L’arabetta, ovvero elogio dell’inutilità. Nelle sue varie specie, ecco una delle pianticelle più piccole e insignificanti che popolano i nostri prati. Non è pianta alimurgica, nè medicinale. Non ha steli o foglie atti alla confezione di qualsivoglia cose. E non è neppure una pianta tossica. Se consulto l’utile compendio del professor Paolo Maria Guarrera(1), nell’elenco alfabetico delle specie e loro utilizzi tradizionali, la voce Arabis semplicemente non c’è. E se scorro le schede botaniche di actaplantarum, solamente una delle specie, A.alpina, ha un bollino verde, che indica le piante commestibili, mentre tutte le altre Arabis hanno inesorabilmente un bollino vuoto. L’arabetta però è pianta molto comune e generosa di microscopici fiorellini bianchi a croce quadrata, come si conviene a una brassicacea, non per niente dette anche crucifere, diffussissima nelle sue numerose forme nei prati di aprile e maggio. Questa nelle foto è Arabis hirsuta, arabetta irsuta, ovvero pelosa, una delle più frequenti insieme all’arabetta maggiore Arabis turrita (vedi 26 marzo 2010), oggi rinominata Pseudoturris turrita, ma sempre straordinariamente inservibile.
Caratteristica di questa specie è la rosetta di foglie basali, ovali e lisce, punteggiate di peli. Foglie che assomigliano a quelle di Pseudoturris turrita, ma anche a quelle della loro famosa cugina, Arabidopsis thaliana. Quest’ultima è un’altra pianticella assolutamente inutile (così fu appunto definita da un botanico del ‘700), ma che è diventata una specie di stele di Rosetta della genetica vegetale. Tutto o quasi tutto quello che si sa delle biologia molecolare delle piante è stato scoperto grazie agli studi su Arabidopsis thaliana, e proprio in ragione della sua semplicità, che è anche modestia, che rendono la sua riproduzione e crescita veloce ed efficiente. Mai sottovalutare una pianticella insignificante, chissà che fra qualche tempo anche la nostra arabetta pelosa non abbia storie interessanti da raccontarci.
Per ora la incontro, la fotografo, e un po’ la ammiro, su per le mie colline, in una mattinata di primavera limpida, ma nuvolosa, poco prima della pioggia.
(1)Paolo Maria Guarrera – Usi e tradizioni della flora italiana – Aracne 2006