Mi guarda sempre imbronciata e severa la bambina sul muro delle case popolari di Tor Marancia.
L’inverno ha spogliato la robinia e la pioggia lucidato la yucca. Più sfavillante e nitida l’avevo ammirata sei anni fa in un ottobre tiepido e traballante (era l’anno del terremoto di Amatrice). Ora nuove rughe giocano con i tratti del dipinto, il tempo scava sull’intonaco nuove storie impreviste.
Il nome Tor Marancia deriva probabilmente dalla deformazione medioevale di Amaranthus, il nome di un liberto a cui nel II secolo DC era stata data in gestione la tenuta e la villa di proprietà della nobile famiglia Numisia Procula. Con l’editto di Costantino del 313 d.C. il cristianesimo era diventato religione dell’impero e la chiesa assunse un enorme potere politico ed economico che investì anche la campagna romana. Nacquero così le Domuscultae vere e proprie aziende agricole e vinicole facenti capo alla diocesi. Accanto ad esse furono innalzate per tutta la campagna romana centinaia di torri che avevano il compito di avvisare l’urbe in caso di minaccia dei pirati. Infatti erano frequenti le incursioni dal mare da parte dei saraceni. Memorabili nell’830 e nell’842 i saccheggi della basilica di San Pietro, di San Paolo e dell’abbazia della tre fontane.
Fra le antiche torri, l’unica sopravvissuta fino ai giorni nostri è la torre di San Tommaso che da oltre ottocento anni svetta in cima a una collinetta, poco prima che viale Tor Marancia incroci la via Cristoforo Colombo.
Trovo queste informazioni, e altre più recenti e importanti, su due pannelli in bella mostra ai piedi della torre. Questi pannelli sono una risorsa per il viandante indagatore di curiosità locali. Alcuni abbandonati e negletti bisogna sbrigarsi a fotografarli, altri per fortuna ancora pienamente leggibili e accurati. Questi, curati dall’Associazione Parco della Torre di Tor Marancia, sono datati 30 novembre 2019 e sono ancora in buono stato. Il font utilizzato per la scrittura è stato realizzato per agevolare la lettura ai dislessici e casi di disturbi specifici dell’apprendimento. E anche agli stranieri aggiungerei io, tutti quelli che chiedono, per favore, di scrivere sempre in stampatello.
Nel maggio del 1933, sotto il regime fascista, cominciò la costruzione della borgata Tor Marancia (conosciuta anche come Tormarancio) affidati alla ditta Giovannetti. Erano gli anni della grande disoccupazione e della liberalizzazione degli affitti, anni in cui l’urbe e il suo centro subirono opere di trasformazione profonda, veri e propri sventramenti con l’allontanamento dal centro di tutte quelle persone che vivevano in condizioni precarie e di povertà, disagio da nascondere, lontano dagli occhi che dovevano osservare la grandezza di una città e di un regime, quello fascista che preferiva deportare i suoi cittadini in borgate fatiscenti pur di mostrare un’illusoria e falsa potenza. Roma era grande, o almeno doveva sembrarlo.
Trasferiti in massa in queste borgate erette frettolosamente, fatte di case tutte uguali, con materiali di poca durata e di scarto, furono abbandonati a loro stessi, senza i servizi minimi come strade, fogne, scuole, pronto soccorso e mezzi pubblici. Tor Marancia nacque per accogliere alcuni di questi disperati e tutte le loro tragedie. La borgata fu edificata all’interno di una buca vicino alla “Marrana” e ad ogni pioggia di allagava proprio come al passaggio di un monsone asiatico e per questo soprannominata Sciangai.
“Ebbene io vivo a Tor Marancia con mia moglie e sei figli, in una stanza che è tutta una distesa di materassi e quando piove l’acqua ci va e viene come sulle banchine di Ripetta,” lamentava il protagonista di una dei racconti romani di Alberto Moravia (Il Pupo 1954), mentre Ugo Zatterin nel suo romanzo Rivolta a Sciangai nel 1948 descriveva così la borgata:
“Nessuno saprà dire quale caratteristiche di Sciangai abbia particolarmente ispirato l’ignoto che battezzò con questo nomignolo esotico un rifiuto periferico di metropoli incastrato in un valloncello, tolto alla vista dei civili. Se la guardate dall’alto, appena fuori dalle siepi di more e rose selvatiche, Sciangai ha l’aspetto di una fabbrica di esplosivi, fatta razionalmente di casupole leggere, che sembrano pronte ad andarsene con il vento di marzo, allineate militarmente simmetriche; e i tetti sono tutti rossi quando c’è il sole…”
La costruzione delle attuali case popolari iniziò nel 1947 per intercessione di due senatori del PCI Edoardo D’Onofrio e Emilio Sereni, a seguito della legge De Gasperi sul risanamento delle borgate, conclusasi nel 1960.
Ma dal 2015 un’altra città è cresciuta a Tor Marancia, la città dell’arte di strada e dei murales più straordinari del mondo. Dopo sei anni, i segni del tempo cominciano a mostrarsi sui muri dipinti e consumati dalle intemperie. Sarebbe bello poter sperare in un restauro, chissà se in questi tempi difficili spunterà ancora una volta la primavera.