Quando si pensa ad alberi monumentali, centenari, dal tronco massiccio, non viene in mente il glicine, pianta per lo più conosciuta per la romantica fioritura. Eppure anche il glicine può diventare un rampicante monumentale, come la Wisteria fluribunda del parco di villa Taranto a Verbania, uno dei giardini più belli d’Italia.
Anch’io, nel mio piccolo ho incontrato un glicine ‘monumentale’. E’ vicino a casa mia, in via Fontanegli, una stradina quasi di campagna, stretta e ripidina che scende da Bavari verso la chiesa di Fontanegli. Il glicine di queste foto è con ogni probabilità Wisteria sinensis, il più comune e domestico, e cresce di fronte a una grande casa gialla, che ho sempre visto chiusa, come altre grandi case magiche di quella zona. A sinistra in una fotografia di inizio aprile 2009, ancora spoglio, pieno di germogli pronti a esplodere, mostra tutta la gettata del tronco. In quei giorni avevo anche pubblicato una foto dei fiori con breve descrizione (7 aprile 2009)
Ed ecco ancora lui nelle foto qui sotto, quasi dieci anni più grande, in questo pomeriggio di ottobre, il fogliame è ancora rigoglioso e i fiori si sono ormai trasformati in frutti. Ma il tronco, muschioso e contorto, si è fatto ancora più massiccio.
Il glicine è anche una grande protagonista della primavera in città. Generoso e frugale, cresce anche abbandonato a se stesso, si arrampica su cancelli e muri, come nella villa abbandonata di via Posalunga, che ho mostrato in questo post. Ho sperimentato di persona la perseveranza e attaccamento alla vita della Wisteria, perchè nel mio giardino, o meglio su una fascia del mio orto dove in genere coltivo i pomodori, cresceva, e cresce ancora, un virgulto di glicine che, ingenuamente, avevo progettato di estirpare. Ma non ne ha voluto sapere. Più in profondità provavo a reciderlo con la mia zappa, con maggiore vigoria è sempre ritornato a risorgere e ad arrampicarsi verso il cielo. Alla fine ha vinto lui, ed è rimasto dov’era, un po’ negletto, vendicandosi con una fioritura assai scarsa. Forse, un giorno, mi perdonerà.
Ho ripensato al glicine del mio giardino leggendo un piccolo, grande libro(1), dove il botanico Stefano Mancuso spiega come la testarda vitalità dei vegetali derivi dalla loro organizzazione ‘modulare’. Mentre a livello microscopico e cellulare vegetali e animali in fondo si somigliano parecchio, a livello macroscopico gli organismi di questi due mondi sono profondamente diversi. Gli animali sono costituiti di organi separati, ciascuno più o meno essenziale all’esistenza, tanto che la lesione del centro vitale, per esempio cuore o cervello, provoca la morte definitiva di tutto l’organismo, e solo in casi eccezionali, o se sono colpiti organi accessori, il corpo è in grado di riparare il danno e rigenerarsi. Nelle piante invece le funzioni sono distribuite, ed è come se ogni pezzetto della radice, ogni foglia racchiudesse dentro di sè l’intera funzione vitale. Questa organizzazione è fondamentale per organismi radicati, o meglio sessili, che non possono sfuggire ai pericoli dandosela a gambe. Ed è per questo che tutte le piante possono resistere ad asportazioni massicce, impensabili per un animale.
(1) (Botanica, 2017, Aboca Ed.)