Fiori e foglie... una pianta al giorno
Amo moltissimo le piante. Soprattutto i grandi alberi, le creature più generose della terra. Ma anche le piccole erbe di prato, persino quelle più impudenti, che si ostinano a resistere ai miei tentativi di estirparle dalle aiuole del giardino. Poca gente osserva le piante, forse le trovano noiose. Pochi sanno riconoscere un leccio, o addirittura distinguere un ippocastano da un tiglio. E' un vero peccato, le piante non sono affatto noiose, e in questo diario botanico io voglio presentare ogni giorno una pianta diversa, del giardino, del campo, del bosco
Naturalmente questo blog non ha pretese scientifiche né manualistiche. E' solo una piccola raccolta di pensieri, mentre osservo le piante, con la speranza di imparare a conoscerle meglio.

Giovedi, Luglio 31, 2008
Finocchio

Il graphosoma lineatum, un eterottero volgarmente chiamato cimice delle piante e la cui unica attrattiva è costituita dal colore acceso e dal motivo geometrico del dorso, pascola abitualmente sul finocchio. Si dice che preferisca le Ombrellifere in fiore, specialmente per accoppiarsi. Il che crea un interessante contrasto di colori rendendo attraente persino questo insetto amaro e puzzolente.

Il mio finocchio selvatico è alto quasi 2 metri. Non prevedevo affatto che diventasse così grande. Ora aspetto che le grandi ombrelle gialle producano i semi, oblunghi e verdolini, profumati di anice.

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Mercoledi, Luglio 30, 2008
Gardenia

La gardenia è una di quelle piante che mi intimidiscono un po'. Così esotica, elegante, esagerata. Troppo diversa dai fiori di campo, timidi, ma sfrontati. Le foglie della gardenia sono coriacee e lucidissime, i boccioli verde chiaro, carnosi e gonfi, si aprono in incredibili fiori bianchi dal profumo discreto e inebriante.
Non ha avuto bisogno di molte cure. L'ho tenuta in vaso per un anno, ma da quando l'ho messa in terra è decisamente più felice ed è cresciuta molto. La breve nevicata di gennaio non l'ha disturbata. Vi pascola qualche parassita che ho cercato di tenere a bada con un insetticida. In primavera le foglie diventano gialle e mutano, nascono quelle nuove e in mezzo a loro gli ovetti gialloverde dei boccioli. Le ho dato un po' di solfato di ferro e chelati di micronutrienti. Ora che si sta coprendo di fiori, un po' di concime granulare. Faccio tutte queste cose perchè vorrei rendermi utile, ma non sono molto convinta che ne abbia assoluto bisogno. L'unica cosa di cui una pianta non può proprio fare a meno è la dose giusta di acqua e umidità. Se i parassiti le danno tregua, come sembra, e l'inverno non sarà troppo rigido, forse, probabilmente, ci delizierà di fiori ancora per molte estati.

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Martedi, Luglio 29, 2008
Albicocco

L'albicocco è uno degli alberi da frutta più popolari e meno aristocratici. Largo il portamento, esagerato il fogliame, grassi e solari i frutti, caldi quando pendono come pomi d'oro zecchino dalle frasche. Ma l'albicocca, una delle frutte estive più gustose e ghiotte, si fa desiderare. Non sopporta di essere sbattuta sui banchi del mercato ancora acerbetta, deve maturare sull'albero, fra le sue larghe foglie dall'aria vagamente esotica. E non si mischia con tutte quelle frutte da frigorifero, pallidine e insapori. L'albicocco è così come si vede, una pianta da strada, offre i suoi frutti fra un rudere e un'inferriata, maliardi e tentatori. In una delle tante leggende, non confermate dalla storia, era l'albicocca e non la mela, il frutto proibito del giardino dell'Eden. Ma chi ne ha addentato una dall'albero, magari sotto il sole, deve aver capito perchè un tempo il moderno problema del cosidetto 'intestino pigro' era assolutamente sconosciuto.

Ancora una volta eravamo a Triora (Imperia), inesauribile luogo di ispirazione. L'albicocco e il muro con inferriata fotografati alla fine di luglio di qualche anno fa.

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Lunedi, Luglio 28, 2008
Faggio


Non voglio fare preferenze fra ciò che amo, ma non conosco un albero più bello del faggio.
Il faggio è il mio albero, il mio totem. Ho imparato a prediligerlo a poco a poco, andandolo a cercare lassù dove le colline diventano montagne, e dove l'aria è più limpida e pura. Il tronco è liscio e chiaro e può allungarsi ad altezze indicibili, diritto come un albero di nave (che di fusti di faggio erano spesso costruiti), oppure farsi cespuglioso, sempre imponente, ma folto e ramificato. Può diventare addirittura un bonsai, in prossimità delle vette più ventose ho trovato dei faggi così piccoli da essere irriconoscibili. Le foglie sono di solido tessuto lucido e di tutti i colori del verde più elegante e signorile.
Ma soprattutto ammiro la magnificenza dei boschi. Il bosco di faggi è un giardino che non ha bisogno di cure, ci pensano le spesse chiome a tener a bada le erbacce e lasciar crescere soltanto l'erba più piccola e tenera. All'ombra dei faggi è l'ordinato silenzio che suggerisce storie, e leggende, e sogni.
In Liguria il faggio cresce intorno agli 800-1000 metri e doveva essere assai più diffuso di quanto non lo sia oggi, perché il legno di faggio è assai prezioso. Il bosco di questa fotografia si trova in val d'Aveto, al confine fra la provincia di Genova e quella di Piacenza, e precisamente sopra il paese di Castagnola, passato l'alpeggio di Ponciore, verso il passo Cantone. Un crinale montano, battuto dal vento anche quando a valle infuria la calura.

Una pianta al giorno è la regola di questo blog. A parte i giorni che salto, mio malgrado, e quelli, come ieri, in cui in pratica ne presento due, non dovrebbero esserci ripetizioni. Ogni pianta vale, piccola o grande che sia, con il capolavoro della sua forma, allevia le nostre ore con la sua graziosa presenza, e nel frattempo distribuisce all'atmosfera la sua dose giornaliera di ossigeno. Però, però, qualche eccezione è inevitabile si faccia, e so già che di quest'albero parlerò più di una volta in un anno, perchè ogni stagione deve essere celebrata.

Ancora sul faggio, fotografie e notizie in questa pagina.

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Domenica, Luglio 27, 2008
Le due artemisie

"A tale of two cities" è un classico di Charles Dickens, tradotto in italiano come "Le due città". Si tratta di un racconto romantico, degno di una dei più grandi narratori di tutti i tempi, che si svolge fra Londra e Parigi. L'espressione "A tale of two ..." è entrata nella lingua inglese e viene utilizzata ogni qualvolta si racconti di due cose, unite eppure diverse, con molti punti in contatto, eppure una storia e un destino contrastanti. E quindi la prendo in prestito anch'io per parlare di due piante dello stesso genere e somiglianti per tanti versi, eppure anche stranamente dissimili.

"A tale of two artemisias"
In effetti le artemisie sono tre, per limitarsi a quelle più celebrate. L'artemisia absynthium, comunemente nota come assenzio, l'artemisia dracunculus, ovvero dragoncello o estragone, e artemisia glacialis, o genepy. Quest'ultima tuttavia è pianta di alta montagna e non si trova, nè cresce ai climi collinari, e quindi per me per il momento le artemisie rimangono due.

Della famiglia delle composite o asteracee, sono piante perenni e decidue, di origine europea, più spontanea l'assenzio, più comunemente coltivata il dragoncello. Alte e snelle, fioriscono con mazzetti capolini giallastri non particolarmente attraenti; diciamo, fiori che fanno il loro mestiere di fiore, senza altri grilli per la testa. Ancora, sono tutte due piante aromatiche, dal profumo caratteristico.
Ma ecco che arrivano i contrasti. Le foglie del dragoncello sono sottili e lanceolate, di un verde scuro, ma morbido. Le foglie dell'assenzio sono pennate e ricoperte di peluria argentea che le rende grigiastre. Solo verso la sommità dei fusti, si assottigliano, senza perdere il colore cinerino.
Per quanto riguarda l'aroma, il profumo e il gusto, i contrasti aumentano. Docile e appetitoso il dragoncello, una ricercatezza da cucina francese. Amaro ed aggressivo l'assenzio, da usare con parsimonia perchè dominante. Pianta nota da millenni, l'assenzio ha poi spiccate qualità medicinali e contiene tujone, il terpene tossico a dosi elevate di cui già accennavo a proposito del tanaceto. E non si può nominare senza ricordare il famoso distillato, la leggendaria bevanda dei bohemien parigini di fine ottocento, Fée Verte (Fata Verde), a cui si attribuivano proprietà stupefacenti, per lo più esagerate.

Le due artemisie crescono entrambe nel mio giardino. Ho usato e apprezzato il dragoncello sia con le carni bianche che con il pesce. L'odore dell'assenzio mi inebria, ma non l'ho ancora assaggiato.

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Venerdi, Luglio 25, 2008
Passiflora

La Passiflora caerulea, a filamenti bianchi come nella foto a destra, o azzurrati come più comunemente si incontra, è l'unica specie del genere passiflora che si è bene adattata al clima italiano. E davvero si è adattata così bene che molti amanti del giardinaggio la guardano con sussiego considerandola troppo invadente. Potenza delle piante tropicali, quando attecchiscono.
Trovo la passiflora un fiore straordinario.
L'ho coltivata in balcone in un vaso, dopo averla strappata dalla massicciata della ferrovia, dove cresceva strisciando e avvinghiandosi ai tralicci. Ha continuato a crescere anche quando l'ho messa a dimora in un giardino di collina. I fiori duravano meno di un giorno, ma la fioritura è sempre stata abbondante.



La forma del fiore, che dà origine al nome è assai nota, e tutti lo abbiamo imparato fin da bambini, che i tre stili raffigurano i chiodi, gli stami il martello, e la raggiera corollina la corona di spine. I viticci poi, quelli con cui la pianta si avvinghia avidamente ai sostegni, rappresenterebbero la frusta con cui Cristo venne flagellato. Tutto grazie alla fervida, e un po' esaltata immaginazione, di qualche giovane gesuita del 1600. Ma questa raffigurazione è ormai entrata a far parte anche della nostra immaginazione a tal punto da apparire di ovvia evidenza.





I frutti sono grosse bacche giallo arancio, piene di semi, che non contengono certo la polpa zuccherina del frutto della passione che cresce ai tropici (maracujà), ma morfologicamente gli assomigliano.

A Villa Hanbury (Capo Mortola presso Ventimiglia) ne ho viste decine di specie diverse, di cui non saprei con certezza citare il nome. Quindi oggi faccio un'eccezione alla regola, che poi regola non è perchè solo consuetudine suggerita dalla fretta, e mostro altre due fotografie, che sono solo due delle mirabili variazioni sul tema.




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Giovedi, Luglio 24, 2008
Tanaceto

Il tanaceto è una bell'erba alta e rigogliosa, con infiorescenze a corimbo, formate da compatti capolini giallo oro, che però non sono contornati dai petali bianchi come le classiche margherite, ovvero, in linguaggio tecnico, sono "senza ligule".
Ha un profumo aromatico e in Piemonte è chiamata erba di Arquibus o arquebuse, nome con cui si designa anche il liquore popolare che si prepara con le foglie e le infiorescenze di questa, unitamente ad altre piante. L'origine è certamente francese e deve avere a che fare con l'archibugio, anche se l'associazione di idee non è molto chiara.
Forse perchè è un'erba così alta, verde, profumata e sgargiante, il tanaceto era tenuta in grande considerazione in passato e le si attribuiva il potere di tenere lontani gli spiriti maligni e le streghe. Più realistico è il fatto che tenga lontano gli insetti, a causa dell'odore penetrante, le mosche dalle stanze e le tarme dai cassetti. Infatti contiene anche canfora. Inoltre ha ottime proprietà di efficace vermifugo e veniva usato per curare vari altri acciacchi.
Ma quasi tutte le erbe medicinali hanno una doppia identità. In fondo la linea di demarcazione fra farmaco, droga e veleno è assai tenue. Anche quest'erba nasconde un'insidia, il tujone, una sostanza (terpene) assai velenosa, che si trova anche nella tuia (da cui il nome), nell'assenzio e perfino nella salvia domestica. Per questo il tanaceto ha anche una fama negativa, o quanto meno viene raccomandata prudenza nell'uso interno. Nella preparazione del liquore, per esempio, si consiglia di non mettere il tanaceto a bagno nell'alcool, ma di sospenderlo in una reticella sopra il livello del liquido, il tutto sigillato in un recipiente ermetico per 40 giorni.
Benefico o velenoso, magico o stregato, il tanaceto è una pianta casalinga, allegra, popolare. Mi piace osservare l'oro zecchino dei fiori o sfregare le foglie fra le mani. L'odore è amaro e pungente, ma piacevole. Ne ho messo due piante in giardino che sono cresciute a dismisura perchè, come spesso mi accade, non so se per pigrizia o per rispetto, non sono riuscita a regolarle a dovere.

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Martedi, Luglio 22, 2008
Ipomea


Io la chiamo, tanto per darle un nome, convolvolo azzurro, o meglio ancora campanella blu. Infatti la forma del fiore è molto simile alla nostra Calystegia sepium, la campanella bianca che cresce come un fagiolo, avvinghiandosi a qualsiasi sostegno. Non a caso appartengono tutte e due alla famiglia della convolvulacee. Ma il colore, violetto, rosa, azzurro se visto da una certa distanza, a tratti blu, la rende unica. E' graziosa, garbata nella sua invadenza ed estrememente decorativa. La sua abbondante fioritura, che comincia a estate inoltrata e può proseguire fino all'autunno, ricopre ringhiere e pergolati, come si vede in questa foto.
La specie potrebbe anche essere Ipomoea acuminata, o Ipomoea violacea. Esistono centinaia di ipomee, un genere originario dell'America centrale a cui appartiene anche l'Ipomoea batata dai tuberi commestibili. In inglese si chiama Morning glory, gloria del mattino ed è molto popolare. Qualcuno dice che non è facile farla crescere, ma oggi in riviera ne ho visto fioriture così abbondanti e diffuse che ho cominciato a pensare che nella prossima stagione farò il mio tentativo.

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Lunedi, Luglio 21, 2008
Pino marittimo

Non è il famoso pino da pinoli, anche detto pino domestico (pinus pinea), dal solido portamento e la celebre forma a ombrello. Non è neanche l'elegante pino d'Aleppo (pinus halepensis), altro abitante delle coste mediterranee. Nonostante la notevole altezza, il pino maritimo (pinus pinaster) ha invece spesso un aspetto goffo, quasi precario. Abitatore di suoli aridi e rocciosi, indefesso fortificatore di dirupi instabili, ha colonizzato malgrado la sua stessa natura i declivi immediatamente a ridosso del mare, che in Liguria erano un tempo coperti di lecci, scomparsi a causa dello sfruttamento umano per costruire navi e preparare guerre. Il fragile pino marittimo è assai ricco di resina e quindi estrememente più esposto agli incendi del robusto e refrattario leccio. Così sui pendii violati dal fuoco, le sagome snelle dei pini marittimi si stagliano inermi contro il cielo del tramonto, fra corbezzoli e lentischi, tenace sottobosco sopravissuto alla scomparsa dei lecci.
La foto è stata scattata sui monti alle spalle di Vernazza, Cinque Terre, in un tramonto estivo del 2005.

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Domenica, Luglio 20, 2008
Datura

La datura arborea è un alberello dai fiori molto appariscenti. Originario del Sud America, l'ho ammirato in molti giardini pubblici e privati per tutt'Italia, dal Trentino (d'estate) alla Toscana, alla Sicilia. Questo fiore l'ho fotografato nel luglio 2004 alla villa Hanbury, a capo Mortola presso Ventimiglia.
Ma il nome datura richiama altre suggestioni, non solo quelle visive per la bellezza dei fiori. La datura stramonium, pianta della stessa famiglia, ma spontanea nell'area mediterranea, dai grandi fiori bianchi che nulla hanno da invidiare a quelli della datura arborea, è nota per le sue qualità allucinogene. Lo stramonio è prima di tutto una pianta velenosa, e non è inusuale la notizia di persone, temerarie o incoscienti non saprei, che si ritrovano in ospedale con patologie anche gravi per aver sperimentato sulla propria pelle le qualità della pianta selvatica. La leggenda ne racconta l'uso, nei tempi passati e presso civiltà sciamaniche, come medicina estrema, per esempio per causare stati di trans affini all'anestesia, che quindi permettevano le operazioni chirurgiche. Ovvero stati di allucinazione che favorivano meditazione e illuminazione.
Così mi piace pensarla, una pianta estrememente attraente e magica, il cui mito si perde nella notte dei tempi come quella di ogni erba fatata.
Oppure mi piace ammirare nei giardini la sua fioritura altrettanto prodigiosa.

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Venerdi, Luglio 18, 2008
Melo

Grandi e piccoli meli, frondosi e robusti, rigogliosi, oppure minuti e gracili, piegati dai frutti, domestici e inselvatichiti. Grandi e piccole mele, succose, pastose, morbide, croccanti, verdoline, rosee, gialle, rosse. Mele per tutte le stagioni e tutti i climi. La marmellata di mele, la migliore di tutte. Insalata di mele e patate (lesse) alla danese, condita con olio e sale, ottima con l'aringa affumicata. La mela grattuggiata affogata nello zucchero. Succo di mela, si lascia fermentare e diventa sidro, dissetante e poco alcoolico. Addenta una mela e bevi il suo nettare e se dentro c'è un piccolo abitante, vuol dire che ve ne siete cibati in due.
Sta arrivando la stagione, anche le mele di collina sono quasi pronte. Quelle, tante, che marciranno prima di maturare, serviranno da concime ai campi.

Foto scattata a Borgonuovo, frazione di Bargagli, Genova, alla fine di luglio 2005

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Giovedi, Luglio 17, 2008
Melanzana

solanum melongena

Oggi ho raccolto le prime due melanzane, tonde e viola come le preferisco. Confesso però che quest'anno ho barato, ho comprato le piante già innestate, alte e robuste pronte per fruttificare a più non posso. Mi aspetto grandi cose da loro, visto che in famiglia le melanzane alla griglia, o alla parmigiana, piacciono a tutti. La melanzana, Solanum melongena, appartiene alla famiglia della Solanaceae come il pomodoro e la patata, ma non è originaria dell'America, bensì dell'India, anche se in Europa non è arrivata prima del 1500.
I fiori della melanzana sono molto attraenti, sia per il colore rosa acceso che per le dimensioni non trascurabili, ma si vedono poco perchè sono rivolti all'ingiù e ho dovuto praticamente distendermi per terra per fare questa fotografia.

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Mercoledi, Luglio 16, 2008
Rosa

La strada si chiama Lungobisagno Dalmazia. Come se il Bisagno fosse un corso d'acqua di tutto rispetto e non un torrentaccio arido e sbrindellato, capace solo di qualche momento di rabbiosa follia distruttrice, "acqua che porta via, che porta via la via" come dice Fabrizio De Andrè in Dolcenera.
Dalmazia, forse per ricordare, nel bene e nel male, il tempo in cui tutte le isolette della costa orientale dell'Adriatico facevano parte dell'Italia.
Piccole case popolari più vecchie di me, davanti ad altri palazzoni popolari, che circondano una piazza non a caso chiamata piazzale Adriatico. Una snella pianta di rosa fiorisce da maggio ad ottobre. Fiorisce come le rose nei più lussuosi giardini. Fiorisce come fosse nel roseto dei parchi di Nervi. Fiorisce spavalda e incurante del traffico, dei fumi, del rumore. Sfacciatamente a suo agio, fra tubi di scappamento e cassonnetti della spazzatura.

Ho un rapporto difficile con le rose, con loro non ho molta fortuna. Forse è perchè le amo moltissimo, ma non le ho ancora capite fino in fondo. Così quando ne scopro una così, splendida ed essenziale, nel posto più improbabile per trovarci una rosa, non ho difficoltà a capire come mai il senso comune l'ha incoronata regina di tutti i fiori.

una pagina dedicata al Bisagno
una pagina per gli alberi in città

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Martedi, Luglio 15, 2008
Cappero
capparis spinosa
Credo che sia noto a tutti, i capperi crescono, e prosperano, sui muri. Ma anche sulle rocce, e sugli scogli in riva al mare. Si infrattano praticamente dovunque e poi ricadono, formando rigogliose cascate verdi. Non pare davvero che abbiano bisogno di molta terra, sembra viceversa che amino l'aridità e l'aria salmastra. La storia si tramanda da botanico a giardiniere, che il seme di cappero per attecchire deve essere sparato con una cerbottana, così da posarsi e germinare dove più gli aggrada. Questa leggenda probabilmente ha origine dal fatto che la propagazione dei capperi ha aspetti alquanto bizzarri, come il fatto che per germinare i semi di cappero aspettano almeno due anni dal momento in cui si staccano dalla pianta, mettendo a dura prova la pazienza dei coltivatori. Se però si lascia fare tutto a loro, coi i soliti metodi naturali, quali uccelletti e formichine o quant'altro, i capperi ce li ritroviamo più o meno dappertutto, in mezzo ai calcinacci che prediligono, sui muri a fianco di strade e autostrade, se abbastanza vicini al mare e ben esposti a sud, pronti a far sbocciare in ogni estate i loro straordinari fiori bianchi.

La pianta della foto in alto cresce sul muro della torre di Vernazza, una delle Cinque Terre. Altrettanto a loro agio e rigogliose, anche se un po' più impolverate, sono le piante di cappero che crescono sui muraglioni della strada sopraelevata che attraversa Genova da levante a ponente costeggiando il mare (foto a destra). Meno fortunate sono forse le due piantine che ho sistemato nel mio giardino, in un angolo di un muretto esposto a ponente, non avendo a disposizione un muro fronte mare. Sono sopravvissute all'inverno e hanno messo fuori una decina di minuscole foglioline. E' solo l'inizio della loro vita e comunque con i capperi conviene avere molta pazienza. E un pizzico di fortuna.

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Lunedi, Luglio 14, 2008
Bignonia

campsis radicans

La bella bignonia è una pianta originaria del Nord America. Arbusto rampicante, è una pianta nobile, per la lussureggiante fioritura dalla forma prorompente e il colore acceso, e popolare, perchè richiede assai poco e cresce rigogliosa nei giardini più semplici. Comune nei borghi appenninici, ha foglie caduche e d'inverno praticamente scompare, per ricomparire all'inizio dell'estate con una profusione di nuovi germogli dal basso, anche molto lontano dal fusto iniziale. Per questo è considerata un'infestante. Ma è difficile trapiantarla, perchè le nuove piante sono tenacemente avvinte a una radice sotterranea molto profonda. La varietà rustica ha fiori color arancio brillante, ed è assai ricercata per gli addobbi delle chiese durante le cerimonie religiose estive. Nei giorni che precedono queste festività, è comune la questua di questi fiori per farne ghirlande e corone. Gli stessi fiori sono anche graditi per i matrimoni, perchè la pianta è considerata propiziatrice di fortuna e prosperità.
Esistono anche varietà con fiori di altri colori, più tenui e affascinanti. Ma sono piante sempreverdi e per questo più diffuse nelle località di clima mite, come quelle della costa. Ho visto una bignonia rosa pallido che si protendeva da un muro vicino alla scogliera di Sori, arrampicata e selvatica come la bignonia del mio giardino, ma così tenera con quel colore pastello, così grazioso in confronto al giallo rosso sfacciato della mia bignonia di collina.

scritto alle 23:23 da CarlaFed ::    COMMENTI


Sabato, Luglio 12, 2008
Carota
La carota selvatica, Daucus carota, appartiene proprio alla stessa specie della carota commestibile. Forma fiori a ombrella bianca, con sfumatura rosa sul bordo quando l'ombrella sta ancora aprendosi, e un punto rosso scuro al centro. Un'altra foto di un'ombrella più aperta si trova in questa pagina. Quel punto scuro al centro fa la differenza, perchè distingue le ombrella della carota da quelle della cicuta minore, pianta altrettanto comune nei nostri prati, ma non altrettanto commestibile. La prima volta che ho visto l'immagine della cicuta sono rimasta molto sorpresa, perchè ricordavo quante volte da ragazzina avevo messo in bocca una pianta in tutto e per tutto simile. Ma non avevo avuto alcuno spiacevole effetto collaterale, perchè le piante che masticavo per gioco erano fortunatamente carota e non cicuta. Come la carota coltivata, anche quella selvatica è assai salutare e contiene molte sostanze benefiche, come pectine, carotene e vitamina C.

Io sono molto orgogliosa delle mie carote (foto a destra), coltivate sotto il melo, che sono dolci e saporitissime. Forse coltivare carote nel proprio giardino non rappresenta un grande vantaggio per il portafoglio, dato che le carote sono cibo da poveri e abbastanza buon mercato. Ma ciò che fa la differenza è il gusto.
Per vedere gli ombrelli delle mie carote, che immagino avranno il magico puntino scuro al centro come quelle selvatiche, bisognerebbe però aspettare un anno. La carota è una pianta biennale, fiorisce e fruttifica durante il secondo anno di vita. Invece noi le sradichiamo non appena la radice ha raggiunto dimensioni accettabili, o anche prima per diradarle, e difficilmente qualcuna rimane nel campo fino all'anno dopo per poter portare a compimento il suo ciclo vitale. Anche se sarebbe ovviamente necessario preservarne qualcuna delle più belle per la produzione dei semi.

scritto alle 19:24 da CarlaFed ::    COMMENTI


Venerdi, Luglio 11, 2008
Cetriolo



Il cetriolo, Cucumis sativus, è una pianta della cucurbitacee che fa dei bei fiori gialli e frutti verdastri, a forma di siluro, ruvidi e pungenti fuori, ma dal fresco sapore caratteristico dentro.

Ho inventato un nuovo gioco di società. Si potrebbe chiamare 'caccia al cetriolo' ed ecco come potrebbe funzionare. Si seminano e mettono a dimora un certo numero di piante di cetriolo, meglio della varietà piccola, da mettere sott'aceto, in numero commisurato a quello dei partecipanti al gioco. Io ho cominciato con otto, ma per ora gioco da sola. Quando arrivano i primi frutti, si comincia a giocare. Il gioco consiste nel raccogliere quanti più cetrioli possibile, quando viene il proprio turno. Posso assicurare che anche il giocatore che ha il turno per ultimo avrà le sue buone chance di vittoria. Perchè i cetrioli si nascondono, si mimetizzano sotto le larghe foglie palmate, anche queste ruvide e spinosette. Così quando crediamo di averli davvero raccolti tutti, baste osservare le piante da un'altra angolazione, o con altri occhi, e ne scappano fuori molti altri, acquattati dietro una diramazione del fusto, piegati sotto una foglia. Magari cresciuti a dismisura perchè dimenticati da tutti.
Io ne raccolgo un po' tutti i giorni, piccoli da mettere sott'aceto. E quelli che trovo ormai troppo grossi per questo utilizzo, sono pur sempre dolcissimi da mangiare in insalata con i pomodori e sono l'ingrediente fondamentale di una eccellente salsa greca, lo tzaziki

scritto alle 22:51 da CarlaFed ::    COMMENTI


Giovedi, Luglio 10, 2008
Garofanino


Continuo la celebrazione del garofano, dianthus, fiore di Giove o fiore degli dei, così detto per la sua bellezza. Questa piccola varietà selvatica, dianthus carthusianorum, di colore rosa intenso, è assai comune e si chiama garofano dei certosini (traduzione del nome scientifico) o garofanino dell'Ascensione. Perchè secondo una leggenda che mi è stata insegnata alle scuole elementari questi fiori spuntarono sul prato dove si erano per l'ultima volta poggiati i piedi di Gesù Cristo prima di ascendere al cielo. Non saprei spiegare l'origine di questa storia, se non ricordando nuovamente l'etimologia del nome. Vero è che è un piccolo fiore mirabile, che tappezza di colore i prati, dai pascoli alle brughiere di valico.
Spesso le piante ci raccontano storie molto interessanti e poichè il genere umano è stato più a lungo contadino che cittadino, le storie e le leggende legate alle piante sono le storie e le leggende del genere umano.


scritto alle 14:18 da CarlaFed ::    COMMENTI


Mercoledi, Luglio 09, 2008
Garofano

Il garofano Dianthus caryophyllus comprende innumerevoli varietà a fiori doppi, coltivate e commercializzate come fiori recisi ed è certo uno dei fiori più comuni che esistano. Questa piantina dai graziosi petali screziati l'ho trovata in una specie di discarica, lungo un torrentello affluente del Trebbia, fra una batteria da auto esausta e qualche pezzo di mobile. Era stata gettata via senza più vaso, ma con ancora tutto il pane di terra intorno alle radici, un fiore aperto e due boccioli. E' stato un po' come trovare un cucciolo abbandonato, io, l'ho già detto, ho un debole per i trovatelli. Rinvasata e annaffiata a dovere, non ha richiesto troppe cure ed è sopravvissuta a un trasloco e tre inverni. Ora è sistemata in un vaso fatto a orcio, è ricadente e generosa. Fiorisce sempre, a patto di liberarla regolarmente dei calici appassiti. I fiori sono piccoli, ma preziosi, così intensamente colorati. Come tutte le caryophyllaceae, ha fusti nodosi e dovrebbe essere possibile propagarla semplicemente per talea dal nodo. Prima o dopo ci provo, credo che ne valga la pena.

scritto alle 15:00 da CarlaFed ::    COMMENTI


Lunedi, Luglio 07, 2008
Ninfea



La ninfea è un fiore insolito e assai affascinante. Diffusa nelle acque stagnanti e abbastanza tollerante del loro inquinamento, tuttavia non è un incontro frequente e gli unici esemplari che ho osservato da vicino erano coltivati in giardini. Più diffusa è la sua parente gialla, il nannufero, nuphar lutea, che ha fiori più piccoli, formati da sepali gialli.
Mi sono sempre chiesta se la ninfea e il mitico loto fosse lo stesso fiore, o simili, o almeno imparentati. Il loto è un fiore sacro del buddismo e ricco di valori simbolici in molte culture orientali. Benché il nome fior di loto venga talvolta usato come sinonimo di ninfea, il loto sacro agli orientali non è una ninfea e non appartiene neppure al genere delle nymphaceae, bensì a quello delle nelumbonaceae, con il nome scientifico di Nelumbo nucifera. E' diverso dalla ninfea per particolari della forma e il colore dei fiori.
Come il loto, anche la ninfea vive sospesa sull'acqua e sul pelo dell'acqua appoggia la sua ricca coppa di petali spiralati. La disposizione dei petali è assai simile a quella del loto che tanto ha contribuito al culto di questo fiore. Anche i fiori natanti della ninfea sono intensamente profumati e le sue foglie rotondeggianti formano un morbido tappeto che inverdisce lo stagno.
La ninfea della foto è stata fotografata in uno dei giardini più belli che io abbia mai visitato, villa Hanbury, a Mortola di Ventimiglia. Le ninfee si trovano nella vasca con la fontana del drago.

scritto alle 23:44 da CarlaFed ::    COMMENTI


Domenica, Luglio 06, 2008
Ibisco



Sono fioriti gli ibischi, piccoli alberelli che avevo piantato due anni fa da germogli spontanei nati nel giardino di un amico. Alcuni hanno fiori rosa, altri bianchi. Penso che i fiori di hibiscus syriacus in fondo non abbiano niente da invidiare a quelli di hibiscus rosa siniensis, la splendida varietà sempreverde che si trova soprattutto nel Sud (vedi le foto nei link in fondo). Qui da noi difficilmente sopravviverebbe all'inverno, anche se è mite.


Ho sempre pensato che hibiscus syriacus fosse una specie di 'parente povero' di hibiscus rosa siniensis perchè ha i fiori più piccoli, pistilli più corti, si spoglia da novembre a maggio e poi si trova un po' dovunque, anche nelle aiuole ai fianchi di strade e autostrade, annerito dal catrame e asfissiato dal traffico. Benchè abbia caratteristiche di arbusto, l'ibisco può diventare un vero e proprio albero, anche se tenerello e di legno leggero. Un albero con i fiori così colorati sarebbe bello, ma credo che li lascerò a siepe perchè, al solito, ne ho messi troppi per consentir loro di diventare tutti alberi. Chiedo scusa, come chiedo scusa per averli sottovalutati, i loro fiori si fanno attendere, è vero, ma sono variopinti e mirabili.

Alcune foto di hibiscus rosa siniensis:
rosa
rosso
giallo
particolare


scritto alle 18:36 da CarlaFed ::    COMMENTI


Sabato, Luglio 05, 2008
Elicriso



Ecco un altro profumo, pungente, aromatico, un profumo che è quello degli assolati, ruvidi e lussureggianti pendii mediterranei. L'elicriso è un fiore assai comune dal mare ai monti della Liguria. Le sue infiorescenze sono piccoli capolini di colore giallo molto intenso. Le foglie sono filiformi e di color verde cenere. Anche questo fiore, insieme al suo profumo, si conserva a lungo, se raccolto all'inizio della fioritura e seccato, mantenendo in parte anche il colore. Con la pianta secca si può preparare una tisana, piuttosto amara, ma dall'aroma intenso, che è di grande sollievo per tosse e mal di gola invernali.
Forse proprio perchè conserva così a lungo le sue proprietà, si è guadagnato il nome popolare di 'perpetuini comuni'. Il nome 'elicriso' è invece formato da due parole greche che significano sole e re, e richiamano ancora una volta il colore dei fiori, ma anche dove e come questo fiore si incontra, nell'estate mediterranea e nel trionfo del suo sole.
Mi piace questo fiore, certo per il suo profumo, ma anche per quella sua bellezza dimessa e altera, semplice e scontrosa, ruvida come polvere di lavagna e morbida come le piccole foglie lanose.
L'ho piantato in una angolo assolato del giardino, fra due piante di aloe. Non sembra richiedere molte attenzioni, ha gradito la terra che ha trovato e per l'acqua si accontenta della pioggia quando arriva.

L'elicriso della foto invece l'ho incontrato in val D'Aveto, sopra il paese di Castagnola, ancora in odore di Liguria, ma già in provincia di Piacenza.

scritto alle 23:37 da CarlaFed ::    COMMENTI


Giovedi, Luglio 03, 2008
Gelso
morus nigra
Tutti sanno che il gelso è l'albero del baco da seta. Come dire che deve la sua celebrità e diffusione a un parassita dele sue foglie, una larva che se ne nutre voracemente. Il bozzolo in cui la larva si racchiude sperando di diventare farfalla è formato con un unico filo translucido con il quale, da millenni, si intreccia un tessuto morbido e seducente. Un po' come il maiale che trasforma i rifuti in prosciutti, il baco o filugello trasforma le foglie del gelso in seta. Anche se il paragone può sembrare bizzarro, ci sono molte analogie, non ultimo il fatto che in entrambe i casi un animale paga con la vita il servizio reso al genere umano.
Tutta questa storia la si impara a a scuola, ma l'albero del gelso (famiglia Moraceae) è quasi sconosciuto in Liguria e io l'ho incontrato per la prima volta in una gita sul lago di Como, a undici anni, e per la prima volta ho assaggiato le sue more, dolci se a giusta maturità, come quelle del rovo. Da allora ho un debole per gli alberi di gelso, che fra l'altro mi ricordano quanto mi sono divertita facendo una scorpacciata di more insieme a un ragazzino francese che un po' mi piaceva.
Trovo i gelsi molto decorativi, per il verde lucente e la larga morbidezza delle foglie lobate. Non a caso gli alberi di questo genere sono spesso utilizzati per bordare viali e giardini.
Ho fotografato questo gelso a Triora, che si trova in Liguria, ma è abbastanza di confine per rappresentare un'eccezione alla regola.

scritto alle 23:07 da CarlaFed ::    COMMENTI


Mercoledi, Luglio 02, 2008
Centauro maggiore
centaurium erythraea
Il nome di questa pianta si vuole derivi dal centauro Chirone, personaggio mitologico, astronomo e medico, che delle piante si serviva per le sue arti terapeutiche. Infatti nessun altro centauro, creature rozze e violente, meritò mai fama di sapiente se non Chirone, che fu il maestro di Asclepio, il romano Esculapio, il capostipite di tutti i medici della storia. E il centauro maggiore (Centaurium erythraea) doveva essere uno dei suoi ingredienti, come suggerisce il nome popolare, di cacciafebbre.
Fiorellino umile e grazioso, appartiene alla famiglia della Genzianacee e quindi da non confondere con la centaurea maggiore. Le centauree (al femminile) appartengono alla famiglia della Composite, o meglio Asteracee, e altro non sono che il fiordaliso e i suoi parenti più stretti. Erythraea si riferisce al colore dei petali, dal greco eritros, rosso. Talvolta viene indicata anche come 'erba gatta' perché è una delle varie erbe gradite ai gatti per depurarsi lo stomaco.
Questi fiori si trovano con estrema facilità di questa stagione, sui bordi delle strade di campagna e nei fossi, piante minuscole, ma delicate e precise nella distribuzione meticolosa delle loro forme. Così l'ho incontrata anch'io, qualche giorno fa durante una breve ed estemporanea passeggiata fotografica nei pressi di casa.

scritto alle 23:45 da CarlaFed ::    COMMENTI


Martedi, Luglio 01, 2008
Altea rosata nigra
althea rosea


Girovagando per i contorti vicoli di Triora , uno dei borghi più affascinanti della Liguria, e forse d'Italia, e forse del mondo, si incontrano fiori e piante fra le pietre, alcuni spontanei, alcuni sfuggiti alla coltivazione, altri, certo come questa, piantati ad arte fra scale, archi e portici.
Triora, antica podesteria genovese, città fortezza inespugnabile, celebre per le storie e leggende di stregoneria, un intrico di strade e rampe che si aprono e si chiudono su se stesse.
L'altea, althea o alcea rosea, è un imponente pianta della malvacee, decorativa, ma che mantiene un carattere di spontaneità. La varietà nigra ha i fiori di un profondo castano violaceo che ben si accorda alla penombra degli archivolti. Per poi aprirsi, quasi sbocciare, all'improvviso verso la luce.






scritto alle 23:32 da CarlaFed ::    COMMENTI


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