Nuovi ellebori in giardino

Helleborus lividus subsp. corsicus

Helleborus lividus subsp. corsicus

Le piccole piantine di elleboro donate nel 2023 dalle sorelle Barbaglia (vedi qui) sono fiorite. Hanno foglie appuntite con piccoli denti e il loro nome più comune è per questo Helleborus argutifolius.  Invece il nome botanico corretto è Helleborus lividus subsp. corsicus e in Italia è spontaneo soltanto in Sardegna. Nei giardini invece è comune e generoso, con le sue luminose corolle giallo verdi.
Sono piante robuste, solide e precoci, in soli due anni di vita gravide di fiori. Certo, non hanno i pregiati colori e le sfumature delle più eleganti specie da giardino, ma sono cresciute cos’ nobili e felici che mi allietano anche con la loro semplicità.

Helleborus lividus subsp. corsicus

 

Tutto quello che avreste sempre voluto sapere e non avete mai osato chiedere sugli ellebori nei miei post già pubblicati:

18 febbraio 2015
29 febbraio 2024

Ancora calicanto

Calicanto d'inverno Chimonanthus praecox

Chimonanthus praecox

Calicanto d'invernoChimonanthus praecox

Chimonanthus praecox

Quest’anno i calicanti d’inverno (Chimonanthus praecox ), due alberelli di dieci anni, sono letteralmente coperti di fiori. Non devono più temere il gelo, che non c’è e chissà se tornerà mai, mentre il vento, che ha soffiato bizzarro e violento per tanti giorni, ha strappato via ad una ad una tutte le foglie, che soltanto qualche settimana erano abbondanti e solo appena sbiadite. Sui rami sono rimasti centinaia di fiori bianco crema con il cuore rosso e non c’è ramo che non ne sia carico. Il loro profumo è discreto e dolcissimo.

Ogni stagione ha i suoi fiori, coi modi e i tempi della sua luce.  E se la primavera è imprevedibile ed esagerata, l’estate sontuosa e soffocante, l’autunno morbido e generoso, i fiori dell’inverno sono ingenui e austeri, pallidi sempre. Come gli ellebori che a frotte stanno sbocciando proprio ai piedi dei calicanti, verde pallido su verde pallido, ma ancora più smaglianti di un prato di maggio.

Firmiana nel solstizio

Firmiana simplex

Ormai è inverno e proprio oggi abbiamo superato il solstizio, così la durata del giorno  comincerà ad aumentare di durata rispetto alla notte. Lentamente, perché solstizio è il momento in cui il sole si ferma, cioè il cambiamento del suo corso rallenta fino ad invertire la direzione. Lentamente. L’inverno è ancora lungo, anche se inesorabilmente sempre più mite.

Complice il vento a raffiche dei giorni appena trascorsi, questo grande albero è quasi spoglio. La pianta veniva classificata come Sterculia platanifolia, famiglia Sterculariaceae. Sono ancora una volta costretta a rettificare. Il nome oggi approvato per quest’albero è Firmiana simplex, della famiglia delle Malvaceae, di cui le  Sterculariaceae rappresentano ora una sottofamiglia. Originario della Cina, dove viene chiamato albero parasole, fa parte degli Hibakujumoku (A-bombed tree in inglese), alberi sopravvissuti alla bomba di Hiroshima e Nagasaki, continuando a germogliare. Simbolo dunque della morte e rinascita, offre al vento le sue ultime foglie. Ma i più forti non sono gli alberi che non si spogliano, sono quelli che sanno resistere al gelo liberandosi del loro mantello, pronti a rigenerarsi quando la stagione sarà più propizia.

Genziane di settembre

Genziane di settembre

Gentiana asclepiadea

Conosco questi fiori da molto tempo, da quando ero piccola e giravo per i boschi soprattutto in agosto e settembre, i mesi delle vacanze in campagna. La conosco, ma chissà perché non le avevo mai dato un nome. Ero quasi imbarazzata, timorosa  di chiamare genziana un fiore per me così comune, quei lunghi fusti arcuati carichi di lucide campane blu, quelle foglie che strappavo e con cui giocavo come fossero di un’erba qualsiasi. No, non poteva essere veramente una genziana, che, nella mia immaginazione, era un nobilissimo fiore di montagna che mai avrei avuto l’onore di incontrare lungo la mia modesta strada nel mio boschetto casalingo. E invece anche i boschetti casalinghi erano pieni zeppi di fiori preziosi che solo in minima parte ero riuscita a riconoscere, anche perché gli adulti che mi accompagnavano erano al tempo distratti da altre preoccupazioni. Sono contenta oggi di poter chiamare con il suo nome, Gentiana asclepiadea, la mia genziana (ebbene sì, che fosse una genziana ne sono sempre stata sicura), una delle ultime ancora in fiore adesso che l’autunno è alle porte.

Genziana asclepiadea

Gentiana asclepiadea

Alta e flessuosa, spesso incurvata, questa pianta ha foglie opposte sullo stelo, acute, solcate da profonde nervature parallele, che accolgono, stretti alle loro ascelle, gruppi di fiori campanulati di colore blu cielo. L’origine del suo nome specifico si perde nella notte dei tempi, ed indica una pianta medicinale che mitiga i mali, ovvero una pianta dedicata al capostipite di tutti i guaritori, Esculapio.  Il nome del genere, poi, ha un’origine leggendaria, da Genzio, ultimo re dell’Illiria, regione sulle sponde occidentali della penisola balcanica, che ne avrebbe scoperto le qualità curative, in modo speciale per le febbri malariche.

Gentiana pneumonanthe

Gentiana pneumonanthe

Negli stessi ambienti di mezza montagna erbosa, seppure con maggiore preferenza per le zone più umide, si trova un’altra genziana, che scopro ancora in fiore. E’ la Gentiana pneumonanthe, chiamata volgarmente genziana mettimborsaEntrambe hanno trovato riparo nel magico giardino botanico montano di Pratorondanino (Masone, Genova). Ma, mentre l’aclepiade l’ho fotografata proprio all’interno del giardino, per vedere i fiori della pneunomante ho dovuto spostarmi verso i piani di Praglia, nella zona denominata Vallecalda. Si tratta di una specie più piccola, identificata come quella ‘genziana minima’ citata dal botanico Mattioli in un suo trattato del 1568. Non più alta di 50 cm, ha foglie sottili con una nervatura soltanto, e fiori che nascono a mazzetti all’apice del fusto e alle ascelle delle foglie superiori. Il suo nome  scientifico, dovuto ovviamente a Linneo, viene dal greco pneuma, soffio, vento, polmone e anthos, fiore. Magari chi l’ha chiamata così aveva pensato a un suo utilizzo per la cura delle affezioni polmonari, anche se in realtà la sua efficacia non pare documentata. Magari significa solo fiore del vento, un epiteto che certamente si adatta un po’ a tutti i fiori. E’ curioso come non legga da nessuna parte l’origine e il significato del suo nome più comune, mettimborsa, che sarebbe di origine toscana, ma ormai di impiego generale. Convive con l’asclepiade, ma non sembra che esistano ibridi. Entrambe vengono impollinate da bombi coraggiosi che si calano dentro al loro tubo florale, ma sono anche capaci di impollinarsi da sole quando il polline cade dalle antere sul fondo della corolla.

Scrivevo di lei già il giorno 22 ottobre 2009, incontrandola proprio nello stesso luogo ormai sfiorita: “Perchè dovrebbe essere meno bella questa genziana, ora che ha perduto la lucentezza dei sui calici blu e se ne sta dritta e arida di fronte a un prato di brugo ancora pallidamente in fiore? “

Margherite gialle

Margherite gialle : Rudbeckia

Rudbeckia fulgida

Le margherite gialle sono infinite. Eppure sempre da qualche parte qualcuno chiamerà ‘margherita gialla’ una specie particolare, come fosse più importante, più gialla delle altre. L’africana Euryops,  per esempio, che fiorisce tutto l’anno e illumina anche l’inverno di sole, e i tanti sfacciati seneci che vengono da tutto il mondo.  Fra le nostrane, l’arnica montana, su cui ho ripreso un vecchio post qualche tempo fa, il buftalmo (29 novembre 2009) e la pulicaria (21 settembre 2009), per citarne soltanto alcuni.  La caratteristica delle margherite è la loro infiorescenza a capolino, che è un insieme di molti fiori di cui sono gli esterni portano le ligule, appendici colorate e brillanti che chiamiamo impropriamente petali.

Margherite gialle : Gazania

Gazania rigens

Le grandi margherite gialle, quelle più appariscenti, decorative e ricercate, hanno però quasi tutte origini straniere.  A cominciare dalla Rudbeckia, un cespo denso di ruvide foglie dalla generosa fioritura estiva, dall’arancio al giallo, originaria del Nord America, ma variamente presente in ogni giardino e  anche spontaneizzata in varie regioni italiane. I suoi fiori gialli hanno un disco centrale a cono bruno scuro e ligule sottili e appuntite e sono molto persistenti.

La Gazania, sudafricana, è protagonista di tante aiuole cittadine, perché ama il sole e i luoghi caldi vicino al mare. I suoi fiori brillanti sorgono da steli striscianti sul terreno. Scoperta sulla passeggiata di Nervi e in corso Italia, il lungomare di Genova, l’ho cresciuta in giardino per qualche tempo, affascinata dalle sue corolle che si sfumano di scuro verso il centro.

margherite gialle : Gaillardia

Gaillardia aristata

Elegante e sfacciata la Gaillardia, un’altra americana, sfoggia fiori dal raffinato disegno che contiene pennellate di arancio e rosso scuro. E’ un cespuglio scarmigliato, poco addomesticabile almeno di non ricomporlo con costanza via via che cresce. Ma anche se sfugge al controllo si fa perdonare con una fioritura abbondante e praticamente ininterrotta per tutta la bella stagione.

Girasole da olio

Helianthus annuus
Girasole da olio

Anche il grande girasole, in tutte le sue varietà e cultivar, da quelle più banali alle più ricercate, non è una pianta autoctona delle nostre regioni, ma arriva da lontano, avventizia o naturalizzata, ancora una volta dall’America, questa volta del Sud.

Girasole gigante

Helianthus annuus
Girasole gigante macedone

E’ una pianta slanciata, incredibilmente alta e regge la pesante infiorescenza, il capolino che in questo caso prende il nome di calatide, elevandola in alto per tutto il tempo della fioritura. Poi piega il capo e stringe fra le brattee il cuore di frutti in maturazione. Ogni infiorescenza ne contiene circa mille, acheni biconvessi, con striature nere o grigiastre, di significativo valore alimentare e anche officinale. Fra gli utilizzi medici tradizionali, trovo che in Abruzzo si usava un decotto di semi arrostiti per curare l’ipertensione (1), mentre nelle campagne laziali si riteneva che aggiungerli al mangime delle galline favorisse la produzione di uova (2).

Girasole pon pon

Helianthus annuus
Girasole pon pon

Il suo eliotropismo è famoso e simbolico, ma abbastanza misconosciuto. Tutti pensano che, come dice il nome, i girasoli inseguano, da est ad ovest, il corso del sole. Tuttavia ciò non è esatto. Soltanto i boccioli lo fanno, i virgulti in crescita, che si volgono verso la luce e il calore, nel corso della giornata, ritornando poi da ovest ad est durante la notte. Quando il fiore sboccia del tutto, lo stelo si irrigidisce e le corolle mature stanno ferme, rivolte ad est. Quindi i girasoli fioriti non sono più eliotropici, se si osservano di mattina guardano sole, mentre nel pomeriggio ci appaiono girate dall’altra parte.

Tanti girasoli ha dipinto Vincent Van Gogh in numerose serie di quadri, campi di girasoli, capolini eretti e sfavillanti, recisi nei vasi e poi piegati e sfioriti. Del legame di Van Gogh con i girasoli molto si è detto e fantasticato. Forse, in tutte le sue forme, il girasole ci attrae per quel suo colore, posseduto o perduto, il giallo infinito della luce che scalda.

(1) Leporatti & Corradi (2001) Journal of Ethnopharmacology 74: 17-40
(2) Guarrera PM, Usi e tradizioni della flora italiana. Aracne ed. 2006

Arnica montana

Arnica montana

Arnica montana

Quando mia madre (classe 1913) mi parlava con nostalgico entusiasmo delle passeggiate sui monti nella sua giovinezza, due fiori ricorrevano sempre come i più splendidi e ricercati: il narciso e l’arnica. L’immacolato narciso fiorisce all’inizio della primavera, mentre l’arnica, solare, fiorisce d’estate, sui monti oltre 500 metri di altitudine.
L’arnica era per me bambina una specie di miraggio perché, la mamma diceva, fiorisce solo sui pendii più puri delle colline più alte. Sui praticelli della ‘nostra’ campagna, in collina sui 700 metri, l’arnica, secondo mia madre, non c’era. Non ne sono completamente sicura, perché sui prati della mia infanzia anch’io oggi ricordo con accorata nostalgia tanti fiori, i cui contorni sono sfumati nella memoria e non saprei dire se si trovino ancora.

Arnica montana

Arnica montana

L’arnica (Arnica montana, famiglia asteraceae o composite), una margherita giallo sole, piuttosto disordinata, ma robusta, è oggi una specie protetta. L’etimologia del nome come accade spesso si perde nella notte dei tempi ed è incerta. La più divertente è che derivi da una parola greca che significa ‘starnutire’, perché l’odore aromatico e pungente, unito forse alla grezza pelosità, stuzzica appunto gli starnuti. Probabilmente a causa di entrambe queste caratteristiche, ma anche al fatto che contiene sostanze tossiche, gli animali evitano l’arnica e non la brucano. La pianta è velenosa, se ingerita, e anche gli erboristi umani se ne servono soprattutto per uso esterno, per preparare unguenti assai efficaci per storte, lussazioni, ma anche dolori muscolari di varia natura. Così la maggior parte della gente conosce l’arnica perché l’ha vista raffigurata sul tubetto di una qualche pasta miracolosa per alleviare il mal di schiena, un rimedio popolare come il balsamo di tigre e il cannello di zolfo. Non so se le pomate in commercio contengano vera arnica; ma se è così, spero che sia stata raccolta con criterio. Chissà se i nostri nipoti conosceranno mai questa margherita gialla di montagna o se sarà destinata a perdersi nel tempo.
Queste immagini sono state scattate sulle pendici del monte Antola, alta val Trebbia, uno dei monti delle passeggiate di mia madre,  in un giugno di tanti anni fa (vedi nel vecchio blog 30 giugno 2008)

Borracina cinerea

Borraccina cinerea

Sedum dasyphyllum

I Sedum sono piante succulente, cioè grasse, con foglie carnose, a volte piccole e disposte a fiore, oppure oblunghe, rossicce, affusolate e tonde, ma sempre foglie spesse, come lucidi cuscinetti. Ne esistono innumerevoli specie e varietà, da bosco e da giardino, da muro diroccato e da appartamento.
Quest’erbetta grassoccia cresce quasi dovunque e ricopre il margine dei muri sopra i muschi, si abbandona come la chioma di qualche fata grassoccia, addosso ai licheni bianco giallastri con una cascata di foglie minute. Volgarmente, detta borraccina cinerea,  il suo nome vero è Sedum dasyphyllum  e ci spiega un po’ il motivo di quel colore grigio argenteo che assume quando fiorisce, perché dasyphyllum vuol dire a foglie pelose.
Fiera di essere rimasta fedele alla sua identità errante, per caso o per fortuna, capitata abbastanza vicino a un giardino, quello di casa mia, di poter far finta di farne parte.
Non è selvatica, ma inselvatichita. La metterei volentieri in una bassa fioriera, vicino all’uscio di casa, al riparo da pioggia e grandine, ma anche dal riscaldamento. Ha piccoli fiori bianchi a forma di stella con graziose antere che sporgono sulla sommità degli stami come perle rossicce. Come molte piante della sua famiglia (crassulaceae, le piante grasse per eccellenza), ha abitudini assai frugali e vegeta tranquilla e tappezzante anche sui muri aridi, nelle fessure delle rocce, nutrendosi di qualche granello di terra e conservando gelosa tutta l’acqua che le serve nelle grigie foglie carnosette.

Altri post sulle borraccine, cioè Sedum :
2 dicembre 2008
17 febbraio 2009
4 maggio 2010
9 aprile 2011

Lacrime d’Italia

Lacrime d'Italia

Symphoricarpos albus

Symphoricarpos albus è un piccolo arbusto, quasi suffrutice, della famiglia Caprifoliaceae originario del Nord America e diventato molto comune per siepi e giardini, anche nel centro delle città. E’ impavido, grazioso e tollerante ed ha il curioso nome comune di ‘lacrime d’Italia’, anche se non saprei spiegare il perché. I fiori, aggraziati e un po’ panciuti, rosa pallido con corolle sfumate verso il bianco, sbocciano in primavera.   E già la forma suggerisce il seguito, le bacche bianche, gonfie e lucenti che compariranno fra agosto e settembre. Questi curiosi palloncini sono l’ornamento più ricercato del Symphoricarpus, forse la ragione del suo successo.

Lacrime d'Italia

Symphoricarpos albus

 

 

La pianta di queste foto cresce lungo un vialetto di ingresso di una casa nelle vicinanze della mia, i fiori fotografati in primavera e le bacche a fine settembre.

Post originariamente pubblicato il 27 maggio 2009
vedi anche Casa cantoniera nel blog  La città segreta

Orniello

Fraxinus ornus

Fraxinus ornus

I frassini sono fioriti e hanno riempito di nuvole bianche i fianchi delle colline dietro la città. E’ strano, dire che i ciliegi o i peschi sono fioriti colpisce la sensibilità di molta gente, dire che sono fioriti i frassini lascia indifferenti quasi tutti. E’ un peccato perché nei boschi che si stanno appena colorando di verde, la fioritura dei frassini è particolarmente appariscente. L’albero di cui sto parlando si chiama più correttamente orniello, Fraxinus ornus ed è uno dei più comuni del suo genere nei boschi e sulle coste. E’ detto anche albero della manna, perché incidendo la sua corteccia si ricava una resina che, cristallizzata, ha ottime proprietà per la regolarizzazione intestinale.

Fraxinus hornus

La seconda foto è un po’ vecchiotta, lo ‘scan’ di una diapositiva con pessima risoluzione, e rappresenta il germoglio con fiori in gestazione. Sono molto affezionata a questa fotografia perché risale al primo periodo di mio amore per gli alberi, quando cominciavo a guardarli davvero, a scoprirli e a conoscerli. Come tutti gli amori, i primi tempi sono sempre indimenticabili.

originariamente pubblicato il 5 maggio 2008

Gelso bianco

Morus alba

Le foglie, con i piccoli fiori, che appaiono nelle fotografie di oggi, appartengono a un grande albero di gelso bianco che si trova a Carpenissone, nel territorio del comune di San Colombano Certenoli, val Fontanabuona, dove ho trascorso il 25 aprile molti anni fa. Che fosse un gelso bianco lo diceva la scritta sul suo tronco, come si trattasse di esemplare da orto botanico; ed esemplare prezioso deve essere, perché il gelso non è comune dalle nostre parti, e soprattutto di quelle dimensioni. Il gelso è una pianta importata ed oggi quasi scomparsa. La scritta sul tronco specifica anche che il gelso appartiene alla famiglia della Urticaceae, cosa mi ha lasciato un poco perplessa sul momento perché ricordavo che la famiglia del gelso (e del fico) è quella delle Moraceae. In effetti, secondo la classificazione Cronquist, schema che è oggi parzialmente superato, la famiglia delle Moraceae faceva parte dell’ordine delle Urticales, e ciò suggerisce che così qualche parentela con l’ortica, seppure alla lontana, i gelsi devono ben averla.
morus albaIn Italia vivono due specie di gelsi, all’apparenza assai simili, il gelso bianco, Morus alba, e il gelso nero, Morus nigra. Le foglie sono ovate, con apice appuntito e margini seghettati; ma mentre quelle del gelso bianco sono chiare e lucide, quelle del gelso nero sono più scure e ricoperte di peluria (vedi 3 luglio 2008). Il gelso nero è originario della Persia, ha le foglie ruvide quasi come quelle del fico, i frutti rosso vivo come il sangue, dal sapore agrodolce forte, rami nodosi come la quercia e crescita lenta. Non bisogna confonderlo con il Morus alba nero, varietà di Morus alba, che ha i frutti di colore nero olivastro ed sapore dolce acidulo, le foglie un po’ più scure del Morus alba bianco, ma sempre lucide e tenere e il portamento eretto. E’ quest’ultima la varietà, di origine ovviamente cinese, che si usava per nutrire le larve del baco da seta (Bombyx mori) per cui il gelso è universalmente conosciuto.

originariamente pubblicato il 30 aprile 2009