Addossato alla possente scarpatura della fortezza medioevale di Montegrosso d’Asti, questa pianta, esuberante e selvatica, ha già quasi esaurito la sua fioritura e sta producendo i lunghi frutti, silique torulose, ovvero cilindriche, ma alternate da strozzature e rigonfiamenti.
Il genere Sisymbrium è quello della celebre erba cornacchia o dei cantanti (Sisymbrium officinale) e anche di altre specie meno nobili, ma altrettanto efficaci, come l’erba cornacchia biancastra (Sisymbrium erysimoides), che ho trovato in città, alloctona naturalizzata in Liguria.
Questa specie, detta, ma non saprei perchè, erba cornacchia iridata, è diffusa in tutta Italia, isole comprese. Tuttavia non ne è documentato alcun utilizzo, ad eccezione dell’uso alimentare in Sardegna, menzionato da Aldo Domenico Atzei nel suo monumentale trattato. Però il Sisymbrium irio, che è diffuso come pianta indigena in tutto il continente euroasiatico e nel Nord Africa, è utilizzato dalla medicina tradizionale in Pakistan e molto probabilmente nelle regioni vicine, per il trattamento di distubi gastrointestinali, delle vie aeree e del sistema vascolare(1). Gli autori dell’articolo citato lo presentano con i vari nomi con cui è conosciuto, sia in inglese (London rocket) che in arabo (Khubba) e in urdu (khaksi, khubkalan, shaba), testimoniando quanto la pianta sia importante. La conclusione della loro ricerca è che l’estratto dei semi ha un effetto broncodilatatore e modulatore della motilità intestinale, probabilmente a causa del blocco dei recettori muscarinici (proteine a cui si lega il trasmettitore acetilcolina, fondamentali nel funzionamento del sistema nervoso autonomo), e ha anche un effetto vasodilatatore a causa del blocco dei canali del calcio. L’uso tradizionale (in inglese si dice folkloristico, ma questo termine in italiano mi pare fuorviante) di questa pianta pare quindi confermato da evidenze sperimentali scientifiche, e questo ci conforta non poco. Resta il dubbio di come mai una pianta così ricca di principi attivi e di efficacia sia completamente sfuggita alla medicina popolare del nostro paese. E’ possibile che nella regione indo pakistana la pianta presenti una composizione un po’ diversa da quella della pianta italiana. Il che non è per nulla sorprendente, anzi è assolutamente normale che la chimica dei vegetali dipenda in modo determinante da dove e come crescono. Si possono trovare differenze molto significative anche in piante della stessa specie provenienti da diverse regioni italiane, o addirittura nella stessa regione. Potremmo parlare del pesto alla genovese che assume un sapore caratteristico con il basilico cresciuto sulla sponde del mar Ligure, ma non altrove, anche se sempre dello stesso Ocimum basilicum si tratta. Oppure dello zafferano d’Abruzzo, che è più ricco di crocina, un efficace antiossidante, del Crocus sativus coltivato in altre località. Si tratta di esempi casalinghi, ma altri ne potrebbero fare gli esperti di farmacologia e fitoterapia in tutto il mondo.
(1)Hussain et al. Anti-cholinergic and Ca2+-antagonist mechanisms explain the pharmacological basis for folkloric use of Sisymbrium irio Linn. in gastrointestinal, airways and vascular system ailments. J Ethnopharmacol. 2016 193:474-480 – doi: 10.1016/j.jep.2016.09.028