L’agnocasto è una pianta identitaria. Cresce lungo la fascia costiera mediterranea, nei luoghi umidi, accanto a oleandri, mirto, tamerici, più diffusa nel sud della penisola, ma naturalizzata quasi dappertutto. L’agnocasto è una pianta che ha una storia e il suo nome la racconta tutta. E’ un viticcio adatto a fare canestri, ma la sua virtù principale è calmare il desiderio sessuale degli uomini, renderli casti e preservare la purezza dei monaci. La sua fama, insieme alla sua modesta bellezza, ha accompagnato i secoli.
Che ci fa una pianta così in un non luogo come l’area di sosta di un autogrill, sull’autostrada A12 fra La Spezia e Massa? Un non luogo, sinonimo di mancanza di identità e storia, è dove le piante si smarriscono e perdono i loro nomi. Insieme ai diseredati oleandri, la cui sfolgorante fioritura viene ormai regolarmente confusa con il grigiore dei cigli stradali, insieme all’albero della nebbia, che confonde le sue nuvole piumose nel fumo degli scappamenti, e poi ancora malve, becchi di gru e altri ancora fiori e foglie dimenticati.
L’espressione ‘non luogo’ è stata inventata dall’antropologo francese Marc Augé (1935-2023) per descrivere spazi anonimi, in cui gli individui transitano, senza trovare appartenenza, né lasciare tracce. Un non luogo è il contrario della dimora, della casa. Dagli aeroporti ai supermercati, dalle camere d’albergo ai campi profughi, è difficile definire un non luogo, e l’omonimo libro(1) non risulta molto utile perché è alquanto ostico. Tuttavia si percepisce che è un’espressione di cui avevamo bisogno, per capire l’immensa solitudine dell’ambiente che si è venuto costruendo intorno alla nostra tanto decantata civiltà. Un piccolo autogrill è certamente un non luogo, un posto dove nessuno vorrebbe mai fermarsi, eppure tutti lo fanno, o sono costretti a farlo. Come l’agnocasto, snello e sensibile, coperto di fiori, ma sperduto e incompreso, come fosse di plastica.
(1)Marc Augé “Nonluoghi” (Eleuthera 1992-2020)