L’arisaro, pianta tipica dell’areale mediterraneo o dell’olivo, fiorisce per tutto l’autunno e l’inverno in Liguria non troppo lontano dal mare, sul monte di Portofino, ma anche nella vallata del torrente Lavagna, la val Fontanabuona.
Come è tipico nella famiglia delle Araceae, i suoi fiori sono racchiusi in una brattea, detta spata, tubulosa e striata. In questa specie (Arisarum vulgare), la spata è a forma di cappuccio e lo spadice, cioè l’infiorescenza ramosa, sporge dai suoi bordi piegandosi in avanti come una linguetta che penzola. Le foglie sono persistenti, lucide e spesse, ma morbide e a forma di cuore. Nell’insieme l’aspetto è abbastanza sorprendente e fa venire in mente qualche illustrazione delle favole.
L’arisaro è un parente stretto di Arum italicum, una pianta selvatica e infestante (vedi 12 gennaio 2009), ma anche della calla da giardino, Zantedeschia aetiopica, e di piante più esotiche, come Colocasia esculenta, che si fa chiamare orecchio di elefante quando è ornamentale e igname quando è un alimento.
Davvero Arisarum assomiglia parecchio ad Arum, anche lui pianta dell’areale mediterraneo in senso stretto. E allora succede che talvolta siano chiamate con gli stessi nomignoli, gigaro, o erba biscia, o pan di serpe. Non voglio creare confusioni, per me il gigaro resterà sempre e solo Arum. Anche i fiori del gigaro, come scrivevo in un vecchio post del 2 maggio 2010 che oggi in parte riprendo, non sono privi di un fascino un po’ inquietante. La parte appariscente però non è il fiore, è ancora una volta la spata, una brattea larga e vistosa che avvolge l’infiorescenza a spadice. Come nella maggior parte della Araceae, grazie a questa struttura arisari e gigari mantengono una temperatura interna, in corrispondenza dei fiori, decisamente superiore a quella esterna, utilizzando per questo riscaldamento una notevole quantità di energia metabolica. Il calore attira in modo efficace gli insetti impollinatori ed è per questo che, nonostante il suo costo, è stato favorito dall’evoluzione.
Come nel gigaro, le foglie, il fusto e le bacche dell’arisaro sono velenose. Ma le radici erano un tempo consumate come alimento e sono tuttora ricercate dai cinghiali che ne sono ghiotti. Nonostante l’accertata tossicità, l’arisaro è stato usato a lungo come medicina per la cura di molti malanni.
Anche la calla (foto a sinistra) , quella da giardino, mostra spadice e spata, quest’ultima larga e candida come il colletto di un abito rinascimentale. Come suggerisce il nome scientifico, Zantedeschia aetiopica, la pianta è di origine africana. Per qualche ragione che non sento veramente di condividere e quindi non so spiegare, la calla è ricercata nei giardini, ospite invitata e vezzeggiata, mentre il gigaro che le assomiglia davvero un bel po’ è un ospite inatteso e spesso sgradito. Misteri dell’animo o dei traffici umani.