Protagonista dei prati di prima estate (vedi 1 giugno 2008), la ginestra dei tintori è, come tutte le sue omonime (Spartium, Calicotome, Cytisus, Genista, Ulex e via dicendo) il trionfo del colore, del giallo solare di questa stagione. Come le altre ginestre (la parola deriverebbe dal celtico ‘gen’ piccolo cespuglio) è un’erba officinale tossica. Vivamente sconsigliata la ricetta che circolava, non saprei perchè, qualche tempo fa nel web, di ‘risotto ai fiori di ginestra’. Il colore potrebbe essere allettante, ma le conseguenze imprevedibili. Il colore si può più opportunamente catturare, come indica il nome specifico, e usare per tingere tessuti.
Incontro la ginestra dei tintori, una specie piuttosto comune, nel praticello davanti una piccola casa di montagna che per me ha un sapore di magico. Si trova al passo del Fregarolo, valico che separa l’alta Val Trebbia, comune di Fontanigorda, con la val d’Aveto, comune di Rezzoaglio (siamo sull’Appennino in provincia di Genova), a 1200 metri di altitudine, nel mezzo di un’incantata foresta di faggi. Sul valico si trovano un’ottima trattoria, una lapide di ricordo delle lotte partigiane del 1944, e questa piccola casa. L’avevo conosciuta nel 2009, quando si fregiava di un vistoso cartello ‘vendesi’, e ci avevo anche fantasticato un po’ su. Poi l’avevo mostrata in questo post dedicato all’epilobio.
Oggi, a distanza di nove anni, l’epilobio è scomparso, non c’è più traccia nè di fiori nè di frutti, rimpiazzato da altre specie, semplici, coraggiose, colorate. Mi chiedo se qualcuno lo abbia estirpato nel tentativo di addomesticare la radura di fronte alla casa, che oggi appare più accudita, con un accenno di sentiero verso la porta; oppure se ci abbia semplicemente pensato la natura, per ragioni sue proprie e imperscrutabili, a cambiare vestito al prato.
Mi rimane quel segreto, irrefrenabile, desiderio di rimanere qui, in questa piccola casa lontana da tutto, così vicina al cielo.