La vellozia è l’assoluta protagonista di un ambiente naturale unico al mondo, i “campos rupestres”, cioe campi rupestri, tradotto in inglese come rocky fields o anche rupestrian grasslands. Sarebbe un errore interpretare questo nome letteralmente, come un qualsiasi ambiente di montagna con formazioni rocciose. I ‘campos rupestres’ sono una fisionomia particolare di cerrado che si incontra soprattutto nella regione della Serra do Espinacho, negli stati di Minas Gerais e Bahia, fino alla Chapada Diamantina, nel Brasile nordorientale, e sono caratterizzati da una topografia accidentata, fatta di grandi blocchi di roccia, con scarso terreno, acido e povero di nutrimenti.
Si tratta di un ecosistema antichissimo, in cui la diversificazione delle specie è avvenuta prima che nel cerrado, la savana neotropicale del bassopiano. Le piante si sono adattate a condizioni geologiche e climatiche particolari, caratterizzate da un suolo roccioso di quarzite, arenaria, calcare e ferro, una estrema stagionalità delle precipitazioni, con lunghissimi mesi di siccità e frequente sviluppo di incendi, come si nota dai fusti spesso anneriti. Nonostante le condizioni apparentemente poco favorevoli, la vita vegetale e anche animale di questo ambiente è ricchissima e meravigliosamente originale, con un gran numero di specie vegetali assolutamente uniche e preziose, che semplicemente non crescono da nessun altra parte della terra, sono cioè endemismi. Fra le piante endemiche più diffuse, ci sono proprio le vellozie, che appaiono all’occhio del profano una specie di incrocio fra una palma e un giglio. Un nome popolare brasiliano per la vellozia è canela-de-ema oppure caliandra, che non saprei davvero come tradurre, o ancora fenice del cerrado, forse anche per la sua prodigiosa resistenza al fuoco, che in questi luoghi divampa quasi regolarmente durante la stagione più secca e calda.
Il rapporto del cerrado con il fuoco è assai particolare. L’incendio è sempre stato visto come una forza distruttiva, capace di compromettere pesantemente l’aspetto e la vitalità della vegetazione. Tuttavia, dalla metà degli anni 1950, studi rilevanti riguardo al cerrado hanno cominciato a mettere in dubbio questa visione catastrofica e ha cominciato a farsi strada l’idea di un ruolo ecologico del fuoco in queste regione. Gli incendi, spesso innescati da eventi naturali come i fulmini, hanno l’effetto di diminuire la densità della massa vegetale, ostacolando l’incremento di materiale legnoso e favorendo l’espansione delle piante erbacee. Il fuoco ha un importante ruolo ecologico perchè accelera la mineralizzazione delle biomasse e permette il trasferimento dei nutrienti minerali immagazzinati nella paglia secca e morta sotto forma di cenere, che così tornano a disposizione della radici. Anche se l’intervento dell’uomo negli incendi del cerrado è quasi sempre accidentale, i roghi dei campi sono una pratica conosciuta nell’agricoltura di tutto il mondo, proprio allo scopo di favorire il ritorno al suolo delle sostanze nutritive dell’erba secca. Inoltre, le fiamme nel cerrado sono improvvise e brevi e le piante come le vellozie vengono colpite solo superficialmente. Anche se la temperatura sulla superficie del suolo può raggiungere 800°C, appena 2 o 5 cm sotto la superficie, la temperatura varia soltanto di qualche grado e gi apparati sotterranei non vengono compromessi. In una sola settimana dal divampare dell’incendio, i colori sono già ritornati sui campi, come se non fosse successo nulla.
La molteplicità vegetale dei campos rupestres è talmente grande che la regione è permanentemente fiorita durante tutte le stagioni dell’anno. Verso la metà di luglio, in pieno inverno tropicale, non credevo sarei riuscita a vedere i fiori delle vellozie. Ma evidentemente la stagionalità dei tropici ha poco a che fare con quella delle nostre latitudini e, seppure non abbondantissima, ecco la fioritura. Ogni fiore è eretto singolo sul suo stelo, anche se diversi steli talvolta spuntano sulla stessa pianta. Oltre ai fiori, in altre piante fanno capolino le capsule dei semi.
Le vellozie danno il nome alla famiglia a cui appartengono, le velloziaceae, monocotiledoni. Nonostante alcune apparenti somiglianze con altre famiglie tropicali, queste piante si distinguono da tutte le altre per i fusti sparsamente ramificati, coperti da persistenti involucri foliari e radici avventizie e frequentemente anche da foglie marcescenti, e per i fiori, singoli e campanulati.
Data la loro singolarità, le vellozie, come altre piante endemiche tropicali, sono tuttora un vero e proprio scrigno di tesori, perchè ancora non si sa quante sostanze benefiche e composti bioattivi di utilità potranno fornirci. Come dei composti diterpenoidi, con proprietà erbicida e larvidicida, che sono stati isolati dalle radici della V.gigantea