La pianta dell’olivo non cessa mai di stupirmi. Longeva, ai limiti dell’immortalità, sembra incarnare tutti i simboli della civiltà mediterranea. Forse, in questi nostri giorni, anche i suoi limiti. Una tenacia atavica e tanti nuovi nemici.
Contro il cielo terso delle colline liguri, si stagliano argentee le chiome dei piccoli olivi di Borzone, così esili e fragili a confronto dei loro fratelli millenari incontrati presso le rovine di Paestum.
Siamo nell’entrotrera di Chiavari, comune di Borzonasca, presso l’abbazia di Borzone, una chiesa monastica antichissima, le cui origini si perdono veramente nella notte dei tempi. Oggi, soprattutto d’inverno, questo luogo appare romito e strano, e per raggiungerlo bisogna seguire una piccola strada tortuosa verso il niente. Ma nei tempi passati, quando la vita si svolgeva in altitudine e gli inutili e scoscesi fondovalle non interessavano nessuno, questa chiesa era probabilmente un punto di riferimento sicuro per viandanti e pellegrini.
L’inverno non è certo la stagione delle foglie, ma sono tanti sono gli alberi che non se ne liberano e invece le conservano tenacemente anche nelle temperature rigide e nella bufera. Certo, le temperature non devono essere troppo rigide, nè il vento troppo cattivo, poichè nessun essere vivente è veramente invincibile contro la forza degli elementi. Oltre le mosche e i crudeli parassiti stranieri, l’atavico nemico dell’olivo è il gelo. Come racconta Gavino Ledda, nel suo splendido libro “Padre padrone”, l’olivo rischia soprattutto alla fine dell’inverno, a causa delle gelate tardive. Il padre di Gavino aveva appena messo a dimora giovani olivi di radiose speranze, quando verso la metà di marzo il gelo improvviso glieli uccise tutti. E piena di pathos e poesia è la descrizione dell’agricoltore disperato che si aggira fra i suoi alberi spezzandone i rametti ormai disseccati. Così, nel mio piccolo, è capitato anche a me, quando l’olivo del mio giardino (17 giugno 2009), colpito dal gelo di un febbraio rabbioso, si era fatto nero e secco, prosciugato. Ridotto quasi a un moncone, cominciò a riprendersi lentamente durante l’estate, buttando fuori foglie un po’ dappertutto, dal tronco, dai rami, come un animale peloso. Ma i frutti hanno tardato a tornare, quattro o cinque anni almeno perchè le prime olive tonde e sode rifacessero capolino fra le foglie. Ora è risorto, un alberello più forte e sereno di prima. Fino alla prossima gelata, sempre che non arrivi prima qualche infida malattia esotica.