L’area dismessa dell’Ex Mattatoio del Testaccio a Roma, dove fino al 1970 venivano macellate le carni per il fabbisogno della capitale, è stata in anni recenti parzialmente ristrutturata e accoglie realtà culturali di grande importanza, come l’Accademia di Belle Arti, la Facoltà di Architettura dell’Università Roma Tre e una delle sedi del museo di arte contemporanea MACRO.
Sul lato opposto, verso Campo Boario, là dove la carne veniva mercanteggiata, sono invece alloggiate associazioni e aggregazioni sociali le più disparate, dalla Casa della Pace, a gruppi etnici di liberazione nazionale, come YPG. In queste terre di tutti e di nessuno, le erbe selvagge prosperano indisturbate, accanto a fioriture massicce di floride piante da giardino abbandonate.
La portulaca (Portulaca oleracea), detta anche porcellana, erba da porci, sportellacchia, e chi più ne ha più ne metta, è una delle erbette più comuni e diffuse negli incolti o ai bordi delle strade. Le sue parenti nobili si possono acquistare in vaso nei vivai e producono fiori sgargianti e variopinti. Però non è vero che lei, la piccola impudente, abbia fiori insignificanti; viceversa le sue piccole corolle gialle hanno un’aggraziata eleganza, fra le foglie carnosette, spesse e lucide, di forma ovale. I fusti prostrati, rosseggianti, morbidi, si allungano perfettamente a loro agio in mezzo alla spazzatura. La portulaca, che, come tutte le erbacce, viene sistematicamente estirpata, è in realtà un’insalata prelibata, se raccolta pulita e fresca, e può essere consumata cruda, con pomodori e cipolla, o lessata come gli spinaci, o fritta con le uova, come sempre ottimamente suggerisce Primo Boni nel suo insostituibile manuale “Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche” (Ed. Paoline 1977). Selvatiche, appunto, non urbane, perchè seppure questa pianticella ci sorprende e allieta con la sua esuberanza, non credo che cibarsi di questi esemplari cittadini sia poi così salutare.
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