Da settimane la vedo lungo la mia passeggiata del mattino, eretta e sottile sul bordo della strada, con i suoi microscopici fiori quasi invisibili. Pianta nobilissima nei tempi antichi, celebrata per le virtù afrodisiache, protagonista di decotti e pozioni essenziali, erba magica e sacra, oggi la verbena cresce soprattutto in zone antropizzate e vive praticamente sconosciuta. Non è veramente commestibile, perché ha solo piccole foglie amare, ma incontrarla è un’emozione, perché la sua semplicità evoca rispetto. Le sue forme sono così esili e sfuggenti che fotografarla è difficile (vedi anche 11 agosto 2009). A dispetto dell’apparenza, è una pianta robusta e molto tenace. I vivai vendono vasi variopinti delle sue sorelle ornamentali, ma è solo lei, la piccola verbena selvatica, la responsabile della fama millenaria.
Poco lontano, in mezzo all’erba lucida di pioggia, i fiori bianchi della silene, sbrindellati, ma ancora saldi, sbocciano incuranti di essere fuori stagione. Più tardiva, ma molto simile alla silene rigonfia (Silene vulgaris), anche questa pianta ha calici a forma di piccoli otri, che si sgonfiano con un piccolo fischio. Erba commestibile ed ingrediente frequente delle zuppe tradizionali, no, non è un’erba illustre, decisamente popolare direi.
Intanto la rucola selvatica e le malve del prato non sembrano avvilirsi nel fresco di novembre, nel parco urbano dell’Appia Antica (Roma). Piante non illustri, ma preziose, più verdi del verde, si godono l’aria ricca di umidità. La rughetta selvatica (Diplotaxis tenuifolia) è una specie perenne e comune quasi dappertutto, fresca e piccante, saporitissima se piace, da consumare cruda per chi ama le insalate aromatiche. I suoi sgargianti fiorellini gialli rallegrano il pallido sole. Non ha bisogno di presentazioni la malva, commestibile in insalate e zuppe, le cui foglie e fiori hanno innumerevoli utilizzi medicinali.
Viene da lontano la galinsoga, nativa delle zone montagnose del centro America e deve il suo nome al medico botanico spagnolo del 18° secolo Martinez de Galinsoga. E’ una margheritina poco appariscente, ormai naturalizzata quasi in ogni regione d’Italia e spesso disprezzata come infestante.
Di erbaccia fastidiosa, in campagna e città, ha davvero tutte le caratteristiche, produce moltissimi semi, sempre pronti a germogliare nelle circostanze più varie, si riproduce facilmente anche per propagazione vegetativa, e poi cresce velocemente, fiorisce sempre e per diverse stagioni(1).
Ma non è vero che non serva a niente, e se raramente si trova nei manuali di fitoterapia, è perché è poco conosciuta, e snobbata, nel vecchio continente. Nei suoi luoghi di origine e habitat più congeniali, cioè le zone tropicali, viene impiegata come pianta medicinale per vari malanni, oltre che come cicatrizzante sulle ferite. Infatti contiene principi attivi che le conferiscono proprietà antibatteriche,antimicotiche, antiossidanti, antinfiammatorie e vermifughe (2). Non è tossica, anzi è un’erba alimentare sia per gli animali che per le persone. In città si trova soprattutto nei giardinetti, in qualche piccola aiuola rugiadosa, ma per le insalate la preferirei campestre.
Piante non illustri, ma ricche di storia, che per caso incrociano il mio cammino in un giorno di fine autunno.
(1) Damalas CA (2008) Distribution, biology, and agricultural importance of Galinsoga parviflora (Asteraceae)- Weed Biology and Management 8:147-153.
(2) Ali S et al. (2017) Ethnobotanical, phytochemical and pharmacological properties of Galinsoga parviflora (Asteraceae) – Tropical Journal of Pharmaceutical Research 16:3023-3033.