Venerdi, Luglio 31, 2009
Vedovina a teste bianche
Cresceva poco lontano dal cardo di ieri, ancora una dipsacacea, volgarmente detta 'vedovina a testa bianca'. La identifico con un po' di titubanza perchè i manuali la indicano come "presente quasi ovunque nell'Italia peninsulare, ma rara e discontinua". Per caso devo trovarmi proprio dove si interrompe una sua discontinuità, perchè la incontro assai spesso, qui lungo le pendici della val Bisagno e poi più giù nei versanti che scendono al mare verso Genova. Incontro i gruppi folti e allegramente disordinati dei suoi capolini candidi e sfrangiati, tondi come mezze sfere, pallette verdi e brune prima e dopo la fioritura. Quasi un cespuglio fitto mi era apparso, coperto di farfalle, fra cui questo splendido podalirio (iphiclides podalirius della famiglia delle papilionidee, spero di averlo identificato correttamente), che ho inseguito a lungo prima di riuscire a fermarlo nello scatto. Il nome comune del fiore non le rende giustizia, anzi è sbagliato, perchè la vedovina, o vedovella (vedi 13 agosto 2008) deve il suo nome al suo colore, lilla, o violetto, colore affine al lutto di una giovane vedova. Ma questa cephalaria invece è bianca, e piuttosto che vedovina dovrebbe chiamarsi sposa ... Invece il nome scientifico ben la descrive, a testa rotonda e bianca, niente di più.
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Giovedi, Luglio 30, 2009
Cardo dei lanaioli
Slanciato, spinosissimo, spavaldo e insostituibile. Così definirei questa pianta, che ho fotografato lungo la strada del Monte Fasce, itinerario panoramicissimo e affascinante sempre fonte di ispirazioni e sorprese. Crescevano abbondanti sul bordo della strada, sul crinale arido e aperto, a fianco ad altri cardi e altri fiori tipici, letteralmente coperti di farfalle. Qualche giorno fa, cercando senza troppa fortuna di mettere un po' di ordine nella classificazione dei cardi, avevo cercato di definirli nella famiglia delle composite. Niente da fare per questo esemplare, che appartiene alla famiglia delle Dipsacaceae, la famiglia delle vedovelle (vedi 13 agosto 2008). La lingua inglese, complice forse la proverbiale vocazione botanica degli anglosassoni, è più precisa. I cardi della famiglia delle composite (carduus, ma anche cirsium, sylibum, carlina e chi più ne ha più ne metta) si chamano thistle, mentre questo bel cardo per antonomasia della famiglia Dipsacaceae si chiama teasel.
Pianta dalle mille risorse, deriva il suo nome dotto dispacus dalla parola greca che significa 'sete'. Infatti le foglie sono saldate intorno al fusto e formano una specie di coppa ove si raccoglie l'acqua piovana, fornendo al viaggiatore (a quei viaggiatori antichi che nella natura cercavano il sostentamento) il refrigerio di un bicchiere colmo, pronto per l'uso. A luglio le foglie hanno perso gran parte del loro vigore; d'altra parte il problema è altrove, ahimè in questo periodo quella che scarseggia è l'acqua dal cielo. Il nome delle specie fullonum invece è correlato all'uso principale di questa pianta, quella di lisciare e ripulire fibre per tessiture (fullonica in latino significa bottega dove si preparano i materiali da tessere). I capolini oblunghi, così attraenti quando sono cosparsi dei piccoli fiori color malva, sono ormai sfioriti, rivelando la robusta ossatura 'da cardatori'. Poche infiorescenze hanno trovato un utilizzo così specifico e diffuso, che affonda le radici nella storia più antica e ha lasciato segno indelebile nella lingua, il termine 'cardare' per significare l'operazione di sbrogliare le fibre tessili per renderle filabili. Per questo uso, il dispacus veniva massicciamente coltivato nel XIX secolo, e poichè gli esemplari scelti per la riproduzione erano quelli con il capolino più grande e robusto, si giunse a una vera e propria selezione della specie più adatta, il dipsacus sativus, oggi inselvatichito e di presenza incerta. Se poi si considera che la pianta ha anche proprietà officinali, si comincia a capire perchè ho esordito definendolo 'insostituibile'.
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Mercoledi, Luglio 29, 2009
Lisca minore
Questa pianta acquatica non è spontanea in Liguria, anche se si trova in gran parte d'Italia. L'ho rubata (solo con occhi e obbiettivo) nel laghetto del giardino di Pratorondanino perchè la trovavo assai graziosa. Anche la lisca maggiore è pianta affascinante, con le sue infiorescenze a cilindro bruno, lunghe, che sembrano petardi o fuochi d'artificio in serbo per esplodere; ma al sicuro, così vicino all'acqua come vivono. La lisca minore ha infiorescenze simili, ma più piccole, elissoidi, o quasi sferiche. Scoppiano, senza fiamme o rumore, in nubi di fiocchi bianchi, dispersi dal vento. Piante preziose le lische, robuste e flessibili come si conviene a chi nasce e cresce nell'acqua, utilizzate per corde, stuoie e borse, per impagliare sedie e fiaschi, ma anche coltivate in vaso ed esposte al passaggio della processione del Corpus Domini, per allontanare i temporali.
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Martedi, Luglio 28, 2009
Salvia glutinosa
Appiccicaticcia. Questa secondo me è la traduzione più fedele di glutinosa, anche se in generale il nome comune di questa pianta è 'salvia vischiosa'. Se la toccate si può capire perchè "dalla pianta è possibile ricavare gomma". I fiori hanno ampie labbra, sporgenti e arcuate, gialle, punteggiate di marrone. Anche se manuali e trattati non lo spiegano proprio bene, ho imparato che i fiori di questa forma particolare sono del genere salvia. Che mentre le altre piante della famiglia (labiate appunto) sono più discrete, mimetiche, con le labbra atteggiate a piccola bocca composta, quando le labbra sono grandi, spalancate, sguaiate, potete stare sicuri che è una salvia. Con grande gioia, almeno così fantastico, degli insetti, che possono usarle quasi come un dondolo, un'altalena. La pianta è alta, le foglie ampie e verdi, appiccicaticce, e difficilmente passa inosservata. Ha anche virtù officinali, rinfrescanti e disinfettanti. Prospera al margine dei nostri boschi di castagno dove, anche in odore di agosto e di solleone (ormai ci siamo), i fiori non mancano mai.
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Lunedi, Luglio 27, 2009
Tamaro
Il tamaro è una pianta rampicante con lucide foglie cuoriformi, fiori bianco verdastri e smaglianti bacche rosse. Le nervature parallele delle foglie suggeriscono che si tratta di una monocotiledone (come i gigli, gli agli, le graminacee e le orchidee). E' una delle poche specie europeee di una famiglia, le dioscoreacee, tipicamente tropicale. Cresce nei sottoboschi e si avvolge ai tutori in senso orario (destrorso). A prima vista potrebbe assomigliare alla salsapariglia nostrana, un altro rampicante tipico della macchia mediterranea (smilax aspera, anch'essa monocotiledone, famiglia liliacee; vedi 1 ottobre 2008). A parte l'habitat, che è un po' diverso (il tamaro si trova frequentemente anche nei sottoboschi di latifoglie, più lontano dal mare), le due piante si distingono perchè le foglie del tamaro sono più grandi e a nervature più nette, non sono uncinate e non si attaccano alle vesti come quelle della salsapariglia. Il tamaro è una pianta velenosa praticamente in ogni sua parte e il succo dei frutti è irritante per la pelle.
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Domenica, Luglio 26, 2009
Bardana
E' una pianta erbacea larga e solida, con foglie rotondeggianti o cuoriformi, che possono essere molto grandi. Inconfondibile, quando è fiorita, perchè i suoi capolini di colore rosa acceso hanno un involucro cosparso non di spine, ma di piccoli uncini che li fanno attaccare ai vestiti delle persone e ai peli degli animali. Anche i semi, racchiusi in un achenio, sono provvisti di queste spinette che aderiscono al vello degli animali e ne assicurano così la disseminazione. Erba assai diffusa e comune, ma preziosa perché le sue virtù diuretiche e depurative non sono sottovalutate da nessuno. "Se la vecchiaia vuoi tener lontana non scordare cicoria e bardana" recitava un vecchio consiglio. E la bardana era sempre presente negli intrugli miracolosi che una contadina di mia conoscenza preparava per calmare i dolori delle ossa, dovuti sia a traumi che all'usura. Efficaci sempre, anche se purtroppo la ricetta non mi è stata tramandata. Oggi ho incontrato moltissime piante di bardana lungo la cosidetta 'strada della Resa', nel bosco fra sant'Alberto di Bargagli e Pannesi (Genova). Meglio non coglierla sul ciglio delle strade carrozzabili, anche se poco frequentate come questa; ma addentrandosi un poco fra bosco e prato non dovrebbe essere difficile scovarne qualche pianta più pura e intoccata dai miasmi della vita moderna. Per la stagione comunque, è sempre meglio la primavera.
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Sabato, Luglio 25, 2009
Mandorlo
In Sicilia già cominceranno a maturare le mandorle, uno dei frutti più singolari e inaspettati. Gli alberi di mandorlo fioriscono alla fine dell'inverno, con straordinaria precocità (vedi 14 febbraio 2009), e i mandorli sono anche fra le più antiche piante coltivate della storia. Albero della famiglia delle rosacee, produce drupe dalla polpa cuoiosa che non hanno la polpa succosa degli altri pruni, ciliegio, pesco, susino ed albicocco, ma assomigliano piuttosto a delle noci. A maturazione si spaccano e lasciano cadere il nocciolo, un involucro legnoso butterato, che contiene un seme. Velenoso. I più antichi mandorli, quelli rinvenuti negli antichi insediamenti di cacciatori neolitici, avevano semi terribilmente amari, mortali solo a mangiarne una dozzina, per la presenza dell'amigdalina, un glucoside che libera cianuro. Solo con il tempo, il caso e la necessità hanno generato per mutazione spontanea quell'ibrido prunus dulcis o amygdalus communis il cui seme è commestibile, una noce dal sapore gradevole e particolare e dai molteplici utilizzi. Questa è l'appassionante storia della conversione del mandorlo(*), da amaro e assassino, a dolce e amorevole, stucchevole quasi, simbolo delle assolate colline della Sicilia. Senza quella piccola, insignificante mutazione, avremmo dovuto fare a meno degli amaretti e del latte di mandorla, della liscia sorpresa dei confetti e del dolce esagerato del marzapane, e della frutta di Martorana. In questa pagina, si trova un'altra bell'immagine di mandorle mature, fotografate come quelle qui sopra in Sicilia, fine luglio 2002.
*raccontata da Giovanni Barbera in 'Tuttifrutti', Mondadori 2007
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Venerdi, Luglio 24, 2009
Agapanto
Questa estate mi ha regalato tre fiori di agapanto, pianta di origine sudafricana, famiglia delle liliacee, ormai famosa, diffusa e ammirata quasi in ogni giardino. Quando si schiude il bottone a involucro in cima al lungo stelo, i suoi fiori sono disposti a ombrello, morbido e denso, e spalancano corolle a petali lunghi e flessuosi stami, di colore dal blu al bianco. I miei sono celesti. E' difficile definire a quale specie appartengono. Potrebbe essere a. umbellatus o a. africanus a foglia sempreverde (ne esistono anche specie a foglia caduca), ma la nomenclatura è controversa. L'avevo trovato in questa casa, in un grande vaso; credo che usassero ripararlo d'inverno, perchè potrebbe soffrire il freddo. Durante la prima estate, 2006, si è presentato con un grande fiore, ma io, senza pietà, o forse solo per incoscienza, l'ho sistemato in terra in un aiuoletta arida, in mezzo ai giaggioli giapponesi, invadenti e disordinati. Non è morto d'inverno, anzi si è riprodotto, ha rifatto un fiore, ed io l'ho diviso e diviso ancora. E' finito nell'auiola della menta, in cinque esemplari, di cui appunto tre sono fioriti. Dopo un'inverno rigido e nevoso, per una pianta da clima caldi, è un bel risultato. Certo, l'agapanto è una pianta forte, la sua carnosa radice a bulbo tollera la siccità e gli stenti. "Equilibrio africano", lo chiama Paolo Pejrone (In giardino non si è mai soli, pag. 55 Feltrinelli, 2002), e davvero la flora dell'Africa del Sud è una delle più stupefacenti del mondo.
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Giovedi, Luglio 23, 2009
Cardo, dentellato o alpino
Proprio ora che i fiori stanno finendo (anche se ce ne sono ancora proprio tanti), impazzano le farfalle, insetti che prediligono il sole caldo e asciutto. Le farfalle visitano i loro fiori preferiti, e ogni genere ha il suo. Questi piccoli cardi rosati, lunghi su steli lisci, con i loro capolini solitari, hanno foglie lanceolate, pennate e decorate di spine aguzze. Ovunque li ho incontrato in questi giorni, erano meta gradita proprio di queste farfalle bianche e nere, tanto che era difficile trovarne qualcuno 'libero'. Tanti cardi e tante farfalle.
I cardi sono piante spinose della famiglia delle asteracee o composite. Un po' come mi capita per le ginestre, trovo difficile identificarli. Quando ero bambina, il fiore che chiamavamo cardo era la carlina (vedi 16 agosto 2008), con i suoi grandi capolini perenni, che raccoglievamo per conservarli, per appenderli alle pareti come ornamento. Ora credo che la carlina sia specie protetta, e comunque, ad essere pignoli, non è proprio un cardo. Viceversa i due generi che si contendono il nome volgare di cardo sono il carduus e il cirsium. Ho quindi cercato a lungo fra questi due generi quale pianta assomigliasse di più a quella della fotografia, che ha fiori singoli e non porta spine lungo il fusto, ma ha foglie verde brillante, senza venature in contrasto, ma con lobi terminanti in spine robuste. Il cardo dentellato, c. defloratus ha in verità molte di queste caratteristiche, ma purtroppo, secondo i manuali, sarebbe specie tipica solo delle Alpi orientali, e perciò assente in Liguria. Tuttavia il cardo alpino, c. carlinaefolius, si trova nella nostra regione ed è abbastanza sensato annoverarlo nel 'gruppo del c. defloratus' (così Pignatti, Flora d'Italia, 1982). E cardo dentellato sia, come lo chiama anche Giorgio Venturini nelle sue pagine sulla flora della val d'Aveto, che altro non è se non un'altra valle dell'Appennino genovese.
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Mercoledi, Luglio 22, 2009
Gladiolo reticolato
Era ancora fiorito, sui prati dei Piani di Praglia di Ceranesi, il 15 luglio scorso, questo fiore di campo che ha l'eleganza e la nobiltà di un fiore da giardino. Era ancora fiorito, ma per poco, ripiegato e un po' sfatto, seppure ancora smagliante nella tinta. C'è chi lo chiama, comunemente, gladiolo dei campi, e questo appellativo se lo dovrebbe spartire con g.communis, più grande e robusto, e g.italicus dalla fioritura più precoce. Il nome volgare più preciso è 'gladiolo reticolato' che deriverebbe dall'aspetto del bulbo, con tuniche dissolte in una rete a maglie ovali. Il condizionale è obbligatorio in questo caso, non mi permetterei mai di sradicare una pianticella così delicata e preziosa, piuttosto rara ormai, dato che non sopravvive facilmente alle normali opere agricole di falciatura, concimazione e drenaggio. Il nome scientifico della specie, palustris, è invece quanto mai improprio, perché non si tratta di una pianta palustre in senso stretto, ma tipica dei suoli calcarei, ricchi di humus, umidi e inondati in primavera, ma secchi d'estate.
scritto alle 23:13 da CarlaFed :: COMMENTI
Martedi, Luglio 21, 2009
Cotronella fior di Giove
Sono tornata nel giardino di Pratorondanino perché ho ancora bisogno di fiori. Quando la stagione se ne libererà del tutto, o quasi (certe piante fioriscono per tutto l'anno), resteranno le foglie, e le loro forme bizzarre e cangianti. Però adesso cerco ancora colori. La cotronella è una pianta alpina, che cresce sopra i 1000 metri. Trapiantata nel giardino appenninico, a circa 750 m, si è trovata bene; ma all'inizio di luglio la sua fioritura già volgeva al termine. Il riferimento al "padre degli dei" forse è legato all'altezze ove cresce e alla nobiltà della sua fioritura. Della famiglia delle Caryophyllaceae, è stretta parente della più rinomata L. flos cuculi, che cresce più diffusamente e anche a bassa quota. Alla cotronella si attribuivano in passato curiose proprietà. Siccome è molto bella, era pianta importante nei riti del corteggiamento. Ma era anche conosciuta come pianta velenosa, e perciò si faceva credere ai bambini che cogliere dei suoi fiori avrebbe scatenato un tremendo temporale.
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Lunedi, Luglio 20, 2009
Meliloto bianco
Quando è piccolo, il meliloto somiglia all'erba medica, per le sue foglioline tonde, in mazzetti di tre. Crescendo le foglie diventano più ovali, il fusto si fa legnoso e può diventare alto fino a 1 metro. I fiorellini appaiono d'estate; papilionacei, bianco crema, sono raccolti in racemi, pannocchiette a punta. L'aspetto è abbastanza caratteristico e la pianta si riconosce a distanza. Più famoso è il meliloto giallo, molto simile, ma con fiori con fiori leggermente più grandi e, appunto, gialli. Il meliloto è pianta di molte risorse. Ha proprietà medicinali, è gradito alle api e agli erbivori come foraggio. Primo Boni(1) dice che le sommità fiorite del meliloto giallo sono buone negli stufati, ai quali conferiscono un aroma "assai apprezzato". Fotografato ancora lungo il percorso senza barriere di Valle Calda, da Piani di Praglia, Genova.
(1) Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche, ed. Paoline, 1977
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Domenica, Luglio 19, 2009
Campanula a mazzetti
Lungo lo stesso itinerario citato ieri(1) fiorisce ancora, stellata e sgargiante, questa romantica campanula i cui fiori a mazzetti densi non sembrano appesantire i sottili fusti. Continuerà a fiorire, come la sua cuginetta c. trachelium (la campanula più comune), per quasi tutta l'estate. Il colore delicato e intenso, la geometria dei fiori e la loro lunga stagione, la docilità di comportamento (cresce, fiorisce, tappezza, senza chiedere in cambio che acqua e luce) ne fanno un'erbacea perenne ricercata anche per i giardini. Certo la preferisco in natura, libera in mezzo all'erba selvaggia; ma l'arte di addomesticare i fiori è arte di tutto rispetto.
(1) Percorso senza barriere di Valle Calda, da Piani di Praglia, Genova
scritto alle 17:26 da CarlaFed :: COMMENTI
Sabato, Luglio 18, 2009
Astranzia
E' assai diverso questo bel fiore bianco con riflessi rosa dai più comuni appartenenti alla famiglia delle Umbellifere, piante dalle bianche ombrelle, quali carota, prezzemolo e cicuta. Vero è che qualcosa dell'ombrello l'inforescenza ce l'ha, ma il vantagggio è che finalmente il riconoscimento di un umbellifera non causa titubanze, né lascia dubbi. Il suo nome l'astranzia lo deve, mi par logico credere, alla forma stellata delle sue infiorescenze. Ho visto questa bella pianta, ed ho imparato il suo nome, nel giardino di Pratorondanino (vedi 7 luglio). Ma non è lì che l'ho fotografata. L'ho incontrata di nuovo lungo il sentiero botanico che dai Piani di Praglia si avvicina ai laghi del Gorzente (vedi anche post nei primi giorni di novembre 2008); o meglio lungo il percorso senza barriere di Valle Calda, un gradevole itinerario naturalistico accessibile a tutti grazie all'ampio sentiero, parzialmente asfaltato.
scritto alle 16:26 da CarlaFed :: COMMENTI
Venerdi, Luglio 17, 2009
Salcerella
Comincia a far caldo, a tratti molto caldo. E' giusto cercare refrigerio nell'acqua, e non solo marina. Le zone umide sono una risorsa, di frescura e di ossigeno, nell'afa del sol leone (vero è che siamo ancora nel cancro, ma per pochissimi giorni). La salcerella è una delle più belle piante selvatiche d'acqua e le sue slanciate spighe rosa acceso spiccano in mezzo al folto delle foglie di iris acquatico, la cui fioritura è finita già da almeno due mesi. La salcerella invece fiorisce per tutta l'estate e perciò si fa notare, in mezzo a quel verde troppo verde della stagione. Appartiene alla famiglia delle lythraceae, piante amanti dell'acqua e dei colori. Da un membro della sua famiglia (Lawsonia inermis) si ottiene la celebre tintura araba rosso arancio detta 'hennè'. Ancora della famiglia, sono le piante ornamentali del genere Lagoerstroemia, alberello molto di moda negli ultimi tempi e a volte confuso con il lillà (vedi il post del 27 agosto 2008). Il nome deriverebbe dal greco "lýthron" che significa sangue. Ma non so se questo sia dovuto a supposte proprietà antiemorragiche, che si perdono nella notte dei tempi, o al colore rosso acceso di molti esemplari. Fotografata nel laghetto giardino botanico di Pratorondanino, la specie è presente in Liguria allo stato selvatico e piuttosto comune in tutta la penisola.
scritto alle 14:09 da CarlaFed :: COMMENTI
Giovedi, Luglio 16, 2009
Vilucchio
Tutte le convolvulaceae, sembra suggerirlo in un bisbiglio onomatopeico anche il nome, sono piante che si avvinghiano, steli volubili che si arrotolano con perseveranza intorno a qualsiasi tubo o bastone verticale si presenti a loro disposizione. Preferibilmente, certo, intorno ad altre piante. I vilucchi non sfoggiano gli affascinanti colori dell'ipomea (vedi 22 luglio 2008), ma sono piante infestanti per eccellenza, arrampicatrici instancabili di altezze altrui. Soprannominate, inappropriatamente e avventatamente, fagioli selvatici per la rapidità della loro salita, non hanno niente a che fare con quelle papilionacee. Hanno appariscenti fiori a imbuto, bianchi o debolmente rosati e foglie di forma appuntita, astata o sagittata. L'aspetto singolare è che non tutti si avvolgono nello stesso senso, o a caso. La calystegia sepium, dalle grandi campane bianche diffuse ovunque, sale a spirale girando di solito verso destra, cioè in senso orario. Il convolvulus arvensis , più piccolo, ma non meno sfrontato, si avvolge in senso antiorario. Non è proprio una regola, ma una preferenza. Non si può non riconoscer loro intraprendenza e bellezza. Tanto le piante sono invadenti e tenaci, tanto le campane dei loro fiori sono leggiadre, forti e delicate. Si aprono al sole e si chiudono quando il cielo è nuvolo, arrotolate su se stessi prima di sbocciare, campane fesse, rinserrate a tappo prima di appassire.
scritto alle 16:48 da CarlaFed :: COMMENTI
Mercoledi, Luglio 15, 2009
Erba medica lupulina
Questo minuto trifoglietto giallo appartiene al genere dell'erba medica, medicago sativa, celebre foraggio, decantato, almeno dalla mie parti perchè assai gradito agli erbivori della campagna. Tanto gradita, buona e salutare, che io credevo, o forse mi avevano fatto credere, che erba medica significasse erba medicamentosa, ovvero un toccasana per la salute delle mucche. Ma 'medica' non deve il suo nome ad affinità con medico o medicina, e neppure, come altri pensano, dalla famiglia dei Medici, signori di Firenze, che ne avrebbero introdotto, o forse incoraggiato la coltura. Invece 'medica' deriva dal popolo dei Medi, ovvero i persiani che la coltivavano, e da loro la conobbero i Greci e la portarono in patria durante le guerre persiane. L'origine era nota anche ai romani che la chiamavano herba medica, erba dei Medi. Tutte le erbe dei Medi o medicago (vedi anche 7 maggio 2009) sono buoni foraggi. Come è noto, la medicago sativa ha fiori più grandi della lupulina e di colore blu violetto. I frutti, legumi, sono a forma di spirale, mentre quelli della lupulina sono 'reniformi'. Più criptica è l'origine del nome specifico lupulina, che deriverebbe dal fatto che i suoi fiori sono 'simili a quelli del luppolo'. Questa affinità non è molto ovvia (vedi foto di fiori del luppolo 5 settembre 2008), né mi pare così caratteristica; ma perchè stupirsi? Le somiglianze e le analogie che trovavano gli antichi botanici e gli erboristi sono come le forme delle nuvole, o dei sogni.
scritto alle 23:14 da CarlaFed :: COMMENTI
Martedi, Luglio 14, 2009
Salice rosso
I leggiadri alberi di salice, così flessuosi e robusti, con le lunghe foglie dalle sfumature argenteee sono un incontro piacevole perchè le loro forme e i loro colori rompono un poco la monotonia del bosco. Qui da noi, pur essendo alberi molto comuni, sono, in un certo qual modo, dei diversi. Tutti prediligono i corsi d'acqua e li accompagnano con graziosa dedizione. In ogni circostanza, in ambienti anche molto diversi, trovo sempre che il salice sia un albero naturalmente elegante. Il salice rosso ha portamento arbustivo e forma macchie rotonde lungo i greti umidi e colonizza le forre. A differenza del salice bianco, slanciato signore del vento, ha foglie prive di peluria e flessibili rami rossicci. I suoi tralci sono usati come rustici vimini per cesti e stuoie.
Ancora sul salice in questa pagina. Gli alberi della foto a sinistra sono quasi sicuramente salici rossi, mentre le foglie appartengono a un salice bianco.
scritto alle 23:46 da CarlaFed :: COMMENTI
Lunedi, Luglio 13, 2009
Rucola selvatica
Va sotto il nome di 'rucola selvatica' per distinguerla dall'altra rucola, forse più comune eruca sativa (vedi 13 ottobre 2008). E' della stessa famiglia, crucifere o brassicaceae che dir si voglia, ma diverso genere; dalla rucola comune differisce per la forma delle foglie, più lunghe e frastagliate, per l'aspetto dei fiori, ovviamente a quattro petali, ma gialli e non bianchi e anche più minuti, e per il sapore più piccante e deciso. Inoltre questa pianta è molto rustica ed è perenne anche nei climi più freddi. Devo dire che anche eruca sativa aveva retto bene l'inverno, nonostante le nevicate, ed aveva fatto la gioia di qualche visitatore stupito di poter assaggiare insalatina fresca fra gennaio e febbraio. Ma dicono che sia prevalentemente una pianta annuale, e lo stesso l'ho estirpata (che crudeltà). Ho seminato poco lontano, di fianco all'erba cipollina (vedi 2 maggio 2008, sulla sinistra della foto se ne intravedono alcune foglie) questa nuova rucola, saporita e leggermente più coriacea. Naturalmente da lei mi aspetto ancora più grinta nel superare l'inverno.
scritto alle 16:32 da CarlaFed :: COMMENTI
Domenica, Luglio 12, 2009
Ricino
Questa affascinante pianta della famiglia delle Euphorbiaceae è purtroppo molto meno nota di quel suo certo derivato, l'olio di ricino appunto, un tempo paventato dai bambini disobbedienti, ma tristemente utilizzato anche per scopi meno 'educativi'. La famiglia di appartenenza lo dovrebbe far sospettare, il ricino è una pianta molto velenosa. L'olio derivato dai suoi semi può essere utilizzato come lubrificante, nei tempi antichi anche come combustibile per lampade, ma soltanto depurato delle proteine velenose che contiene (la ricina) diventa un medicinale, quel purgante di pessima fama di cui dicevo prima. Arbusto a rapido accrescimento, originario dell'Africa tropicale, ma agevolmente acclimatato nel bacino del Mediterraneo, la pianta del ricino è invece fonte di grande soddisfazione per chi provi a seminarla a primavera. Germoglia prontamente e cresce con avidità, spalancando le sue ampie foglie, a lobi finemente definiti, di colore intenso, verde e rosso scuro. Finchè a un certo punto, in mezzo al germoglio centrale, spunta l'infiorescenza, un'appariscente pannocchia. Si tratta di una pianta monoica(1), i fiori maschili hanno stami gialli, ramificati, e quelli femminili un vistoso stimma rosso. La varietà che ho piantato, da semi regalatemi da un vicino, ha lucide foglie rosso cupo e rossicci sono anche i piccioli e il fusto. Data l'origine tropicale, è probabile che si comporti da annuale, ma lascerà, mi auguro, un ricco corredo di semi per la sua progenie.
(1)possiede cioè fiori maschili e femminili separati, ma presenti sulla medesima pianta
scritto alle 19:21 da CarlaFed :: COMMENTI
Sabato, Luglio 11, 2009
Sassifraga meridionale
Il nome stesso, sassifraga, evoca immagini di roccia e pietra, su cui i fitti cuscinetti di fiori bianchi ("pulvini") spiccano come groppi di stelle. Radici che frangono i sassi avrebbe questa pianta, forse perchè dove cresce non sembrerebbe ovvio trovare un vegetale, e men che meno un fiore limpido e delicato come la sassifraga. Oppure, il nome deriva più prosaicamente dal fatto che veniva usata nella cura dei calcoli biliari. Questa specie cresce sulle Alpi marittime, ma per noi che scalatori non siamo, l'hanno adattata a un ambiente più accessibile i botanici del giardino di Pratorondanino(vedi 7 luglio). Il nome s. lingulata, che le attribuì il botanico settecentesco Bellardi, è usato in varie pubblicazioni, fra cui Sandro Pignatti(1), mentre altrove viene denominata s.callosa, ed è con questa denominazione che è inserita nelle specie a protezione totale.
(1)Flora d'Italia, 1982 - uno dei testi fondamentali di riferimento per la classificazione delle piante italiane
scritto alle 17:37 da CarlaFed :: COMMENTI
Venerdi, Luglio 10, 2009
Iperico ruta caprina
L'iperico più comune, hypericum perforatum (vedi 21 giugno 2008), è pianta molto celebre per le sue virtù officinali e i suoi numerosi principi benefici sono racchiusi nei fiori gialli, intrisi di pigmento rosso, e nelle foglie, cosparse di vesciole ripiene di olii essenziali. Il principio attivo più importante è l'ipericina, un pigmento policiclico che ha un moderato, ma significativo, effetto antidepressivo. Tutte le specie di iperico hanno fiori dai petali gialli e foglie fittamente disseminate di ghiandole traslucide, per cui se si guardano in trasparenza si vedono tanti puntolini e sembrano forate. Avevo visto l'immagine di hypericum calycinum forse in qualche rivista di giardinaggio. Pianta coltivata come ornamentale, anche se talvolta inselvatichita, non credevo mai di incontrarla, come poi è successo al giardino botanico di Pratorondanino. E' fra gli iperici quello con la fioritura più bella. Anche se il giallo è a volte giudicato sguaiato e poco fine dai floricultori più esclusivi. Non da me che amo il giallo nei fiori proprio per la sua aggressiva vitalità.
La ruta caprina, invece, hypericum hircinum è pianta comune nei luoghi umidi e ombrosi, riconoscibile per l'odore di capra che sprigionano le foglie se soffregate. Anche il nome latino significa 'di capro', 'di caprone'. Questa è stata fotografata in un sentiero di mezza montagna, intorno ai 1000 metri, ma luglio era già finito e il fiore era già un poco sfatto. L'iperico era attribuito alla famiglia delle clusiaceae, poi corretta in hypericaceae, o meglio ancora guttiferae. Quest'ultimo nome è quello che preferisco, perché descrive quell'arcana caratteristica di possedere foglie così ricche di ghiandole resinose o sebacee. Il pigmento rosso pare sanguigno e ha meritato a tutti gli iperichi il nome volgare di erba di San Giovanni, perchè fioriscono in estate, proprio vicino alla ricorrenza del giorno in cui il santo fu decapitato.
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Giovedi, Luglio 09, 2009
Campanula
E' piuttosto difficile identificare le diverse specie di campanule, peraltro tutte bellissime. Tuttavia mi pareva evidente, quando l'ho fotografata nel bosco in giugno di quest'anno, che questa campanula era qualcosa di più della campanula comune in tutti i boschi e prati, la campanula trachelium. Ho scartabellato parecchio per cercarle un nome ed ora sono abbastanza tranquilla possa essere campanula medium, specie tipica ligure, anche se presente in altre regioni e sull'arco alpino. Rispetto alla sua cuginetta più comune, ha fiori più grandi e appariscenti, una sfumatura di colore più netta, sia esso blu o violetto o decolorato fino al bianco.
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Martedi, Luglio 07, 2009
Sigillo di Salomone
Dice ancora Hermann Hesse, nella già citata (27 giugno 2009) raccolta di scritti e poesie "Il Canto degli alberi", compagna ideale delle mie riflessioni: "Durante l'estate, il paesaggio montuoso meridionale è verde, verde, verde e se non spiccassero ovunque i villaggi variopinti e luminosi e non facessero capolino da lontano un paio di vette innevate, sarebbe quasi noioso". Davvero sono ormai rassegnata al verde assoluto e quando domenica scorsa ci apprestavamo ad iniziare la visita del giardino botanico di Pratorondanino(1), piccolo angolo di paradiso sull'Appennino fra Piemonte e Liguria, non aspettavo di trovare molti fiori. E benché qualcuno ce ne fosse ancora, anzi ne avrei da mostrare per tutto il mese di luglio o giù di lì, certo non era più fiorito questo bel mughetto selvatico, erba tanto attraente quando crudele, lucida, impeccabile e velenosissima. Le bacche specialmente, verdissime in questa stagione, ma presto nereo-bluastre potrebbero essere fatali se scambiate, poniamo, per mirtilli. Le due specie che si trovano nel giardino, polygonatum odoratum e polygonatum multiflorum sono entrambe assai diffuse nei nostri boschi e molto simili fra loro. Il nome sigillo di Salomone deriverebbe dal fatto che quando la parte erbacea della pianta appassisce e muore lascia sulla radice una cicatrice a forma di stella a sei punte, la stella di David o sigillo di Salomone. Queste piante hanno anche altri nomi volgari curiosi, come ginocchietto. La famiglia è quella delle Liliacee, monocotiledoni, benché una certa propensione a complicarsi la vita abbia spinto certi botanici a concepire per polygonatum una famiglia diversa, come le Convallariaceae (forse insieme al mughetto o Convallaria?) o ancora le non meglio identificate Ruscaceae. Importante comunque è non confonderlo con il genere polygonum, famiglia Polygonaceae, che sono dicotiledoni.
(1)Si può raggiungere questo giardino dal paese di Masone, sull'autostrada Genova Voltri - Alessandria.
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Lunedi, Luglio 06, 2009
Veccia montanina
Molte piante selvatiche del genere veccia, e diversamente da quella che è indubbiamente la più famosa del genere, vicia fava (20 marzo 2009), fioriscono per tutta l'estate. La veccia montanina, esile e rampicante, non porta fiori isolati o in piccoli gruppi, ma racemi, infiorescenze dense di piccoli fiori blu porpora. Papilionacei, ovviamente. Accanto ai fiori, appena sfatti, si affollano i bacelli, lucidi e piatti come il petto di una bambina. Altri accanto sono già gravidi e gonfi, pronti a spaccarsi. L'estate, ma non l'estate delle spiagge affollate e delle ferie obbligatorie, l'estate che appassisce i fiori e matura i frutti, l'estate dell'erba lunga e ispida e della terra secca, l'estate, quella vera, galoppa. Però non è giusto smarrirsi con l'impressione che sia già finita. E' ancora lunga l'estate, ancora molto lunga.
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Domenica, Luglio 05, 2009
Trifoglino legnoso, con fasmide
E' successo molto vicino al luogo dove abbiamo trovato l'ofride fior d'ape (30 giugno 2009), e cioè vicino all'abitato di Cisiano, nella val Lentro, la settimana scorsa, in un assolato meriggio, solitario e silenzioso. Guardavo, interessata, ma fino a un certo punto, questi fiorellini bianchi a forma di fiori di trifoglio, ma che trifoglio non possono dirsi, perché le foglie, al contrario, sono in gruppi di cinque, disposte come raggi intorno agli steli. Mi chiedevo se fossero gli stessi che avevo fotografato l'anno scorso, vicino casa, più o meno nella stessa stagione (poi ho avuto modo di verificare che sì, con ogni probabilità erano gli stessi). E poi, d'un tratto, lo vedo, verde e perfettamente immobile. Lui, il fasmide o insetto stecco, fantasma perchè pressocchè invisibile. Diciamo subito che non è una rarità, i fasmidi sono presenze comuni nei nostri prati, ma è molto divertente incontrarli. Ne esistono di numerose varietà, forme e abitudini, ma sono tutti ugualmente mansueti e aggraziati. Non mi azzardo a dichiarare che genere sia questo, lascio la determinazione agli esperti. Anche i fasmidi hanno i loro conoscitori e ammiratori, esiste perfino un sito tutto dedicato a loro, con molte indicazioni e consigli sul loro allevamento. Già ma "perché a una persona normale dovrebbe saltare in mente di tenere come animale domestico un insetto stecco?". Nel sito appena menzionato c'è anche la risposta a questa domanda. Ma torniamo al trifoglino legnoso, perchè è così che si dovrebbe chiamare comunemente questa pianticella snella, ma con fusto abbastanza rigido da poter essere classificato 'legnoso'. Se il nome comune è impreciso, anche la nomenclatura scientifica crea qualche equivoco. Sembra che Linneo (il più grande classificatore che la botanica abbia mai avuto) lo chiamasse lotus dorycnium, come il lotus hirsutum che ho mostrato il 21 maggio, molto simile per certe caratteristiche, ma con fiori e infiorescenze più grandi. Quest'ultimo in numerosi testi è chiamato appuntodorycnium hirsutum. Forse a causa di tutte queste ambiguità, non si capisce perchè questi fiorellini abbiano meritato un nome così complicato, e di etimologia oscura. Invece pentaphyllum è certo utile all'identificazione, perchè significa proprio che ha cinque foglie. Parente dell'erba medica (genere medicago), lotus o dorycnium che si voglia chiamare, può essere utilizzato come foraggio,di buona qualità anche se non elevato rendimento. Al mio amico fasmide era certo assai gradito.
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Sabato, Luglio 04, 2009
Ortensia
Dopo due giorni di assenza, torno sul blog con una pianta molto comune, ordinaria direi. Un'ortensia, o hydrangea, e della specie più volgare. E non, per esempio, una h. quercifolia, che è un arbusto nobile e variegato, alto e interessante. Neppure una varietà originale ed esclusiva. Propio la h. macrophylla, quel cespugliotto denso e colorato che c'è in tutte le case di campagna. Ma questa ortensia, e altre sette sue sorelle, è molto particolarmente per me, perché è la 'mia' ortensia. Cresciute da talee di un'unica pianta, con fiori di due tipi leggermente differenti, rosa pallido e rosa più carico, le ho viste radicare e crescere, cadere in letargo d'inverno (vedi 3 gennaio 2009) e risorgere in primavera, e poi esplodere, sempre più generose, cariche delle loro palle di fiori. Non è un consiglio molto originale, però chi vuole soddisfazione da una piante, pensi all'ortensia e non se ne vergogni.
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Mercoledi, Luglio 01, 2009
Cardogna comune
E' una pianta dai fiori molto appariscenti, solare, anche se non altrettanto gentile, a causa della larghe spine che orlano le sue foglie. Vistosa, eretta, densa, cresce a frotte e disordinati cespugli ai bordi delle strade, sui greti sassosi, sulle rive di sabbia. Ha molti nomi popolari, cardogna, scolimo (che eccheggia quello scientifico), cardo scolimo oppure semplicemente cardo giallo. Le infiorescenze, capolini o calatidi che siano, luminose e fitte, spiccano straordinarie sull'orlo dei marciapiedi. Oltre che sullo spartitraffico di un viale di periferia, l'ho incontrata in quell'angolo di strada, vicino alla discarica in fondo a quella gola di monte, di cui parlavo due giorni fa. Sono sempre a due passi da casa e sempre trovo qualche nuovo gioiello. Ma se qualcuno pensa che sia soltanto un'altra erbaccia da estirpare al più presto, comunque la avvicini, consiglio di indossare un robusto paio di guanti.
Oggi, 1 luglio, penso con nostalgia alla mia gattina preferita, la mia piccola amica di tanti anni, che se ne è andata troppo presto, esattamente un anno fa. Ciao Mimì.
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