La primavera è ancora lontana. Si affaccia, insistente, se ne sente l’odore in questo sole tiepido, ora che il vento si è calmato all’improvviso. Dobbiamo crederci o è meglio non fidarsi? Troppe volte le piante si fanno ingannare dai calori di marzo, per poi doversene amaramente pentire. Nelle crepe della città la stagione offre soprattutto foglie, rosette di foglie nella polvere.
Nel vasto terrapieno strappato al mare su cui sorge la fiera di Genova domina il colore nerastro dell’asfalto e quello grigio pallido del cemento. Disgregato e vagamente fatiscente, l’ambizioso progetto fieristico degli anni ’60 e ’70 appare ormai la fotografia dell’abbandono. Fallita la società di gestione nel 2016, partito il piccolo drappello universitario del biennio di ingegneria, ricollocati, anche se non so dove, i rifugiati extracomunitari che vi abitavano, rimane un deserto piatto, dove ancora tuttavia si svolgono varie iniziative espositive; e così capita ancora di attraversarlo, in tutte le stagioni. Colpisce l’assenza totale di vita vegetale, non un albero, ma neppure un tronco, una frasca in questo complesso artificiale che pur tante volte ha ospitato Euroflora, esposizione dei fiori più belli del mondo.
Proprio nulla no. Qualche temerario arriva anche qui, nelle crepe del cemento. Dove meno te lo aspetti, si spalanca una robusta rosetta di foglie, cosparsa di aculei minacciosi. E’ il cardo asinino, Cirsium vulgare, pianta altezzosa e indomita, che a primavera si adorna, quando può, di capolini rossicci, spessi e profumati. Gradito agli asini, come dice il nome, è proprio quel cardo di cui parla il poeta Giosuè Carducci in una delle sue poesie più note, almeno a noi non più giovanissimi.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.(1)
Temo che questa rosetta non arriverà mai a produrre fiori, ma voglio sperare che se mai ci volesse provare, potrà farlo indisturbata e che non subisca strappi e mutilazioni dai preposti alla pulizia dell’ambiente urbano, per i quali un vegetale, qualsiasi vegetale, è sporcizia e incuria.
Poco più in là si è sistemato un ciuffo di falso papiro (Cyperus alternifolius, ne ho già parlato qui e nel blog fiori e foglie, 25 agosto 2009), neofita invasiva, ormai naturalizzata ovunque in Liguria. Ecco la parente povera del più illustre papiro, con le foglie sfrangiate e sfuggenti, che abbandona al sole i resti delle sue infiorescenze. La sua sorte non mi preoccupa. Se qualcuno vorrà prendersi la briga di estirparlo, spunterà di nuovo, poco o tanto più in là, così come ricompare, spontaneamente, nel mio giardino, dove ogni anno credo che l’inverno lo abbia stroncato per sempre.
(1)Giosuè Carducci – Davanti San Guido – Rime nuove LXXII