Anche se il parco Ruspoli in realtà non esiste, gli alberi ci sono. Anzi c’è un bosco. Lecci e allori, soprattutto, ma lungo via Cruciani Alibrandi crescono anche alcune massicce piante di eucalipto e gruppi di olmo comune. Come è noto, l’eucalipto è un’essenza australiana che fu importata all’inizio del ventesimo secolo nelle regioni costiere della penisola per la capacità di assorbire in maniera cospicua acqua dal terreno e quindi probabilmente contribuire ad asciugare le paludi infestate dalla zanzara della malaria. Belli e maestosi, questi alberi si sono naturalizzati, ma conservano un’aura di esoticità, nobili e goffi insieme, come tutti i diversi.
Più snelli, anche se di dimensioni rispettabili, gli olmi sono alberi indigeni, campestri. L’aggettivo minor che identifica la specie più comune non si riferisce alle proporzioni della pianta, ma piuttosto alle dimensioni delle foglie rispetto a quelle di altri olmi. Incontrare l’olmo, in questa giungla disordinata e sudicia, mi rincuora un pochino, come quando si distingue un volto noto in una folla anonima e vagamente ostile.
Naturalmente poi c’è il sottobosco, arbusti minori, erbacce, sterpaglie, e le rampicanti che si avvinghiano agli alberi coraggiosi. Poco distante dall’invasione dell’ipomea di cui ho già parlato, ecco un’altra straniera che sta velocemente colonizzando ogni anfratto dove trovi appiglio per abbarbicarsi. E’ Araujia sericifera, una sempreverde originaria del Sud America che si è diffusa dai giardini all’ambiente, prima nelle regioni del nostro Sud, ma ormai quasi dappertutto per la penisola e si incontra molto frequentemente inselvatichita. Velenosa, ricca di lattice bianco, a primavera sfoggia morbidi fiori rosati, che la rendono attraente e per questo può essere scelta per ricoprire i muri. Salvo poi immancabilmente pentirsene quando la si ritrovi dappertutto.
Qui si distingue per le foglie, verdissime e tenaci, e, a fioritura ormai finita, i suoi tralci sostengono curiosi frutti in forma di follicoli globosi, che contengono numerosi semi avvolti nella bambagia.
Da noi è conosciuta come pianta della seta, proprio a causa del piumaggio dei semi, che gli ha meritato anche un altro nome comune, quello di falso kapok. In inglese ha nomi meno poetici, come ‘moth plant’ o pianta delle falene, o addirittura ‘moth catcher plant’, pianta attira falene. Si suppone infatti che questa pianta venga impollinata dalle falene e proprio l’esistenza di differenti impollinatori, attivi in diverse ore del giorno, potrebbe essere una spiegazione del successo riproduttivo di questa specie, ormai conosciuta in tutto il mondo come liana tropicale invasiva. Viene anche detta ‘cruel vine’, liana crudele, ma in questo caso probabilmente a causa della sua tossicità, con l’aggravante delle allergie che può provocare.
Qui se ne sta tranquilla e in disparte, ma certamente sa difendere i suoi spazi.