Vescicaria

VescicariaColutea arborescens

Colutea arborescens

Questo bellissimo arbusto della famiglia delle Fabaceae, chiamato vescicaria, ma anche talvolta vesiscaria, mi era praticamente sconosciuto fino a qualche giorno fa, quando mi è stato presentato in un ambiente naturale speciale, l’Arboreto Prandi presso Sale San Giovanni (CN), accompagnata da NicoNemoNoè, tre nomi inscindibili per una straordinaria guida forestale e geniale narratore. Eppure l’arbusto in questione dovrebbe essere relativamente comune in ambiente mediterraneo, come tutte le altre ginestre, specie dei generi Genista, Spartium (vedi anche 27 maggio 2008), Cytisus e Laburnum, solo per citarne alcuni. Particolare è il suo frutto, un baccello rigonfio e vescicoloso, lungo fino a 7 cm, che diviene di colore marrone rossiccio a maturazione. Colutea è il suo nome greco, perché da tempi immemorabili è conosciuto. Ma non è appetibile, anzi è velenoso, e, imitando la senna, funziona da violento purgante. La vescicaria però è ornamentale e ampiamente sfruttata nei giardini assolati, tanto da diffondersi anche come pianta sfuggita alla coltivazione.

Ceci e cicerchie

Cece Cicer arietinum

Cicer arietinum

Ho seminato i ceci (Cicer arietinum)  di Merella e quelli di Nucetto, entrambe paesi del Piemonte, il primo in provincia di Alessandria, il secondo di Cuneo. Ho seminato anche i ceci neri, che come origine dovrebbero essere pugliesi della Murgia e che sono gustosissimi, se lasciati a bagno due giorni prima di cuocerli. Sono tutti insieme in questo cespuglio e aspetterò ancora un  mese circa prima di raccoglierli, perché i ceci  vanno utilizzati soltanto dopo che si sono seccati completamente e poi vengono fatti rinvenire con ammollo nell’acqua. La pianta è quanto di più semplice e frugale si possa immaginare, germoglia e cresce senza bisogno di alcuna cura particolare, e fa piccolissimi fiori bianchi e rosa e ridicoli baccelli verdi, un po’ gonfi. Si potrebbe dire che è molto generosa, ma subito si alzerebbero le lamentele dei soliti saputelli, ‘i ceci, che spreco, solo uno, massimo due semi per baccello, che noia!’ E invece i ceci rendono e danno molte soddisfazioni, senza richiedere fatica, sono piante divertenti, rigogliose, morbide, sempre umide nella mattina, generose per gli occhi e per il palato. ll nome scientifico Cicer arietinum deriva proprio dalla forma dei semi secchi e significa “verruca a forma di testa di ariete”.

Cicerchia Lathyrus sativus

Lathyrus sativus

Ho seminato anche tre cicerchie (Lathyrus sativus), tre semi di numero, ed è nata una pianta. Ha fatto dei fiori biancazzurri e ora qualche baccello, piatto e scavato ai bordi. Dovrei dire (cito da actaplantarum)  un legume glabro, subgloboso, con due ali ai lati delle suture dorsali, contenente fino 5 semi  (in realtà 5 la vedo dura), lisci a sezione quadrata o trapezoidale, bianchi o bruni. Questi semi sono commestibili, consumati in molte regioni del mondo, un cibo povero, ma provvidenziale. Parlando delle cicerchie, sempre mi è venuto in mente il latirismo, malattia potenzialmente grave, di cui avevo parlato nei miei precedenti post su piante del genere Lathyrus  (L.sylvestris e L.venetus ) e di cui si può leggere e documentarsi nei testi di neurologia.  Certamente una patologia grave, legata all’alimentazione poco variata di chi aveva come primo obbiettivo quello di sconfiggere la fame e non poteva permettersi di preoccuparsi troppo degli effetti collaterali. Qualsiasi cibo ha qualche controindicazione, ormai anche il gettonatissimo pisello è stato iscritto al genere Lathyrus e condivide il nome con tutti i suoi parenti selvatici di così dubbia fama. Qualche cicerchia non ha mai fatto male a nessuno, anche se quando arriverà il tempo della raccolta chissà se le assaggerò, piuttosto le conservo per divertirmi nella semina del prossimo anno.

Ancora il boccione maggiore

Boccione maggiore Urospermum dalechampii

Sulla coronaria
Urospermum dalechampii
Sochus oleraceus

Ecco la targa che avverte il distratto passante che non se ne fosse avveduto di trovarsi in mezzo a una zona verde. Si prega di non calpestare i fiori. Il prato, come già dicevo in un post precedente, è dominato dall’esuberanza rossa della sulla, ma numerose sono le specie di capolini gialli che si fanno notare. Certamente si distingue il Sonchus oleraceus, per tutti grespino comune, erba ubiquitaria e commestibile, che cresce anche nelle grondaie. Ma c’è anche  il boccione maggiore, Urospermum dalechampii, con le sue ampie infiorescenze giallo pallido brillante. Una prelibatezza per le torte di verdura, se raccolto quando ancora tenero e molto lontano dalla fioritura. Qui sboccia non soltanto nel folto dell’erba, ma anche proprio sul bordo dell’asfalto con quella sorprendente sfrontatezza delle piante spontanee e coraggiose.

Urospermum dalechampii

Urospermum dalechampii

I suoi capolini sembrano lampadine accese nel sole del mezzogiorno, e fra cemento, ghiaietta e bitume, può stupire che riesca a scovare nutrimento. Ma è proprio negli angoli delle strade che si accumula l’acqua piovana, insieme a minuti rifiuti organici che nutrono il terriccio nascosto. Così spuntano i cespi di fiori selvatici, prosperano e si moltiplicano, lasciando il solito distratto passante stupefatto della loro intraprendenza.

Scarlina

Scarlina Galactites tomentosa

Galactites tomentosa

Cattiva come tutti i cardi (sono soggetti da tenere a debita distanza), la scarlina è una ragazzaccia di strada e non si fa scrupoli a crescere al margine dell’asfalto, come su viottoli di campagna, fra i ruderi, negli incolti. Qui si accompagnava alla sgargiante buglossa, e neppure sfigurava con i suoi larghi capolini bianco rosati. Il suo vero nome è Galactites tomentosa perché appare tutta coperta di peluria biancastra. Le sue foglie, sormontate da spine alquanto minacciose, sono solcate da precise nervature bianche. E’ molto comune dal mare alla montagna, dalla Liguria alla Sicilia e Sardegna, ha un portamento altero e quasi minaccioso a causa delle spine aguzze che sormontano le sue foglie.

Galactites tomentosa Sulla coronaria

Galactites tomentosa
Sulla coronaria

La scarlina ha tutta la forma del fiordaliso, ma è pungente come un riccio di castagno. Qui cresce rigolgiosa, per niente intimidita dalla prorompente distesa rossa di Sulla coronaria che domina questa ‘zona verde’ sul bordo della strada, conferendo a un breve tratto di statale un aspetto inaspettato e lussureggiante. In questo momento dell’anno qui diverse specie, semplici ma particolari, competono in bellezza e colori. Poco importa se fra qualche mese il caldo estivo ridurrà tutto a un groviglio di sterpi secchi. Questa è la loro stagione e questa è la loro meraviglia.

Fiori da vigna

A capo dei filari nelle antiche vigne di Camillo Benso, a Grinzane Cavour, sbocciano le rose. Non sono messe a caso, e non per la loro bellezza. Si dice che le rose servano da indicatori del morbo bianco, lo oidio, e la loro contaminazione precede di un poco quella delle viti, fornendo un vantaggio al viticoltore accorto per prendere per tempo le misure adeguate a salvare la sua preziosa piantagione.

Vitis vinifera – Grinzane Cavour (CN)

Le viti vengono accuratamente potate con il metodo Guyot che lascia sulla pianta un tralcio corto con due gemme – lo sperone – che darà origine al capo a frutto dell’anno successivo, e un tralcio più lungo, di un anno – il capo a frutto – che porta un certo numero di gemme ibernanti.

Trifolium incarnatum
Fumaria officinalis

Fra i filari cresce erba rigogliosa e vari fiori colorati,  trifogli dai lunghi capolini cilindrici rosso vivo (Trifolium incarnatum),  contorte fumarie dai microscopici fiori di intenso color rosa (Fumaria officinalis) e strani fiori viola. Strani perché non li ho mai visti e scopro che sono effettivamente una specie neofita di origine americana, e anche se probabilmente sono qui già da un certo tempo, sono ancora classificati come alloctona casuale. E’ la facelia a foglie di tanaceto (Phacelia tanacetifolia) con i suoi bei gruppi di fiori brillanti disposti in una singolare infiorescenza a spirale detta scorpioide. Proprio dalla forma dell’infiorescenza, a fascio o mazzo, deriva il suo nome, mentre le foglie, profondamente incise e seghettate ricordano veramente quelle del Tanacetum vulgare (vedi 24 luglio 2008), da cui l’epiteto specifico.

Phacelia tanacetifolia
Infiorescenza scorpioide

Benefica intrusa, la facelia è ricca di polline e nettare che attira le api e altri insetti ed è perciò un’eccellente mellifera. Ricca di sostanze azotate, è ottima anche per il sovescio, una pratica che serve per rinvigorire i terreni impoveriti, specie in presenza di monocolture, come è appunto quella della vite.

Phacelia tanacetifolia

Inoltre la facelia è una pianta egoista e dove cresce rilascia nel terreno sostanze chimiche che impediscono la crescita di altre specie vegetali. Diventa così una specie di diserbante naturale, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono.
A causa delle sue proprietà questa pianta viene frequentemente coltivata e non è facile prevedere se questa scelta si rivelerà vincente anche nel lungo periodo, tuttavia per adesso sembra gradita e felice.

Astragalo rosato

L’astragalo è un osso del piede, un osso fatto a cubetto che articola il tallone con tibia e perone, uno di quegli ossi invisibili e sconosciuti, eppure così essenziali. Ne seppe qualche cosa Anne, protagonista dell’omonimo romanzo, intenso e ribelle, di Albertine Sarrazin, la cui storia comincia proprio con una caduta che le costò una dolorosa frattura.

Astragalo

Astragalus monspessulanus

Si perde nella notte dei tempi dell’antica Grecia ellenistica perché lo stesso nome sia stato attribuito anche a una pianta della famiglia della Fabaceae, con fiori vagamente simile a certi trifogli e foglie composte con numerose paia di foglioline, quasi foglie di veccia, in miniatura. Sarà la forma spigolosa dei semi o quella della radice, oppure qualche diversa ragione che ha casualmente fatto incontrare il nome di un fiore con quello di un osso.

Al genere Astragalus appartengono quasi 1500 specie, di cui solo 37 presenti in Italia. Secondo al maggior parte dei testi, l’astragalo non ha  proprietà officinali, benché accreditata specie foraggera. Tuttavia con questo astragalo rosato, che cresce nei radi boschi calcarei e fra le pietre, insieme al suo omonimo A. glycyphyllos conosciuto come ‘falsa liquirizia’, si può preparare una gradevole tisana dal sapore che richiama quello della vera liquirizia.

Astragalo

Astragalus glycyphyllos

Veccia comune

Vicia sativa

 

Trifoglio ovvero tre foglioline e …

Trifoglio T.pratense

Trifolium pratense

La parola trifoglio vuole dire solo questo ‘tre foglie’, come la parola shamrock, da gaelico irlandese  ‘piccolo trifoglio’. Nessuna indicazione più precisa, nessuna regola certa, tutte le pianticelle con tre foglioline possono essere trifogli o shamrock. Ne ho raccolto alcune, guardate, confrontate, valutate. A parte la forma delle foglie, queste piante possono essere molto diverse.

Trifoglio T.repens

Trifolium repens

Il trifoglio propriamente detto, Trifolium, è un genere della famiglia delle fabaceae che comprende moltissime specie di cui le più comuni sono il T.pratensis, a fiori rosa, e T. repens, a fiori bianchi. Ma di queste pianticelle ho già detto,come ho già scritto del trifoglio rosseggiante (Trifolium rubens), del trifoglio stellato (Trifolium stellatum) e del trifoglio persiano (Trifolium resupinatum. Un po’ trifoglio è anche il meliloto bianco e giallo (Trigonella) e tutte le erbe mediche della terra.

Medicago lupolina

Medicago lupolina

A cominciare da lei, il magico foraggio Medicago sativa, dai fiori viola, per finire con la più schietta e impudente, la lupolina, lo shamrock che mi hanno portato dall’Irlanda, con le sue microscopiche infiorescenze gialline. Il suo nome specifico non viene da lupo, ma da luppolo, perchè la forma del frutto lo ricorderebbe in miniatura.

Ma non finisce qui, perchè abbandonando le fabacee, si incontra almeno un’altra grande famiglia che il vulgo chiama ‘trifogli’, le ossalidi ovvero Oxalidaceae. Queste pianticelle hanno microscopiche radici bulbose e con grande impegno ed entusiasmo infestano qualsasi giardino si trovino a visitare.

Oxalis articulata

Oxalis articulata

La titolare del nome sarebbe Oxalis acetosella, spontanea dai fiori candidi o appena rosati, ma ormai le più comuni sono l’acetosella rosea, Oxalis articulata, e Oxalis corniculata, con piccoli fiorellini gialli, chiamata acetosella dei campi, anche se spesso i campi li ha da tempo lasciati per i vasi e le aiuole di città. All’inizio della primavera, è facile incontrare anche un’altra ossalide, con fiori più grandi giallo acceso, Oxalis pes-caprae. Le foglie, composte da tre foglioline cuoriformi, sono commestibili e un po’ acidule.

Oxalis deppei

Oxalis deppei

Ma non tutte le ossalidi sono esattamente dei trifogli. Oxalis deppei, o meglio Oxalis tetraphylla (ma quanti nomi hanno le piante?) è una specie coltivata da giardino, nota in Inghilterra come  croce di ferro, a causa della curiosa colorazione a croce delle sue foglie. Ha fiori rosso acceso e se qualcuno la confonde con il trifoglio, ha immediatamente l’impressione di essere baciato da una fortuna sfacciata perchè tutte, ma proprio tutte, le foglie sono a quattro lobi, ovvero hanno l’aspetto di un portentoso quadrifoglio. Forse è per questo che O. deppei è chiamata anche pianta della buona sorte. Ma questo quadrifoglio a buon mercato, così democratico da capitare in mano a tutti, porterà veramente fortuna?

Erba medica in campagna e in città

Medicago - campagna

Medicago sativa

L’erba medica è un prezioso foraggio, ma non è, come ingenuamente si potrebbe pensare, un’erba medicinale. Il suo nome scientifico, Medicago, significa erba della Media, una regione della Persia da dove si riteneva appunto che quest’erba fosse originaria , e probabilmente da dove più o meno proveniva.  Oggi si considera archeofita naturalizzata, un termine che più o meno significa che non esatamente nata qui, ma c’è arrivata un bel po’ di tempo fa. Nota in tutto il mondo come alfalfa, dall’arabo al-fáṣfaṣa che significa foraggio, è una pianta dalle numerose proprietà curative, non tutte confermate scientificamente.

Medicago

Medicago sativa
aprile in città

La medicina tradizionale ne riporta l’uso per migliorare la memoria, curare disturbi del sistema nervoso, l’ipercolesterolemia, come antiossidante, antiulcera, antimicrobico, ipolididemico, nel trattamento dell’aterosclerosi, disturbi cardiaci, ictus, cancro e diabete. E poi? Sfogliando distrattamente PubMed, vengo per esempio a sapere che è ha anche proprietà estrogeniche utili per alleviare i sintomi della menopausa e  viene anche utilizzata dalle madri come galattoforo. Però quest’ultimo utilizzo non è veramente confermato ed esige cautela.  Meno male.

vedi anche post del vecchio blog 22 settembre 2009

Meliloto bianco e giallo

Meliloto giallo

Meliloto giallo
Trigonella officinalis

Meliloto bianco

Trigonella alba

Vecchie conoscenze sul bordo della strada di casa, il meliloto giallo, pianta officinale e il meliloto bianco, parente povero, ma non privo di interessanti proprietà.  Sono piante della primavera matura, che già scivola nell’estate, piante comuni, colorate e vitali. Formano cespi densi nonostante l’esilità dei fiori, ricchi e ramificati.

C’è un po’ di confusione sul nome di questa pianta. Il nome comune è meliloto, di questo non c’è dubbio, oppure vetturina, ma meno diffuso. Ma il nome comune, si sa, conta poco.  Molte basi dati, fra cui EMA, European Medicines Agency, l’organismo più autorevole per le piante medicinali europee, lo chiamano Melilotus, ma è sempre più frequente che gli sia preferito il sinonimo Trigonella, che ne fa un parente stretto del fieno greco (Trigonella foenum-graecum). In entrambe i casi si tratta di nomi che richiamano il trifoglio. Trigonella viene da τρίγωνος cioè triangolare, e si riferisce alle foglie trifogliate. Melilotus significa qualche cosa come ‘loto al miele’, ovvero una specie di trifoglio dolce. Quindi aggiorniamo il nostro vocabolario, senza dimenticare i sinonimi.

Qualsiasi sia il suo nome, quest’erba è un’ottimo foraggio e una pianta medicinale. Le specifiche indicazioni farmacologiche riguardano la funzionalità della circolazione venosa, la cura di ferite difficili e il drenaggio dei liquidi corporei.  Queste virtù terapeutiche sono riconosciute non solo dalla saggezza popolare, ma anche dalla scienza medica contemporanea. I  principi attivi sono la cumarina e i flavonoidi, ma anche svariati altri,  ed esistono farmaci specifici  derivati dal meliloto per la cura delle ulcere diabetiche. Come tutte le piante utili, ha altre applicazioni, per esempio per le affezioni cutanee, dove funziona da calmante nelle irritazioni, allergie e dermatiti. Oltre che un farmaco, ha applicazioni cosmetiche, può promuovere promuovere la rigenerazione dei tessuti, rallentare l’invecchiamento della pelle e ridurre il deposito di grasso che sta alla base della cellulite.

Ho già incontrato il meliloto bianco il 20 luglio 2009 e il meliloto giallo l’8 giugno 2011.