Non lontano dal camedrio, sul bordo del cemento della passeggiata a mare di Nervi (Genova), cresce questa pianta, assai meno attraente, una chenopodiacea, cioè della famiglia delle bietole e degli spinaci. E’ un cespuglio disordinato e scarno, con fiori poco appariscenti anche nella buona stagione. In questo periodo i suoi lunghi steli grigiasti sono ornati di pannocchiette di semi marroncini, disseccati. Le foglie sono coriacee, verde argenteo.
L’atriplice, benché sia specie commestibile, sembra deva il suo nome al suo scarso valore nutritivo, già così detta dai greci e romani da ‘α- a’ alfa privativo, e τρέφω ‘trefo’, non nutriente. Effettivamente questo genere non regge il confronto alimurgico con altre erbe appetitose della stessa famiglia, chenopodiacee selvatiche come il famoso buonenrico e il farinello (24 settembre 2009). Però se certe sue sorelle (vedi per esempio l’atreplice biondo) possono vantarsi di essere insalatine o erbette da zuppa di tutto rispetto, questa specie così arida e scarna forse merita davvero il nome che si ritrova. E’ particolarmente diffusa nell’ambiente costiero mediterraneo, dove tollera con disinvoltura la salinità del suolo e del vento (Halimus viene dal greco “hals, halós” sale, mare) e a differenza di altri chenopodi, ha un portamento robusto e legnoso, quasi fosse attrezzato meglio di altri a resistere alle mareggiate.