Appena fuori dal bosco del passo della Scoglina, sul bordo della carrozzabile, cespi rosa si slanciano verso il sole. E’ la stagione dell’epilobio, fra i fiori più attraenti dei prati di luglio. Questa specie ha fiori non molto diversi da quelli dell’epilobio più comune, Epilobium angustifolium; ma ha foglie sottilissime che ben si adattano al suo nome volgare ‘a foglie di rosmarino’. Il nome scientifico è un omaggio al botanico olandese R. Dodoens, vissuto nel XVI secolo e autore di un importante trattato.
Preferisco evitare il nome comune di ‘garofanino’ che mi pare generare soltanto confusione, e chiamare la pianta con il suo nome vero, una nome che deriva proprio dal suo aspetto, anzi dalla sua morfologia. Coniato da due botanici nel XVI secolo (Corrado Gessner e Jacob Dillen), epilobio risulta dalla fusione di ben tre radici greche che significano rispettivamente “sopra”, “frutto” e “violetta”, come a dire che si tratta di una pianta che ha una violetta (il fiore) sopra il frutto (in realtà sopra l’ovario). Infatti gli epilobi, come le altre onagraceae, hanno i petali inseriti nella parte superiore dell’ovario. Dettaglio per specialisti, ma interessante per capire l’origine del nome.
Varie specie di epilobio, fra cui E. angustifolium (21 agosto 2008) e E. dodonaei, sono commestibili, e venivano consumati cotti o seccati per preparare il the, usanza quest’ultima tipicamente russa. La miscela di the cinese (Camellia sinensis) e Epilobium dodonaei veniva chiamato Ivantschai o Thé di Ivan. La similitudine continua, anche con il rosmarino infatti si può preparare una specie di thé.