tossicità. Come è noto, è una pianta velenosa, anche se i principi attivi che contiene hanno proprietà medicinali, con effetto cardiotonico e ipotensivo.
Naturalmente non è stagione in cui si possa parlare di fiori del’oleandro, che ha già il suo daffare semplicemente a sopravvivere; ma di frutti sì, rossicci e in bella mostra fra le robuste foglie lanceolate. Ai frutti, invece, si fa generalmente poca attenzione, tranne quando, come in questo caso, sono l’unica cosa interessante.

Prugna del Natal

carissa macrocarpa
Abbandono decisamente il “chaparral“, per mostrare le meravigliose fioriture esotiche per le strade e giardini di San Diego.
Il nome comune di questa pianta, prugna del Natal, già la descrive a dovere: viene dal Sud Africa e porta grossi frutti carnosi, simili a prugne, e commestibili, benchè altre parti della pianta contengano sostanze tossiche. A maturazione, i frutti sono rosso arancio, e questa pianta ne mostrava molti, ma troppo distanti perchè la mia piccola compatta li mettesse a fuoco decentemente. Mi accontento perciò di questo primo piano dei frutti acerbi della carissa macrocarpa, arbusto delle Apocynaceae, una famiglia che si distingue per la raffinata bellezza e il delicato profumo dei fiori (oltre al comune, ma affascinante e velenosissimo oleandro, penso alla nostra pervinca, 13 maggio 2009, e alle esotiche plumeria, dipladenia e altre ancora). Carissa forma siepi compatte, tappezzanti, come in questo caso, presso il bordo del mare alla stazione di ferry che collegano l’isola di Coronado con il porto di San Diego.

Plumeria

Plumeria cv
La plumeria, che ci chiama anche pomelia o frangipane, è una stupenda pianta tropicale dalla raffinata fioritura. Arrivata in Europa già nel 1700, si è acclimata assai bene in Sicilia, dove è molto diffusa come pianta ornamentale. Proprio in Sicilia l’ho vista per la prima volta sulle colline dietro Messina, nel giardino di una signora, parente di un’amica, che ci aveva invitato a cena. Ne sono rimasta subito affascinata e ne ho anche pubblicato una foto su una mia pagina web. Ricordo che a seguito di ciò, ricevetti un messaggio da un visitatore che mi chiedeva informazioni sulla plumeria. In particolare, mi disse di essere contrariato dal fatto che la pianta si rifiutasse di fiorire. Sul suo balcone, ad Assisi. Non credo ci fosse nulla da stupirsi che una pianta tropicale non si trovasse particolarmente a suo agio in un clima che non è precisamente quello … della Sicilia. E l’episodio mi fa pensare a quanto incomprese sono talvolta le piante, a quanto la gente si aspetti da loro che sempre si adattino all’esigenze umane, si mostrino condiscendenti ai nostri voleri e desideri. Certo, gli uomini molto hanno fatto per addomesticare le piante e molto hanno carpito dei loro segreti. Talvolta però è giusto rispettare tempi e modi di un essere vivente, che è nato ai tropici e che di certe esisgenze climatiche davvero non può fare a meno.

Questa plumeria è una cultivar proveniente dalle isole Canarie, fotografata in occasione di una mostra tematica all’orto botanico di Lucca. Si tratta di una varietà a tre colori dal profumo di rosa. I petali sono bianchi con striatura rosa e il centro giallo. Esiste anche una specie naturale a tre colori, plumeria rubra f. tricolor.

Dipladenia

Mandevilla splendensHo avuto una pianta come questa qualche anno fa. Me l’avevano regalata e l’avevo sistemata nella fontanella rotonda, ora ‘dismessa’ e trasformata in piccola aiuola sospesa. Lì dentro faceva la parte della regina e non aveva bisogno di grande seguito. Non cessava mai di metter fuori campane rosse appariscenti e robuste e si arrampicava tenace, ma morbida ed elegante. Mi pareva assolutamente magnifica. Potrebbe, dicono,  crescere come perenne, se il clima lo consente. E i venditori sempre si profonderanno in consigli dettagliati su come assicurarne la sopravvivenza. Tant’è la mia se è andata quasi subito, brillante stella dei tropici (o giù di lì), può durare una sola estate.
mandevilla splendens
Questa pianta viene chiamata anche Mandevilla splendens, ma i due nomi dovrebbero essere sinonimi. La famiglia è quella delle Apocynaceae, oleandri, pervinche e del falso gelsonimo (rincosperma o trachelosperma, 13 giugno 2009); ma quest’ultimo al freddo è un po’ più resistente.

aggiornamento : dai tempi di questo post, ho avuto un’altra Dipladenia messa a dimora nello stesso posto e sopravvissuta per tre anni, fioritura tardiva, ma generosa.