Fotografata ormai quasi sfiorita a fine aprile sul lago di Castel Gandolfo, meglio conosciuto come lago di Albano, la cicerchia veneta, Lathyrus venetus, deve essere stata così chiamata perchè presente soprattutto nella regione del Veneto. Tuttavia mentre è diffusa in tutte le regioni italiane, con la sola esclusione di val d’Aosta e Sardegna, in Veneto è classificata come ‘non più ritrovata’, cioè si è estinta proprio nella regione di origine. Singolare destino per una pianta di rustica bellezza, che cresce nei boschi ricchi di sostanza organica, e che seppure non ha usi noti, sfoggia un nome di antica origine che designava una pianta non identificata da cui si estraeva una sostanza definita genericamanete come ‘eccitante’.
La cicerchia o latiro (vedi anche 28 maggio 2008) designa effettivamente una sorta di pisello edibile che però contiene una sostanza neurotossica. Siccome molte specie di questo genere crescono nei campi di vari continenti anche in condizioni di relativa siccità, capitava, e potrebbe ancora capitare, che in carestia le cicerchie fossero consumate in abbondanza, come quasi esclusiva risorsa alimentare(1). L’assunzione in grande quantità favorisce il manifestarsi in una piccola percentuale di consumatori di una grave patologia neurologica, che porta alla paralisi. La neurotossina responsabile è l’acido ossalildiamminopropionico (ODAP), che assomiglia al neurotrasmettitore eccitatorio glutammato, e per questo inganna i recettori specifici, paralizzando i motoneuroni. Questa patologia, il latirismo appunto, è, come tutte quelle che riguardano soprattuto i poveri, poco studiata. In fondo è facilmente evitabile, basta non avere fame quando non c’è niente da mangiare tranne che le cicerchie.
(1)Singh & Rao Lessons from neurolathyrism: a disease of the past & the future of Lathyrus sativus (Khesari dal) Indian J Med Res. 2013;138:32–37.