Questa bellissima pianta è una delle più velenose che esistano, tanto che il romano Plinio ebbe a chiamarla ‘arsenico vegetale’. Questa specie, l’aconito giallo precedentemente chiamato anche Aconitum vulparia, viene detta volgarmente anche lupaia o strozzalupo, tutti nomi che suggeriscono il suo utilizzo come esca avvelenata per uccidere le bestie predatrici del bestiame. Benchè in piccolissime dosi sembra possa essere impiegata come antinevralgico, la sua tossicità è tanto elevata da considerarsi pericoloso per soggetti sensibili anche soltanto raccoglierla. Quindi meglio non rischiare e limitarsi ad ammirarne l’arcana bellezza e il ricercato intrico delle forme. Altre specie del genere, e soprattutto l’aconito azzurro, A. napellus, hanno un indiscusso valore ornamentale e vengono usati da tempo nei giardini. Un po’ meno questa specie, dai fiori giallo pallidissimo, a forma di elmo, addossati gli uni agli altri sulla parte terminale dello stelo. Come altre ranuncolacee, le piante più velenose della nostra flora prosperano negli ambienti antropizzati, concimati dall’humus caratteristico della stabulazione di animali; prosperano risparmiati dai pastori che evitano accuratamente di lasciarli brucare dalle mandrie ben conoscendone gli effetti venefici. Così gli aconiti hanno vita facile, nelle radure di media altitudine e nei luoghi ombrosi e umidi. L’avvelenamento da aconito assomiglia a quello da curaro, il veleno vegetale utilizzato dagli indigeni dell’Amazzonia, e come quest’ultimo veniva usato in passato per avvelenare la punta delle frecce.
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