L’okra è una pianta della famiglia della Malvaceae. Come le malve e gli ibischi, e come gli Abutilon, cencio molle e acero da fiore, tutti parenti, la pianta dell’okra ha fiori vistosi e aggraziati, che però durano poche ore ed è difficile sorprendere aperti. I frutti sono bacelli verdi, di forma allungata, un incrocio fra un peperoncino e uno zucchino, non rotondeggiante, ma spigolosa. Cava all’interno e ricca di semi, la sua sezione trasversale ha forma di stella. Originaria dell’Africa, è utilizzata un po’ in tutte le zone tropicali del mondo, a cominciare dall’America, dove è protagonista di molti piatti tipici dalla Louisiana al Brasile.
Ho conosciuta questo curioso ortaggio in Texas, e poi appunto in Louisiana. Si chiama anche gombo; e gumbo, nome alquanto simile, è la ricca zuppa della cucina cajun, piccante e odorosa, a base di gamberi e salsicce, addensata proprio dalla consistenza dell’okra che ne è ingrediente essenziale. In Texas ho provato a cucinarla e ho imparato a mie spese che la sua preziosa mucillagine richiede un cottura rapida e intensa, se non si vuol rischiare di ritrovarsi una pappa viscida e stoppacciosa. Cucinata a dovere invece è ottima, appetitosa direi.
Pianta da climi caldi, d’estate può crescere anche da noi. In Brasile ho comprato una bustina di semi e ora ho quattro piante rigogliose, che fioriscono e fruttificano generosamente. Ho assaggiato le mie okra, dopo un ammollo di un quarto d’ora nell’aceto, soffritte leggermente con scalogno e pomodorini e tutti le abbiamo apprezzate.
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