E’ estate e la portulaca è fiorita. Sul bordo del selciato in un viuzza che porta alla spiaggia di Sori, brilla sotto il sole a picco, fra le pietre ordinate e una grondaia di latta e plastica, lei così precisa ed esuberante, risplendente di corolle gialle. Cresce sul bordo dell’asfalto, fra il cemento e i mattoni, negli angoli dei marciapiedi e fra la spazzatura, indomabile infestante, grassoccia, morbida, appetitosa, classificata come criptogenica, cioè un’aliena, forse chissà, venuta da non si sa dove e non si sa quando. Ma lei è qui e non si può evitare di incontrarla con i suoi fusti rossicci e le sue foglioline lucide.
Ha conosciuto anche la gloria della coltivazione, e la nascita di una specie addomesticata, Portulaca sativa, da consumare in insalata o lessa. La famiglia è piuttosto esclusiva, portulacaceae, e fra i nomi volgari si trova erba porcellana, sportellacchia, erba da porci. Viene indicata spesso come cibo da maiali, mentre non a tutti gli umani è ugualmente gradita perché ‘mucillaginosa’. Io, confesso, non l’ho mai assaggiata veramente, masticate alcune foglie, sì, ma senza sincera intenzione. Ma il mio mentore per quanto riguarda le erbe selvatiche, Primo Boni, ne è addirittura invaghito.
“Se impariamo a conoscere quest’erba, dice, non la tratteremo più da intrusa, ma la desidereremo decisamente più infestante.”(1)
Per consumarla, occorrerebbe sceglierla un po’ più lontana dal catrame e dalla sporcizia, dagli scappamenti e dalla spazzatura. Per adesso mi limito ad ammirarla e a salutare la sua sorridente fioritura.
(1)Primo Boni – Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche – Ed.Paoline 1977 pg.77.