Il papavero è tornato. Anzi, sono tornati in tre, vicino alla legnaia, nell’angolo dell’aiuola di fronte al forno a legna. Era già capitato qualche anno fa, una fioritura scarlatta e inaspettata. Si trattava allora come oggi di Papaver somniferum nella var. laciniatum, cioè con petali finemente frangiati. Il papavero da oppio è una delle droghe e dei farmaci più conosciuti dalla notte dei tempi e le sue gesta si intrecciano con quelle della civiltà umana. Nonostante la sua losca fama, si tratta di una bellissima pianta ornamentale i cui semi, che contengono dosi insignificante di alcaloidi dopanti rispetto al lattice, sono commestibili e utilizzati come spezia in molte ricette mediorientali.
Come sia arrivato nel mio giardino non lo so e neppure so se questa varietà sia classificabile da oppio, dato che esistono varietà ornamentali del Papaver somniferum assolutamente inadatte alla produzione di droga. Il papavero è una pianta infestante che si riproduce con estrema facilità, mi aspetto persino che si moltiplichi ancora, di vedermelo comparire in un gruppo affollato fra qualche anno.
Però non raccoglierò i semi, e non soltanto perché la legge, ovviamente, vieta la coltivazione non autorizzata di questa specie. Non raccoglierò i semi perché mi piace pensare al papavero come a un incorreggibile vagabondo, che se avrà voglia di tornare nel mio giardino lo farà di sua spontanea volontà.
Il merletto di tutte le corolle sarà presto disperso dal vento e le capsule, tondeggianti e spavalde, se ne staranno erette per qualche giorno sugli steli. Non so quanto dureranno e non ne disturberò la maturazione provando ad inciderle per vederne sgorgare il magico lattice.
I microscopici semi bruni potranno disperdersi a loro piacimento, rimanere qui o lasciarsi trasportare lontano, per visitare altre case e altre vite, germogliando inaspettati in qualche giardino come hanno fatto nel mio, non so quanto riconosciuti e accolti. Per parte mia, spero di incontrarlo ancora in futuro.