Immersi nel sottobosco, i frutti del vincetossico (Vincetoxicum hirundinaria), sono follicoli fusiformi che brillano più lucidi più delle foglie.
Pianticella assai comune, alta fino a più di un metro, che cresce al limitare dei boschi e lungo le strade di campagna, già ne ho parlato nel vecchio blog (26 giugno 2009), mostrandone i fiori. In questa foto autunnale si intravedono sfioriti, biancastri, riuniti in gruppetti come piccole ombrelle.
Il nome dovrebbe suggerire che si tratti di una pianta velenosa, ma l’etimologia deriva invece da una credenza popolare che gli attribuiva proprietà di antidoto ai morsi di serpente. Primo Boni(1) descrive, con la solita ricchezza di particolari, coloriti e raccappriccianti, l’avvelenamento da vincetossico come ‘uno dei più gravi’ e anche actaplantarum conferma che la pianta contiene un alcaloide affine all’aconitina. Perchè allora avrebbe guadagnato la fama di antiveleno è difficile a dirsi, anche se spesso nella cosidetta cultura popolare si mescolano menzogne e verità, grandi invenzioni e pericolose sciocchezze. Per tutti valga l’esempio della scellerata diceria secondo cui masticare minuscoli pezzetti di Amanita phalloides sia una cura efficace contro le infezioni virali, come raffreddore e influenza. Peccato che anche a piccole dosi questo terribile fungo, forse il più tossico che esista, danneggi il fegato in in modo irreversibile e fatale.
Il vincetossico appartiene alla famiglia delle Apocynaceae, come l’oleandro e la pervinca. Il nome della specie hirundinaria ha indubbiamente a che fare con le rondini, a causa della forma biforcuta della radice (a coda di rondine).
(1) Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche – Ed. Paoline, 1977